I margini per una reale libertà di stampa si fanno più stretti in Italia, un Paese dove lo stato sociale rischia di trasformarsi in uno stato penale. Episodi da Minculpop dove, con l’ironia dei paragoni, si potrebbe giudicare di più elevata competenza e statura intellettuale un Bottai rispetto al Ministro Sangiuliano, classico esempio di restauratore e reinventore di una molto presunta cultura di destra. Ma le mosse d’accerchiamento fanno parte di un processo di riappropriazione più vasto e insidioso che parte dai recenti provvedimenti legislativi sulla giustizia. Un Ministro che sfoga il suo livore contro i magistrati (il suo campo d’azione per quaranta anni) limitando al necessario le intercettazioni, negando la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare, eliminando l’abuso d’ufficio. Un grande affresco per ricreare una nazione illegale dove corruzione, riciclaggio, appalti aggiudicati senza gara sono terreno libero per le mafie e per i colletti bianchi addentellati. Parlando di regime servono anche utili idioti (tale giudicava Starace Mussolini) proni a eseguire gli ordini. Per quanto ci riguarda basta premere il tasto sul parere dell’Associazione magistrati per un rifiuto collettivo della revisione e, su un versante puramente individuale, captare lo sdegno di Gratteri, mancato Ministro della Giustizia a suo tempo. Ma veniamo alla collezione di singoli deprecabili episodi. Rai News è diventato un obbediente esecutore della volontà di Giorgia Meloni.
Paolo Petrecca, pur brava persona, è sballottato da diktat che vengono dall’alto ed è stato costretto a minimizzare i risultati delle elezioni francesi per non turbare la nostra patriota premier. La redazione ribolle, la vicedirettrice ha dato le dimissioni. La sfiducia non è solo un atto burocratico. C’è brama persecutoria in Rai anche verso Serena Bortone, sballottata contro la propria volontà, nel caso di censura di Antonio Scurati. Censura anche per lei, sospensione di sei giorni e aria di fuga magari tra le braccia accoglienti delle emittenti non così schierate, ovviamente La7 e la Nove. Il quotidiano La Repubblica ha tradito la ratio di Scalfari ed è diventato un foglio atlantista, pro Netanyahu. Superfluo dire che il gradimento di Molinari, messo fedele degli Elkann, è ai minimi storici. Come pure le vendite dell’ei fu testata di centro sinistra. Rileggendo Billy Wilder verrebbe voglia di scrivere: “È la stampa, bruttezza”. Ma non c’è da stupirsi in un mondo dominato da una potenza che ha a capo dello Stato un vegliardo che confonde i nomi e che con la valigetta nucleare potrebbe fare sconquassi della terra. Perché stupirsi? A casetta nostra intanto si prende atto della trasformazione della prestigiosa testata L’Espresso. Qui il rapace capitalista d’assalto Iervolino, piombato da Marte, uno che compra la Salernitana e il settimanale e poi decide di venderli con il piglio di un Colannino, lasciando disastrose ed equivoche eredità. Ora i proprietari de L’Espresso non sono più i De Benedetti e i Caracciolo di una volta, discutibili ma pur sempre editori, ma la famiglia Ammaturo, un nome e un programma, per conto della Ludoil Energy che centra coi giornali come i cavoli a merenda. Il nuovo direttore Emilio Carelli, lontano le mille miglia dai Cinque Stelle ormai, cinque giorni dopo l’insediamento ha censurato un pezzo su Salvini, sgradito al potere. Pezzo troppo critico, si sa com’è la storia. E la già citata vituperata Rai è stata capace di oscurare i fischi al povero Sangiuliano durante la premiazione del festival Taobuk di Taormina. Il programma era appaltato e dunque mano libera per la manomissione. Quando si osserva che l’ideologia di Fratelli d’Italia è lontana le mille miglia dal fascismo che fu bisognerebbe ricordarsi come istruttivo apologo di questi episodi.