La crisi istituzionale è stata evitata, questa è la prima e più importante conseguenza della rielezione di Ursula von der Leyen (da qui in avanti VDL) a capo della Commissione europea e la scelta della continuità è servita soprattutto ad arginare l’antieuropeismo.
I risultati elettorali hanno visto aumentare i consensi delle destre (non sempre omogenee) e degli antieuropeisti in generale, ma non abbastanza per sconfiggere la maggioranza di pro-EU che aveva eletto von der Leyen cinque anni fa e che l’ha naturalmente riconfermata per aver tenuto a bada la barca nei mari tempestosi che ha dovuto affrontare in questi anni.
Ma nel contesto politico molto variegato rappresentato dall’insieme dei capi di Stato e di Governo del Consiglio, dai partiti politici europei e dai neoeletti europarlamentari, nessuno è stato in grado di presentare un credibile candidato alternativo che potesse contare su una maggioranza che portasse a una bocciatura della VDL che avrebbe provocato una crisi istituzionale senza precedenti.
E per quanto riguarda il programma politico da portare avanti, cioè le cose da fare nei prossimi anni, non si capisce la logica secondo cui VDL avrebbe dovuto rinnegare il suo operato nella passata legislatura oppure perfino dichiarare di aver sbagliato tutto come presidente della Commissione europea in particolare nel portare avanti il suo cavallo di battaglia del Green Deal? Ecco perché se si voleva cambiare rotta in particolare su quel dossier tanto criticato, si sarebbe dovuto trovare un candidato alternativo e costruire una maggioranza che lo potesse eleggere, ma che evidentemente non c’era a livello europeo.
Senza contare che i recenti e improvvidi viaggi a Mosca, Pechino e Mar-a-Lago di Viktor Orbán, che hanno creato sconcerto sia dal punto di vista del mancato rispetto delle procedure istituzionali che per le posizioni filorusse da lui difese, hanno provocato molto timore al punto di dare un grandissimo assist alla coalizione europeista che ha sostenuto con una buona maggioranza la Spitzenkandidat del Partito Popolare Europeo.
Un attento osservatore delle questioni europee, Virgilio Dastoli, presidente del Movimento europeo (a cui aderisce la rete TUTTI) ha saggiamente fatto notare che la maggioranza europeista che ha sostenuto VDL “comprende l’universalismo cristiano, l’internazionalismo socialista, il cosmopolitismo liberale e l’ambientalismo transnazionale respingendo l’estremismo antieuropeo dei conservatori guidati da Giorgia Meloni, dei patrioti guidati da Viktor Orbán e dei sovranisti guidati dall’AFD” facendo rimarcare come le destre siano divise in tre parti per niente coese.
Dal suo punto di vista molto europeista Dastoli se la prende anche un po’ con la parte della sinistra “che si dice europeista ma ha aggiunto il suo voto contrario a quello degli estremisti di destra antieuropei” senza dimenticare di stendere un velo pietoso sulle divisioni dei centristi italiani che hanno fatto mancare dei voti importanti al raggruppamento liberale.
In realtà a Bruxelles non importa molto se da un lato le forze che compongono la coalizione di governo in Italia hanno espresso posizioni divergenti, esattamente come hanno fatto quelle della minoranza di sinistra, nella migliore delle sue tradizioni. Quello che conta è che la maggioranza sia rimasta solida a livello europeo.
E tutto questo ha dimostrato a che punto la rielezione di VDL sia stato un passaggio molto politico, basato su dinamiche politiche e su contenuti politicamente molto sensibili e questo avrà un suo peso anche sul futuro della costruzione europea, come ha detto la stessa VDL nel suo discorso a Strasburgo ricordando che le riforme dei trattati sono necessarie quando rafforzano la nostra Unione.
VDL ha detto di voler collaborare su questo con il Parlamento, in barba a tutti coloro che continueranno a lamentarsi degli euroburocrati.