«Non parlare mai di amore e pace:
un Uomo ci ha provato e lo hanno crocifisso.»
Jim Morrison
Il presidente Biden, che abbiamo visto nella sua ultima «apparizione» al vertice NATO di Washington, esprime plasticamente l’immagine di un Occidente che, sull’onda del confronto economico avviato dai neocon del complesso militare-industriale, sembra andare diritto verso un tragico scontro: un uomo malato, che governa la (prima?) potenza mondiale su una strada di contrapposizione, lontana da un orizzonte di cooperazione.
Robert Kennedy jr potrebbe essere una buona alternativa per il Partito Democratico, ma la sua fama di avvocato impegnato nelle cause ambientaliste e nella battaglia contro Big Pharma ne ha fatto un irriducibile nemico del sistema, che neppure lo considera come parte della battaglia politica, escludendolo il più possibile dalla visibilità pubblica.
Trump, di poco inferiore per numero di anni rispetto al suo avversario ma senz’altro più lucido ed energico, può vantare il primato di non essersi avventurato in nuove guerre durante la sua presidenza e propone l’isolazionismo come fattore di crescita dell’economia americana e di equilibrio in un mondo multipolare.
In Francia la maledizione del doppio turno ha colpito ancora una volta, stavolta quasi in modo equanime, e l’iniziativa elettorale di Macron non è stata certo un capolavoro, ma solo un modo per mantenere il potere ad ogni costo, anche di dividere il Paese alimentando i conflitti interni.
Ora il suo tentativo sarà quello di tagliare le ali estreme, cioè RN e France Insoumise, contrarie tra l’altro all’impegno bellico in Ucraina, e formare un governo trattando con socialisti, verdi e gollisti. Probabilmente, partendo dal risultato elettorale, con un incarico proprio al Nuovo Fronte Popolare, ma certo non a Mélenchon o a qualcuno dei suoi. Anche se non sarà facile uscire dall’impasse.
La precipitazione con la quale i vertici europei hanno proceduto alla scelta delle «nuove» cariche denota nervosismo e il risultato delle elezioni francesi non è affatto rassicurante per la loro tenuta, come non lo era il risultato delle europee.
Uno dopo l’altro crollano nel consenso popolare i leader favorevoli al riarmo bellico, mentre saldamente in sella sono i leader dei Paesi avversari, sempre più vicini nella collaborazione strategica e attivi nella cooperazione con il Sud del mondo.
I teatri di conflitto sono alimentati dal confronto tra quello che si auto-definisce «Occidente democratico» e il resto del mondo, che comprende non solo i Paesi catalogati come autocratici e dittatoriali, ma anche Stati democratici come India, Brasile e Sudafrica, che fanno sempre più fatica a riconoscere nell’Occidente un interlocutore credibile.
Un recente articolo dell’«Economist», Multipolar disorder. Un undeclared cold war, identifica addirittura il multipolarismo come il nuovo nemico che ha scatenato una guerra fredda non dichiarata contro l’unipolarismo dell’ordine mondiale basato sulle regole stabilite dall’Occidente.
Sono lontani, molto lontani, non soltanto i tempi di Kennedy e della crisi di Cuba, ma anche quelli della creazione dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa e della conferenza di Helsinki, che posero le basi per una collaborazione tra Occidente e Unione Sovietica. Reagan dopo un primo difficile periodo di contrapposizione riuscì durante il suo secondo mandato a ricostruire un quadro di distensione grazie ad una visione strategica sostenuta da una costante iniziativa di dialogo con l’URSS.
Oggi, in una grave e decisiva congiuntura internazionale, non sembra invece sia possibile avviare reali iniziative di pace mentre l’unica via sembra sia una forsennata corsa agli armamenti.
Un passaggio dell’articolo di Jeffrey Sachs The Summit of the Future, riecheggiando Huntington, risponde a molti interrogativi sul presente e sul futuro: «Per quanto riguarda l’obiettivo della pace, la sfida principale oggi è la competizione tra grandi potenze. Gli Stati Uniti sono in competizione con Russia e Cina. Gli Stati Uniti mirano al primato in Europa sulla Russia e al primato in Asia sulla Cina. Russia e Cina resistono agli Stati Uniti. Il risultato è la guerra (in Ucraina) o il rischio di guerra (in Asia orientale). Abbiamo bisogno di un sistema guidato dalle Nazioni Unite più forte in cui la competizione tra grandi potenze sia governata e frenata dalla Carta delle Nazioni Unite piuttosto che dal militarismo e dalla politica di potenza. Più in generale, siamo oltre l’era in cui un singolo Paese può o dovrebbe aspirare al primato o all’egemonia. Le grandi potenze dovrebbero vivere in pace e rispetto reciproco sotto la Carta delle Nazioni Unite, senza minacciare la sicurezza le une delle altre.»
Immagine di apertura: Uomini del corpo dei Marines, foto di Military Material, Pixabay