Sempre di più, dopo lo scoppio delle guerre in Ucraina e in Palestina, sento professori di diritto internazionale, giornalisti, politici e altri analisti, lamentarsi delle sempre più frequenti violazioni di quello che veniva considerato il diritto internazionale. Sono indignati o soltanto tristi anche per l’inefficacia – l’inesistenza – delle istituzioni multilaterali, sulle quali intendevamo basare i rapporti fra gli Stati, prevenire i conflitti ma anche lavorare concretamente a supporto dello sviluppo economico e la difesa delle comunità più deboli del pianeta.
Nella mia esperienza quarantennale di professore di diritto internazionale, di diritto internazionale dell’economia e diritti umani, ho dovuto imparare che, soprattutto i giovani delle attuali generazioni, hanno bisogno di grandi sintesi, di percorsi più semplici e chiari per comprendere la complessità del mondo. Giustamente i manuali sui quali chiediamo loro di studiare, vengono scritti da studiosi e professori, più per mostrare la loro competenza e vincere i concorsi a cattedra, che per insegnare agli studenti. Questi manuali sono lunghi e complessi, e si corre il rischio che quando si commenta il capitolo 10, tutti si siano dimenticati del contenuto dei capitoli precedenti. Quando si è specialisti di una materia, è ovvio, e probabilmente anche più facile, mettere sulla carta lunghe analisi, nelle quali si commentano i percorsi storici, con moltissimi dettagli e approfondimenti, che possono far perdere il filo del discorso.
Mi sono quindi sforzato sempre di più, e non è un’operazione facile, di sintetizzare i grandi passaggi che hanno caratterizzato alcuni momenti storici chiave, e che facilitano la comprensione del periodo attuale, di come ci siamo arrivati, e quindi anche della crisi del diritto e delle istituzioni internazionali.
Come ho detto, la sintesi non è facile, perché è rischioso proporre una rapida occhiata di quasi quattrocento anni di storia, e ad alcuni potrà anche apparire superficiale, ma certamente aiuta a capire con più immediatezza e soprattutto, con molta più chiarezza. Un mio amico andò a visitare un notissimo tempio buddista in cima a una piccola montagna. Il suggerimento che gli diede il più vecchio dei monaci fu di guardare il mondo il più possibile dall’alto. Spariscono i dettagli ma finalmente si identificano le cose più importanti, quelle che caratterizzano un territorio e la società umana che ci vive.
Ho già descritto, con maggiore precisione, il primo grande tentativo di dare un assetto alla comunità internazionale, nel mio precedente articolo “Nostalgia di Vestfalia”. La pace di Vestfalia è stata infatti sicuramente il primo momento per la comunità internazionale di cercare di darsi un assetto, un equilibrio delle forze. Non fu il prodotto di grandi strategie, ma le due conferenze di pace costituirono soltanto il risultato della constatazione che la guerra dei trent’anni, che aveva insanguinato l’Europa, e alla quale avevano partecipato tutti gli Stati allora esistenti – seppur con alterne vicende – non aveva portato a nulla, se non a fame, massacri e povertà. Non si trattava quindi di una scelta visionaria, ma soltanto del riconoscimento che la guerra non portava a nulla, non garantiva nessuno, produceva soltanto instabilità e insicurezza per tutti. Meglio era optare per una cristallizzazione della situazione esistente, assicurando, per quanto possibile, lo status quo di paesi piccoli e grandi, e prevenendo soprattutto la tendenza delle grandi potenze di allora, di espandersi annettendo con la forza altri Stati e comunità.
Non si impedirono certamente altre guerre, ma soprattutto l’Inghilterra, che era più difficile da aggredire per la sua posizione insulare, intraprese un lunghissimo periodo di azioni e soprattutto politiche di contenimento delle pretese dei più potenti.
Per dirla in modo più semplice e comprensibile, il sistema funzionò fino alla rivoluzione francese e all’avvento di Napoleone. Però, dietro le guerre del grande statista francese, non c’era soltanto una volontà di conquista, ma anche l’intenzione di esportare i valori della rivoluzione, costituiti essenzialmente dal rispetto dei diritti, della sovranità, e quindi dell’indipendenza di molti popoli, la maggior parte dei quali faceva allora parte i grandi imperi, come quello austroungarico e quello ottomano. La comunità internazionale, grazie a Napoleone stava vivendo uno straordinario mutamento storico.
Il congresso di Vienna, soprattutto ad opera del grande statista austriaco Metternich, fu l’ultimo tentativo di ritornare a quel sistema di equilibri, e molto saggiamente, senza indebolire troppo o umiliare l’integrità politica e territoriale della Francia, che pure era la grande perdente, con la caduta di Napoleone.
Il tentativo non riuscì, soprattutto per l’espansionismo della Prussia, guidata dal cancelliere Bismark, che aveva come obiettivo l’unificazione dei popoli tedeschi, e la creazione di una grande potenza.
La prima guerra mondiale mise definitivamente in crisi il sogno di una comunità internazionale basata sugli equilibri degli Stati e delle potenze di allora. E la pace di Versailles sanzionò il fallimento del tentativo di ritornare all’equilibrio delle forze, soprattutto a causa dell’umiliazione inflitta alla Germania, una delle più importanti ragioni dell’avvento di Hitler e dell’affermazione del nazismo.
Fu la visione del presidente americano Wilson, a tentare di cambiare le cose, creando la Società delle Nazioni, il primo grande esperimento di multilateralismo, volto ad assicurare la pace attraverso la prima grande istituzione di partecipazione di tutta la comunità internazionale. Questa si che era una grande visione, probabilmente troppo grande e troppo in anticipo sui tempi, e non fu capace di evitare lo scoppio della seconda guerra mondiale.
Ciononostante i più importanti membri della comunità internazionale, le potenze vincitrici della guerra, compresero il grande messaggio di Wilson, dando vita all’Organizzazione delle Nazioni Unite, e progressivamente alle sue molte agenzie specializzate, che sarebbero state lo strumento di collaborazione costante fra tutti gli Stati del mondo, avendo la capacità di intervenire sui grandi bisogni della comunità umana, come la moneta e la finanza, lo sviluppo, la sanità, la circolazione di navi ed aerei, e persino le comunicazioni postali e la meteorologia. L’Unione Europea nacque nel secondo dopoguerra con lo stesso spirito di evitare le guerre e promuovere la collaborazione e l’integrazione fra gli stati europei. L’ONU non riuscì certamente a prevenire tutti i conflitti, ma nel frattempo si era raggiunto di fatto, un nuovo e diverso equilibrio delle forze: quello del confronto fra i paesi occidentali del liberismo economico, e quello del comunismo dell’Unione Sovietica e dei suoi satelliti. È vero, ci fu una costante azione dei due gruppi per acquisire alla loro parte paesi e comunità umane, ma l’equilibrio crollò definitivamente con il disfacimento dell’Unione Sovietica e l’acquisizione dell’indipendenza di tutti quei paesi, soprattutto dell’Europa dell’est, che avevano fatto parte, obtorto collo, del mondo socialista. Il capitalismo e il liberismo economico avevano trionfato senza sparare un colpo di cannone, e qualcuno (Francis Fukuyama) parlò addirittura della fine della storia.
In molti erano convinti che la Russia, uscita dal comunismo, sarebbe stata felicemente acquisita al liberismo, del capitalismo e del consumismo, cioè al sistema economico che appariva il vincitore. Nessuno, o pochissimi, videro arrivare Putin, che, come avvenne per la Germania di Hitler, seppe sfruttare l’umiliazione della grande Russia, che, da grande potenza, si era tramutata in un paese economicamente sottosviluppato, e aveva perduto il suo status storico di grande potenza mondiale. Per ritornare ad esserlo, Putin sta tentando di farlo con la guerra e con le armi. L’Ucraina era il bersaglio ideale, perché molti la consideravano come una propaggine della Russia, un po’ come l’Algeria per la Francia, ed era anche un obiettivo importante, per la dimensione territoriale e per le grandi risorse agricole e minerarie che possiede.
Gli Stati Uniti e il mondo occidentale, avrebbero probabilmente potuto prevenire la volontà espansiva del nuovo dittatore russo, e molti analisti hanno denunciato gravi errori di valutazione. Si poteva forse capire che un’Ucraina nella Nato avrebbe potuto essere interpretata come una politica volta a isolare sempre più la Russia. Ma, permettetemi di dirlo, i ragionamenti fatti con il senno del poi, lasciano il tempo che trovano.
È però senz’altro una realtà, come molti commentatori affermano, che il consolidarsi dei BRIC, e quasi sicuramente anche la guerra in Palestina, mostrano che è saltato di nuovo un equilibrio, l’ultimo equilibrio vestfaliano, e cioè quello dei due blocchi che avevano assicurato la pace dopo la seconda guerra mondiale. Molti paesi, non solo la Cina, ma anche il Brasile, l’India e molti altri, vogliono contare, e rendersi più indipendenti da un sistema troppo a lungo governato dagli USA e dal mondo occidentale. Purtroppo però, anche il sistema ONU era basato sugli equilibri di forze stabilitisi dopo l’ultimo grande conflitto ed esso va profondamente riformato per tenere conto della nuova Vestfalia. Quando lo si critica, per la sua incapacità di prevenire i conflitti, e per la sua attuale debolezza, si dovrebbe però sempre ricordare che non c’è una visione alternativa ad una gestione multilaterale della comunità internazionale. La comunità internazionale, che vedranno i miei figli, tornerà necessariamente ad un nuovo sistema vestfaliano, dove, speriamo, l’equilibrio sarà accompagnato dalla collaborazione.
Per questo obiettivo vale la pena di continuare a combattere, e non solo con le armi, ma con una diplomazia forte e visionaria.