La situazione carceraria è divenuta ormai insostenibile: suicidi sempre più numerosi, sovraffollamento, condizioni igieniche totalmente deficitarie, mancanza di personale qualificato, assistenti sanitari, psicologi, educatori, mancanza strutturale di lavoro, strutture fatiscenti, casi di violenze ed altro hanno ridotto il carcere a un luogo di tortura ben lontano dall’ipotesi di pena prevista dal Costituente. Siamo ormai fuori dalla nostra Costituzione. E non dimentichiamoci che le vittime di tale situazione non sono solo i detenuti e le loro famiglie ma anche gli ufficiali di polizia penitenziaria e tutti quelli che operano all’interno del carcere.
Il carcere attuale genera morte, malattie non curate, violenza, disumanità, assenza di possibilità di recupero e di reinserimento sociale.
Di fronte a questo scenario tragico la classe politica è indifferente e non vuole vedere la realtà, meno che mai risolverla. È sempre più frequente l’appello disperato dei garanti penitenziari di tutta Italia, delle camere penali, delle associazioni degli ufficiali penitenziari, delle associazioni di volontari che si occupano del carcere, ma tutte diventano aria al vento dinanzi all’indifferenza del parlamento. Finanche l’appello della Chiesa a modificare la situazione in prossimità del giubileo così come fu ignorato l’appello del precedente pontefice.
A fronte di tutto ciò ne fa le spese anche la società intera che vede svanire la possibilità di un reale recupero sociale dei detenuti come è suo interesse.
È impensabile pensare che l’attuale politica di governo metta in campo le risorse necessarie per invertire la rotta e comunque i tempi sarebbero incompatibili con provvedimenti d’urgenza di cui il sistema carcerario ha un bisogno ormai improcrastinabile.
Prendo in prestito le parole del Presidente Napolitano: “Le istituzioni e la nostra opinione pubblica non possono e non devono scivolare nella insensibilità e nella indifferenza, convivendo senza impegnarsi e riuscire a modificarla una realtà di degrado civile e di sofferenza umana come quella che subiscono decine di migliaia di uomini e donne reclusi negli istituti penitenziari”. Tra i possibili strumenti per affrontare l’emergenza carceraria, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel messaggio alle Camere, cita anche una “incisiva depenalizzazione dei reati”. E ancora: “Ritengo necessario intervenire nell’immediato sulla emergenza carceri, con il ricorso a rimedi straordinari”. E ancora: “Occorre considerare – aggiunge – l’esigenza di rimedi straordinari”. E proseguiva sollecitando un provvedimento di clemenza che rispondesse alla grave situazione.
Vi sono detenuti che hanno da scontare ancora meno di due anni di detenzione e reati per i quali è prevista una pena edittale inferiore a quattro anni e dalle precedenti amnistie sono sempre stati esclusi reati gravi e detenuti dichiarati delinquenti abituali.
Oggi abbiamo quasi 62 mila detenuti ed è prevista una capienza massima di 50 mila detenuti. Con l’adozione di un provvedimento di amnistia e indulto si potrebbe riportare la capienza a quanto previsto e poi tentare di affrontare le questioni strutturali comunque ineludibili.
Come spiega lucidamente Massimo Recalcati (Id., Contro il sacrificio, Raffaello Cortina, 2017, 75), nella parabola narrata dall’evangelista Luca il padre non ripaga con la stessa moneta il figlio ritrovato; «il suo gesto è quello del perdono che consente alla vita del figlio di ripartire nuovamente» (ivi, 136).
Purtroppo oggi prevale l’idea che l’indulto è una vergogna e l’amnistia una amnesia e che la strategia è quella di buttare la chiave, dimentichi non solo della nostra Costituzione ma della realtà. Questa ideologia ha prodotto danni enormi ed è la madre dell’attuale situazione. Solo un sussulto di razionalità ci può aiutare e la ragione ci dice di interrompere immediatamente questa vergognosa situazione.