Palazzi danneggiati nel centro di Lviv dal recente bombardamento, settembre 2024 – Foto di Oleksandra Provozin
A Piazza delle Erbe, una donna in bronzo, con scomposti abiti antichi, protende al cielo la spada, raffigurando la Civiltà Italica, in ricordo dei tanti civili uccisi dal bombardamento aereo austriaco del 14 novembre del 1915.
Una coppia sofferente con un bambino in braccio emerge dalla fontana in piazza Pradaval: commemorano le vittime civili della guerra, senza data precisa, in una città che ha subito bombardamenti pesanti nella Seconda Guerra mondiale.
I veronesi e i turisti passano davanti a questi due monumenti senza notarli. Per loro è storia passata e presto dimenticata. Il fatto che qualche generazione fa in questa bella città la gente moriva schiacciata sotto le macerie non li colpisce in alcun modo. La guerra è stata rimossa dall’orizzonte come un’ombra oscura da cancellare perché lontana dall’attualità.
Poco importa che a un migliaio di chilometri più verso Nord-Est succedono ora le stesse cose che succedevano in Italia fino al 1945; il fragore della guerra non giunge dall’Ucraina alle orecchie dei più.
Nello stesso tempo, ci sono gli ucraini che reclamano giustizia e attendono, con una sempre più flebile fiducia, che arrivano i soccorsi: quelli veri, risolutivi. Si rivolgono ad un’entità essenziale nell’immaginario collettivo ucraino: il “mondo”, a volte indicato come “civilizzato”, “occidentale”, “sviluppato”, al quale si attribuiscono qualità salvifiche. L’“Occidente collettivo” è raffigurato come onnisciente, onnipotente e soprattutto capace di salvare l’Ucraina con poche ed efficaci mosse, garantendone la vittoria. Per certi tratti questa ipotetica entità è vista alla stregua di un Dio, giudice supremo che interviene per dirimere ogni conflitto, benevolo con i buoni e severo coi peccatori, a cui rivolgersi nel momento di sconforto.
Gli ucraini e i loro amici non si stancano di appellarsi sui social al risveglio dell’Occidente. Credono che “il mondo” sia pronto ad intervenire, solo che si è distratto un attimo o forse non si è informato abbastanza. “Fino a quanto l’Europa resterà in disparte?”, “il mondo ha dimostrato di nuovo la propria incapacità e ha rivelato che il diritto internazionale non vale nulla.” “Europa, quante vittime ti servono ancora per capire che c’è un genocidio alle tue porte?”, “quando il mondo civilizzato aprirà gli occhi, basta tergiversare!”, “il mondo civilizzato farà passare liscia anche questa?”
Questi appelli accorati, affiorano con maggior frequenza dopo i bombardamenti russi. In tutte le sfumature dalla speranza di salvezza alla rabbia puntano il dito sulla debolezza occidentale, esprimendo emozioni legittime senza però farle arrivare al destinatario. Rivolgersi al “mondo” sui social è il modo sicuro per farsi del male perché è un interlocutore… inesistente.
La vittoria non arriva non perché gli ucraini non abbiano gridato abbastanza forte per farsi sentire, o perché i russi non hanno compiuto abbastanza atrocità per convincere il “mondo” ad agire.
Semplicemente, tragicamente, non esiste il mondo monolitico, benevolo, pronto a porre subito la giusta fine alla guerra e tornare alla situazione di partenza del febbraio del 2014.
Esistono invece pochi eletti (letteralmente) che hanno in mano le redini della situazione, ma, non essendo delle divinità, non guardano i fatti dall’alto della prospettiva globale e futura. Non sono i principi etici assoluti del bene e del male a guidarli e nemmeno quelli più terreni di legalità e giustizia. Il loro orizzonte è la loro poltrona e nello scegliere la direzione, e prima di prendere le decisioni, badano soprattutto a mantenere quella.
Ad innalzare queste persone al livello decisionale sono stati i cittadini con lo stesso orizzonte bloccato a livello della propria esistenza; vogliono continuare una vita tranquilla, rimuovendo dal campo visivo ogni difficoltà che non sia pertinente al loro immediato quotidiano. Queste stesse persone sono nipoti e pronipoti di chi ha vissuto la dittatura e la guerra ed è riemerso senza fare alcuna analisi di coscienza per continuare ad esistere. Ora, passeggiano con un gelato in mano all’ombra dei monumenti ai caduti, di cui non si ricordano più nemmeno il nome, ciechi e sordi al dolore altrui.
Intanto, l’Ucraina è costretta a difendersi da sola, con i mezzi propri e gli aiuti esteri centellinati quanto basta. Le armi fornite sono spesso obsolete, e quelle poche avanzate e costose sono comandate da chi le ha fornite e non da chi è sul campo. La NATO sta a guardare. I piloti dell’aeronautica polacca accompagnano in volo i Kinzhal russi, li osservano a distanza ma non li abbattono. Finché non entrano nel sacrosanto suolo della comunità europea, i missili russi non sono un problema (ma poi anche se entrano per qualche istante, poco cambia). Così le armi mortali dei russi giungono a destinazione, causando morte e distruzione. L’apatia della maggioranza degli europei moltiplicata per mancanza di coraggio di alcuni leader politici e l’intenzionale sabotaggio di altri si trasformano in vite stroncate e case bruciate.
Il rifiuto dei fornitori delle moderne armi offensive di dare i codici di lancio verso gli obiettivi militari russi si spiega ufficialmente con il desiderio di evitare le reazioni violente della Russia, cosiddetta “escalation”. Questo anglicismo nasconde la paura dell’uso di armi nucleari, tema tradizionale delle minacce russe, dimostratesi vane ad agosto, quando gli ucraini hanno occupato un pezzo della regione di Kursk. Ignorando quanto accaduto, i russi vanno avanti ad accanirsi contro le città dell’entroterra ucraina e i villaggi della zona di fronte: nessuna bomba nucleare all’orizzonte.
La posizione dei politici europei sembra partire da una premessa: proteggiamo l’Ucraina ma senza scomodare la Russia più di tanto. Che facciano pure male agli ucraini, basta che non tocchino nessun paese del “primo mondo”. Cercano di salvare la faccia alla Russia dimenticano i propri impegni formali, contenuti nel Memorandum di Budapest nel 1994, che ha privato l’Ucraina di aerei e testate nucleari in cambio di promesse (non mantenute) di difenderla in caso di un’eventuale aggressione.
I politici che non permettono ai militari di inviare un codice che distruggerà un obiettivo legittimo sul territorio russo temono che le conseguenze di un lancio serio arrivino sul loro territorio. Eppure, a rigore di logica, proprio rendendo autonomi i militari ucraini avrebbe spostato la responsabilità (e quindi le eventuali rappresaglie del paese aggressore) sulle spalle altrui. Il fornitore delle armi non risponde per l’uso che ne fa l’utente, come il produttore o il venditore di qualunque strumento non risponde di ciò ch’è fatto con quel strumento.
A differenza da quanto ha affermato di recente Sabrina Singh, portavoce del Ministero della Difesa degli USA, Nel raggio di 300 kilometri dalla frontiera, oltre ad altri target militari, ci sono le 20 basi aeree russe che ospitano aerei ed elicotteri da combattimento, i quali possono girare liberamente su tutto il territorio ucraino. Distruggerli avrebbe debellato drasticamente le possibilità di attacco aereo, ma il permesso di farlo non arriva e si allunga la lista di nuovi bombardamenti: Kharkiv, Poltava, Kyiv, Sumy, Kryvii Rih, Nikopol, Kherson. In queste città, citando parte della dedica sul movimento alla Civiltà Italica a Verona, “su placida vita d’inermi, tra luci d’arte e di storia, piovve barbaro fuoco” e ha bruciato vite umane, intere famiglie o singole persone dal futuro brillante, come la diciottenne Veronika Kozhushko, pittrice di Kharkiv, uccisa 31 agosto in periferia di Kharkiv, a casa propria. Altrettanto atroce è stata la scomparsa delle donne della famiglia Basilevich, madre e tre figlie uccise dai russi il 4 settembre. Le ragazze e la madre sono state uccise, il padre sopravvisse, emergendo dalle rovine della propria casa solo per rendersi conto della straziante verità. Appartenevano alla élite culturale di Lviv, parenti del famoso scrittore Ivan Franko. Le figlie facevano parte di Plast, organizzazione ucraina degli scout.
Intorno alla loro palazzina, il missile russo ha distrutto edifici storici, in sfregio al fatto che il centro storico di Lviv è sotto la protezione dell’UNESCO. Conosco questa strada perché una coppia di miei amici abita proprio lì. Quando andavo a trovarli, ammiravo la romantica atmosfera di un piccolo mondo antico, fatto di casette ottocentesche, che sono sopravvissute a due guerre, conservando il fascino di una città mitteleuropea. Non immaginavamo allora che ci sarebbe stata una terza guerra, quella fatale per l’Ucraina e non pensavo che proprio perché antiche, fatte con il legno e senza moderne strutture più resistenti, queste villette, oltre che belle fossero anche molto fragili.
Non so se la casa della famiglia Basilevich verrà demolita o ricostruita, ma in ogni caso, un turista in futuro, passandoci davanti, la vedrà intera, e solo una targa commemorativa ricorderà i caduti.
Quante altre targhe commemorative appariranno sui muri dei palazzi in tutta l’Ucraina? Cosa indicheranno. La data di una morte prematura o una vita lunga e creativa? Dipende da voi. Sì, dipende da ogni singolo cittadino europeo, capace di cogliere ed analizzare le informazioni e di reagire. Gli ucraini hanno fatto la loro parte in apparenza impossibile: respingere subito e bloccare per anni l’esercito russo, più preparato e numeroso rispetto a quello del paese invaso.
Ma nessuno può vincere finché è mal armato e ha una mano legata dietro la schiena. Finché l’ipotetico “mondo”, fatto in realtà da una moltitudine di persone reali, non si sveglierà, il conto dei morti è destinato a crescere. Sottovalutare il pericolo che porta l’aggressione russa all’Europa è un errore fatale che già fu fatto ai tempi di Chambelrain e Daladier. La paura dell’escalation e la speranza di evitare lo scontro diretto caricando la difesa del continente europeo sugli ucraini, incoraggia la Russia ad agire indisturbata con sempre maggiore crudeltà.
Sembra a volte, che per i comuni cittadini italiani il massacro degli ucraini sia un prezzo accettabile per il proprio quieto vivere. Un popolo visto con simpatia, ma tutto sommato adatto al ruolo di vittima sacrificale, buttata in pasto all’orso, con la speranza che quello si sazi e non vada oltre. Basterebbe aver studiato la storia per capire: funziona al contrario. Avere più territori occupati e soggiogati rafforza il paese dittatoriale e lo spinge a espandersi ulteriormente, mietendo vittime e distruzioni. Quando verranno fermati? La responsabilità è di ogni singola persona che può agire, ciascuno nel proprio raggio di possibilità di influire sulla realtà, secondo coscienza. La storia poi presenterà il conto, e condannerà gli avidi, i pavidi, gli ignavi e i venduti. La loro complicità con l’aggressore, sia esplicita nell’azione per tornaconto personale, sia implicita nell’inerzia di chi non vuole informarsi, assiste i russi nella loro guerra sporca, dando un contributo alla parte sbagliata in questo scontro di civiltà e barbarie.