La pagina politica di TUTTI dà conto con diversi contributi, del dibattito intorno al risultato delle elezioni francesi e inglesi. Per chi voglia capire, delle prime, i sentimenti che hanno smosso segnalo qui un grande film, uscito in Italia a metà di aprile, sei mesi dopo la presentazione alla Festa del Cinema di Roma. Troppo recente per essere disponibile nelle modalità streaming o DVD, può essere ormai recuperato, fino a settembre, solo nelle rassegne estive. Chi può lo faccia. Ne uscirà incantato e commosso. Si chiama “E la festa continua” e l’autore è un marsigliese di origine armena: Robert Guédiguian.

 

L’AUTORE. Robert Guédiguian è il classico autore indipendente fuori da ogni scuola. A Marsiglia ambienta quasi tutte le sue storie – con tre eccezioni – in film che hanno per protagonista sua moglie (Ariane Ascaride) e un gruppo di attori bravissimi e sempre quelli. Intorno a loro, le comunità di mezzo mondo, specie italiana e transcaucasica, che animano Marsiglia e un suo quartiere in particolare: l’Estaque, caro a Cézanne. Tre, dicevamo, le eccezioni: “Le passeggiate al Campo di Marte” (2005), incursione parigina nella grande politica, in cui un giovane giornalista intervista lungamente un anziano François Mitterand, interpretato da Michel Bouquet, malato e prossimo alla fine della propria avventura umana e politica; “Le voyage en Arménie” (2006) e “Twist a Bamako” (2022), girati appunto in Armenia e Mali e non distribuiti in Italia. Non sono gli unici: non più di una dozzina, dei 23 girati, sono i suoi film arrivati fin qui, da “Marius e Jeannette” (1997) a “Et la fête continue”. Che sono, con le passeggiate mitterandiane e “Le nevi del Kilimangiaro” (il capolavoro del 2011: né Africa, se non di striscio, né Hemingway, ma la canzone di Pascal Danel) i punti più alti.

 

IL FILM. Rosa si chiama così in omaggio a Rosa Luxemburg e suo fratello Antonio deve il proprio nome ad Antonio Gramsci. Figli – i più svegli di voi l’avranno intuito – di un militante comunista (francese di origine armena), i due hanno assorbito lungo una vita di quasi settantenni l’entusiasmo e le delusioni di un generoso impegno politico a sinistra. Lei è un’infermiera, prossima alla pensione, vedova con due figli (che gestiscono un bar, diciamo così, etnico) e anima una famiglia molto più numerosa di quanto non dica l’anagrafe. Ne fanno parte, oltre al fratello, che presta la propria casa a tutti e si materializza ogni tanto sul divano di casa sua, col cappello in testa come il primo marito di Donna Flor, una futura nuora che insegna canto popolare in una scuola come quella testaccina di Giovanna Marini e il padre di lei, un libraio gentile e vedovo. Il tempo e l’amore, non sempre il sangue, porteranno qualche ragazzino. Il futuro consuocero non è a carico (neanche i figli, se è per quello), ma chi poco fa ha sagacemente intuito che il defunto padre dei due fratelli era un militante comunista, non sarà troppo stupito dall’amore che sorprenderà i due vedovi.

Nella realtà politica di quella piccola, comunità marsigliese Rosa è un amatissimo punto di riferimento della sinistra, ma non si diverte più a perdere. Comincia ad averne le tasche piene delle decisive questioni identitarie, degli infiniti distinguo, paletti, puntigli, ripicche, mazzi e contromazzi, fra le litigiose anime di una gauche che la invoca come pontiera ma non arriva mai al punto. Comincia a pensare che la vita, soprattutto alla sua età, sia altrove.

Ma un giorno…

Comincia come “Le mani sulla città” (1963) – il grande film di Francesco Rosi sulla speculazione edilizia a Napoli – la storia di Rosa e dei suoi amici. Un giorno, al centro di un quartiere fatiscente di Marsiglia si apre un vuoto: crollano due palazzi, che implodono facendo otto vittime (il fatto è reale). Ma non vedremo qui consigli comunali corrotti, di pagliacci che sventolano le mani gridando “noi abbiamo le mani pulite!”. Vedremo in strada una comunità politica ergersi a ritrovare le ragioni del proprio stare insieme. Trovare un’unità difficile e magari provvisoria, ma forte, perché la vita è davvero qui e altrove (anche per i giovani): nei ricordi di una vita, nelle vicende del mondo vicino e lontano (il risorgere dell’eterna guerra Azero-Armena per il Nagorno Karabakh, che tocca la piccola comunitá armena) nella musica e nella cultura, che allarga le famiglie come e più del sangue, nelle canzoni come “Emmenez-moi”, dell’armeno Aznavour, e nelle terrazze su un mare che è molto più di un mare (“traïnant un parfum poivré de pays inconnus, e d’éternels étés”, Aznavour), nel non mollare mai (“Tu non molli mai”, Redford a Streisand in “Come eravamo”), nel capire quando è ora di cedere il passo ai giovani anche se, comunque, la festa continua, nulla finisce e tutto continua.

 

Dicono che si nasce e si muore soli. È vero, come ammette Paolo Conte, ma quello che c’è in mezzo, non c’è che dire, è un gran bel traffico. Come quello che si crea intorno alla statua di Omero, padre cieco di tutte le storie, memoria sonora di ogni schianto e furore, nella piazza di quest’ultimo crollo marsigliese durante l’azione scenica allestita per dare forma e fiato alla ribellione. Il traffico della Francia fervente e positiva di questo disuguale, meraviglioso cantore di musiche, uomini, libri e lettori. “Lector in fabula”, di Umberto Eco, è il libro che legge il libraio nel film. Il “lector” siamo noi. La fabula è quella che fra infiniti spunti, agganci, citazioni, memorie, incanti, abbandoni, incazzature e malinconie, pianti e risate, ci guida nel felicissimo, disordinato ingorgo di vita che è la bella confusione di Robert Guédiguian.