C’è stato un tempo in cui l’Italia ha affrontato le sfide energetiche con la forza necessaria per non restare indietro. Gli anni dal dopoguerra alla fine dei ’70 sono stati decisivi per l’economia, l’industria, il commercio, la crescita. L’energia é stato il pilastro principale su cui ricostruire un paese distrutto dalla guerra. Non ci si poteva fermare e immaginare uno Stato democratico dentro un consesso internazionale di pace e sviluppo, dopo la sventurata parentesi del fascismo, era l’unica strada da seguire. Enrico Mattei intuì la straordinaria potenza delle fonti di energia e mise direttamente nelle mani dello Stato il controllo del sistema. Fu una scelta concreta e lungimirante che rese la « sua » Eni dominus delle politiche energetiche italiane. Non era ancora l’epoca delle battaglie per l’ambiente e quindi terminal petroliferi e raffinerie furono piazzati dove più conveniva.
L’Italia ha goduto, dunque, per lungo tempo di una reale tranquillità con le centrali elettriche alimentate da combustibili fossili e con impianti petroliferi e gasieri adeguati. La crisi petrolifera del 1973 con l’aumento del prezzo del petrolio segnò la svolta di quello che- enfatizzando- possiamo definire anch’esso sviluppo sostenibile per quella Italia e per i bisogni di allora. La svolta epocale di uno sviluppo sostenibile declinato in chiave ambientalista, senza sprechi di risorse, proteggendo salute e sviluppo economico e sociale, richiede nuove intuizioni, strategie condivise, tecnologie. Quello che ci aspetta non è agevole , non solo per l’Italia, evidentemente. Chiudere un’epoca e affrontarne una nuova con infinite variabili impegna più di una generazione. L’idea di una transizione energetica ed ecologica è sicuramente vincente, ma bisogna avere nuova forza per competere con chi è stato più abile a costruire le basi di un nuovo modello di sviluppo. Quelle basi sono costituite dalla disponibilità di materie necessarie a incrementare le fonti energetiche rinnovabili. Sono dette materie prime e rare, dal che si comprende la competizione globale ad accaparrarsele.
In Italia ce ne sono di materie prime sparse nel Nord, in Sicilia, in Sardegna, in Toscana. Si trovano in vecchie miniere abbandonate che bisogna riaprire. L’Europa, sebbene in ritardo, ha autorizzato i paesi membri a riprendere le esplorazioni e in Italia l’Ispra -Istituto per la protezione ambientale- ha creato una banca dati con indicazione delle vecchie miniere. Le estrazioni minerarie, dunque, riprenderanno ma con nuovi metodi. I difensori ad oltranza dell’ambiente stiano tranquilli. Le tecnologie disponibili – dall’intelligenza artificiale, all’uso di droni, alle macchine ad alta precisione- permettono di non distruggere parti di territorio inutilmente. La stessa ingegneria mineraria estrattiva si è evoluta al punto da integrarsi con pratiche di economia circolare. Il processo da mettere in piedi deve avvenire in maniera controllata e con il massimo rispetto per la natura. Attualmente le miniere attive in Italia sono più di 70 e in 22 si trovano materiali inclusi nell’elenco delle 34 materie prime critiche stilato dall’UE. Il litio, cosi prezioso e costoso, per dire, si trova nei giacimenti geotermici in Toscana e nell’alto Lazio. Siamo davanti a una nuova ma intrigante gara con ciò che si trova nel pianeta. L’Italia ha le carte in regola per recuperare un passato ideologico ostile a ricerche e esplorazioni. Salvare il pianeta con le sue stesse buone risorse è una partita che davvero non si può perdere.