Dovevano rivoltare l’Europa come un calzino. No, scusate: quelli erano i Cinque Stelle del 2018, quando ancora avevano la verve lessicale di Beppe Grillo; e parlavano del Parlamento italiano. Questi promettevano, in termini meno olenti, di cambiare l’Europa. E, invece, sono più divisi che mai e fuori da tutto: o messi alla porta o tenuti lì a fare tappezzeria durante la festa, con l’agendina dei balli desolantemente vuota.

Il giro delle nomine ai vertici delle Istituzioni europee lascia l’Italia e le destre d’Italia e d’Europa senza nulla in mano: né posti, ché comunque erano improbabili; né crediti da riscuotere o influenze da esibire. Quasi patetico, adesso, il tentativo di giocare come riscatto quello che il Trattato assegna di diritto: l’indicazione d’un commissario, che – per quel che conta – sarà pure vice-presidente, dotato d’un portafoglio d’interesse (ma attenti alle scatole vuote col bel coperchio, il Mediterraneo, l’immigrazione, la difesa).

Stefano Feltri, sui suoi Appunti, scrive della premier italiana Giorgia Meloni: “Una dilettante. Dopo mesi a pretendere un ruolo per l’Italia e il suo governo, Meloni si mette fuori da tutto… La premier non capisce la politica europea… Un disastro che forse certifica l’inizio della parabola discendente di una figura che è stata sopravvalutata da tutti, anche a Bruxelles…”.

Ue: nomine, il percorso delle scelte fino al voto del 18 luglio
Succede tutto tra la vigilia del Vertice europeo del 27 giugno, quando i leader popolari, socialisti e liberali dei 27 fanno le loro scelte, comunicandole ai pochi partner restanti a cose fatte, e la prima sessione plenaria del Parlamento europeo eletto a giugno, dal 15 al 18 luglio. Nella giornata finale, Ursula von der Leyen, popolare, tedesca, viene confermata alla guida della Commissione europea per un secondo mandato con 401 voti, largamente oltre la maggioranza di 361 su 720.

L’intesa con Meloni, che pareva solida, quasi un’amicizia, costruita con ripetute visite in Italia e segnali di vicinanza, viene meno: Fratelli d’Italia vota contro.

La nuova legislatura del Parlamento europeo eletto a suffragio universale inizia a spron battuto: il sì a Uvdl segue la conferma, martedì 16, di Roberta Metsola, pure popolare, maltese, alla presidenza dell’Assemblea con la maggioranza più larga di sempre, 563 voti su 720.

Il ‘gotha’ europeo della legislatura 2024-’29 è completato da Antonio Costa, ex premier portoghese, socialista, presidente designato del Consiglio europeo – l’1 novembre, succederà al liberale belga Charles Michel – e da Kaje Kallas, liberale, premier estone, che sarà capo della diplomazia europea – il titolo ufficiale è alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune -. Kallas, che presiederà i lavori del Consiglio dei Ministri degli Esteri dei 27, ma che sarà anche vice-presidente della Commissione europea, dovrà ottenere, in autunno, la fiducia del Parlamento.

Attesa con trepidazione, e con un’incertezza alimentata in particolare dai media italiani, come se l’esito del voto dipendesse dall’atteggiamento di Fratelli d’Italia, l’investitura di UvdL scivola via liscia e senza intoppi: nelle fila della maggioranza europeista, popolari, socialisti e liberali, che messi insieme fanno 401 seggi – la coincidenza con il risultato è casuale -, ci sono come previsto decine di franchi tiratori, ma il sostegno dei verdi li integra abbondantemente. Lo scenario è ben diverso da quello di cinque anni or sono, quando von der Leyen, impallinata da molti dei suoi, passò per soli nove voti di margine e il consenso degli euro-deputati del M5S risultò decisivo.

Ue: nomine, il discorso di UvdL e il comportamento di Meloni
Dopo Jacques Delors e Manuel Barroso, von der Leyen, 66 anni, figlia di un alto funzionario europeo, madre di sette figli, poliglotta, ex ministro della Difesa tedesco, diventa il terzo presidente della Commissione europea confermato per un secondo mandato pieno. Nel discorso con cui chiede la fiducia agli euro-deputati, Uvdl prospetta un’Europa che sia il luogo migliore dove crescere ed invecchiare e si impegna a non accettare mai che demagoghi e populisti distruggano il modello di vita europeo.

Novello Pollicino, Ursula dissemina di contentini il suo intervento programmatico, perché ciascuna forza politica ed ogni Paesi possa trovarci qualche soddisfazione, dal Green Deal all’immigrazione, dalla difesa alla sicurezza, all’attenzione per il Sud e il Mediterraneo. In questo contesto, sono quasi d’ordinanza gli attacchi al premier ungherese Viktor Orban e alla sua diplomazia alternativa e ‘dissidente’, con le missioni, in successione, a Kiev, Mosca, Pechino, Washington e Mar-à-lago, donde è tornato portando il messaggio che Donald Trump sta tornando e che l’Europa deve cambiare registro sull’Ucraina.

Gli italiani sono così schierati: per Uvdl, il Pd e Forza Italia; contro la Lega e gli eletti confluiti nella Sinistra. Fratelli d’Italia si tiene le carte in mano fino all’ultimo, anche dopo una telefonata, mercoledì sera, fra la presidente designata e la premier: Meloni non svela il voto di Fratelli d’Italia prima dello scrutinio e, a cose fatte, si scopre che aveva in mano solo scartine, perché se avesse votato sì sarebbe stata irrilevante e votando no lo è a maggior ragione.

L’Italia resta fuori dai giochi anche nel Parlamento, come le era già successo nel Consiglio europeo. Forse Meloni è un po’ frastornata dagli impegni internazionali a getto continuo, che le tolgono lucidità: il G7 in Puglia; il Vertice della Pace paradossale – e senza pace – in Svizzera; due Vertici europei (uno informale e uno formale); il Vertice della Nato a Washington; una visita in Libia mercoledì 17 – inutile e quasi provocatoria -, a parlare di emigrazione; e, giovedì 18, a Londra, l’appuntamento della Comunità politica europea inventata per tenere la Gran Bretagna dentro l’Europa in qualche modo  – l’incontro è un’occasione per il nuovo premier britannico Keir Starmer d’incontrare per la prima volta molti suoi colleghi -.

Ue: Parlamento europeo, bilancio della prima sessione
La prima plenaria dell’Assemblea uscita dal voto di giugno è andata di gran carriera: martedì, l’elezione di Metsola, poi dei 14 vicepresidenti (11 gli eletti al primo turno) – due sono gli italiani: Pina Picierno, Pd, confermata, e Antonella Sberna, Fratelli d’Italia – e dei questori. Scatta e funziona il cordone sanitario che tiene fuori dai posti istituzionali i due gruppi di estrema destra, Patrioti – Lega e ‘lepenisti’, insieme a Orban – e sovranisti – AfD e altri variamente neo-nazisti -: nessun posto va a loro.

L’Assemblea vota anche una risoluzione in cui ribadisce il sostegno all’Ucraina, politico, economico e militare, per tutto il tempo che sarà necessario fino alla vittoria, progetta di estendere le sanzioni contro Russia e Bielorussia e depreca la missione a Mosca di Orban. La risoluzione passa con 495 voti favorevoli – praticamente la maggioranza Ursula più verdi e conservatori -, 137 contrari e 47 astensioni. I no delle destre ‘putiniane’ e delle sinistre ‘pacifiste’ sono diversamente motivati.

A margine di dibattiti e votazioni, la preparazione del voto d’investitura di UvdL, la cui incertezza, secondo i media italiani, ruota tutta intorno ai deputati di Fratelli d’Italia: I loro voti possono rivelarsi necessari, per garantire a UvdL la maggioranza, ma anche letali, perché possono farle venire meno suffragi della maggioranza che sulla carta la sostiene.

Nella settimana dell’8 luglio, von der Leyen aveva avuti incontri con i gruppi della sua maggioranza ‘europeista’ e con i verdi: socialisti, liberali e verdi avevano subordinato il loro appoggio a che non ci fossero “accordi” con i conservatori europei, il gruppo cui fanno capo gli italiani di Fratelli d’Italia, oltre che i polacchi di Diritto e Giustizia. “Il nostro supporto non è un assegno in bianco”, aveva avvertito la capogruppo socialista Iratxe Garcia Perez. UvdL s’era impegnata a non avere “cooperazioni strutturate” con i conservatori. Dopo avere serrato i ranghi con maggioranza e verdi, la presidente designata aveva avuto a Strasburgo un confronto con i conservatori, mentre non aveva visto i due gruppi di estrema destra.

Ue: Parlamento europeo, ruolo Orban in destra più forte, ma più frammentata
La nuova Assemblea presenta, infatti, la novità importante di tre gruppi di destra ed estrema destra, rispetto ai due precedenti: i conservatori; i patrioti, coagulati per iniziativa dell’ungherese Orban e dove sono confluiti con un peso prevalente i deputati francesi di Marine Le Pen e i leghisti italiani; e i sovranisti nati per iniziativa dei tedeschi dell’AfD e che raccolgono schegge minoritarie ed estremiste di vari Paesi, pescando in un sottobosco di anti-abortisti, filo-russi, populisti e simpatizzanti ‘nazi’. Del resto, sono oltre 50 gli eurodeputati provenienti da liste mai viste prima d’ora nell’emiciclo di Strasburgo: una truppa eterogenea, che non aiuta il progetto d’integrazione.

Dei tre gruppi di destra nel Parlamento europeo, i patrioti sono il più numeroso, avendo messo insieme più seggi dei conservatori; i sovranisti sono il più piccolo. Patrioti e conservatori, sono, rispettivamente, la terza e quarta forza dell’Assemblea (84 e 78 seggi rispettivamente), dietro popolari (188, più di uno su quattro) e socialisti (136, quasi uno su cinque), avendo entrambi scavalcato i liberali (76 seggi).

I nomi ufficiali sono Conservatori e Riformisti europei, Patrioti per l’Europa, Europa delle Nazioni Sovrane: molti i punti di contatto – opposizione al Green Deal, lotta alla migrazione, rivendicazioni identitarie e religiose -, ma anche molte differenze sul piano dell’integrazione europea, dell’atlantismo, dell’atteggiamento nei confronti delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente.

I patrioti nascono – come già detto –  da un’intuizione di Orban, che intendeva inizialmente coagulare intorno al suo Fidesz partitini di Paesi dell’ex Europa orientale, al punto che Politico intitolava “l’impero asburgico colpisce ancora’, ma che ha poi ‘calamitato’ l’ex gruppo Identità e Democrazia.

L’operazione non ha però fatto venire meno il ‘cordone sanitario’ che, nella passata legislatura, tagliava fuori Identità e Democrazia dalle presidenze delle commissioni e da altri ruoli significativi nel Parlamento europeo e che, adesso, taglierà fuori i patrioti e i sovranisti, perché – dice una fonte dei popolari – “non vogliamo che le istituzioni europee siano rappresentate da ‘amici di Putin’”, che “sono contro il progetto europeo”.

Valutazioni confermate dalla criticatissima iniziativa del premier Orban che, dopo che l’Ungheria ha assunto il primo luglio la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue, è stato, sua sponte, a Kiev, Mosca e Pechino e a trovare l’ex presidente Usa Donald Trump: una missione di pace per l’Ucraina non avallata dai partner europei. A Orban, il Parlamento europeo gliel’ha già fatta pagare negandogli l’occasione di presentare il programma della presidenza ungherese dall’evocativo slogan ‘trumpiano’, ‘Make Europe Great Again’: non c’era spazio a luglio, se ne parlerà forse a settembre.