Credo che settembre sia diventato il mese degli inizi da quando esiste la scuola.
È una connessione così stretta che, ormai, nessuno dei due farebbe a meno dell’altra.
Questa rubrica non poteva restare indifferente a tutte le “anime libere” che, da questo mese, ripopoleranno quegli edifici che senza le loro risate e i loro buffi commenti sarebbero solo un cumulo di cemento triste e sterile.
Purtroppo, negli anni, la scuola è regredita perché si è evoluta nei comparti sbagliati.
La scuola privata ha preso piede perché, attualmente, rappresenta tutto quello che prima era la scuola pubblica, e alla scuola sono legate dinamiche complesse che pervadono anche il sociale perché, dietro ogni bambino, adolescente e ragazzo, non c’è solo la famiglia ma anche la scuola.
L’importanza e l’attenzione che, soprattutto nell’ultimo periodo, sta ricevendo il campo di studio delle emozioni è strettamente correlata a questo argomento visto che le emozioni si sviluppano all’interno e mediante le relazioni.
Il “campo famiglia” è stato analizzato in tutte le sue parti, in tutte le sue criticità e fragilità, ma quello della scuola invece?
In questo Paese un genitore, per essere tutore del proprio figlio, deve possedere determinati requisiti mentali ed economici, altrimenti intervengono i servizi sociali; ma nella scuola chi valuta che gli insegnanti abbiano l’attitudine psichica oltre che quella morale all’insegnamento?
La questione si pone dal momento in cui la scuola rappresenta il secondo luogo dove si trascorre più tempo di vita.
Ho raccolto testimonianze di genitori in cui si evidenziano comportamenti poco educativi da parte di insegnanti che si permettono, diciamo così, di essere poco carini con bambini e adolescenti. Ricordiamo che l’art. 32 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia recita che: “non si può nuocere alla salute, allo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale del bambino”.
I bambini, soprattutto quelli della scuola primaria, dovrebbero essere invece incentivati e correttamente guidati in un percorso che non è un test a crocette ma la base fondamentale per una sana costruzione emotiva, sociale e didattica.
Questi sono i vuoti che portano la scuola pubblica a fallire e quella privata a stampo montessoriano a decollare.
La scuola di un tempo era montessoriana anche se nessuno lo diceva e a nessuno interessava pubblicizzare volumi e giochi di Maria Montessori, educatrice e pedagogista.
Uscivamo tutti all’aria aperta a ricreazione, sapevamo cadere e rialzarci, piangere, sapendo di essere consolati, e ridere.
La scuola non era solo temi e tabelline, la scuola ci insegnava la vita, i suoi profumi, i colori e le emozioni. Malgrado tutto, la nostra è stata una generazione di persone che ha portato a casa grandi risultati.
Adesso, in alcune scuole, la ricreazione è seduti a consumare la propria merenda ognuno al proprio banco perché, per socializzare, non è importante incontrarsi a ricreazione, abbracciarsi, cadere, rialzarsi insieme; per socializzare basta ogni settimana fare la turnazione dei posti così da cambiare ogni volta compagno con cui rigorosamente non si può parlare a lezione perché altrimenti si diventa chiacchieroni.
È il modo migliore per conoscere tutti e non conoscere nessuno e rendersi conto che, magari, dopo due anni, il nome di qualche bambino nella confusione ci sfugge ancora.
Pensare che la mia maestra Elena, che mai è stata invitata in Commissioni di pedagogisti per riformare la scuola o per istituire corsi sulle emozioni, uno dei primi giorni di scuola, mentre camminava per la classe, ci disse: “Non parlate mai sottovoce perché se dite qualcosa che fa ridere possiamo condividere quella risata, se, invece, raccontate qualcosa di triste quella tristezza la possiamo trasformare in qualcosa di bello”.
Abbiamo trascorso quei cinque anni, i più belli nella vita di un bambino, nella più totale condivisione. Abbiamo condiviso merende, giochi, pinoli, recite, feste, abbiamo condiviso il tutto perché eravamo parte di una sola e unica cosa.
Nessuno è stato mai mandato fuori dalla classe, nessuno è mai stato punito. Bastava il tono di voce più alto a riportare il silenzio senza pratiche strane e controverse che non fanno che aumentare lo stato confusionale di bambini alla loro prima esperienza di scolarizzazione.
Le scuole andrebbero controllate molto di più, ispezionate con continuità per capire se i bambini che “stanno crescendo” lì dentro sono seguiti in modo opportuno e adeguato, se hanno gli spazi giusti per prendere aria, per cadere e rialzarsi insieme, per non sentirsi oppressi, per essere felici. Ovviamente, come in tutti i settori, mai generalizzare, che non è assolutamente lo scopo di questo articolo, ma accendere un faro su questioni che andrebbero al più presto risolte con il solo dovere di concedere a ogni bambino le stesse opportunità.
Ho conosciuto, infatti, realtà anche molto diverse da quelle precedentemente descritte, in cui la didattica è evoluzione, scuole fondate sull’accoglienza, sulla progettualità che coinvolge tutti e che tira fuori il talento di ognuno. Scuole che sono un unicum nella mia città. Scuole in cui potersi sentire ancora parte di una comunità.
Non è certamente aumentando le ore di musica e di arte che si scoprono i talenti nascosti. Questa è una cosa che richiede un lavoro enorme in cui il ruolo principale viene svolto da insegnanti empatici, camaleontici, che vivono per il loro lavoro e per cui la scuola rappresenta la giusta osmosi fra insegnanti, bambini e genitori.
Il pensiero estremo di tenere i genitori fuori dalla scuola è quello che porta questi ultimi a intervenire anche quando non ve n’è bisogno, ma se la scuola ha, invece, l’intelligenza di coinvolgerli nella misura in cui può essere utile, allora questi si accontenteranno senza chiedere di più.
Alle “porte aperte” guardiamo con serenità, a “quelle chiuse” con sospetto.
Gli spazi delle scuole, poi, hanno un’importanza vitale poiché è in essi che si pone in essere il diritto al gioco sancito dall’art. 31 della Convenzione ONU sui diritti dell’Infanzia. Nella società del profitto e dell’individualismo il gioco occupa ormai un posto di scarso rilievo eppure il gioco è un aspetto fondamentale per viversi l’infanzia e da cui discende una delle emozioni più belle: la felicità.
Qualcuno si è mai preso la briga di andare a verificare che ogni scuola del nostro Paese abbia concretamente uno spazio all’aperto in cui far giocare i bambini o che gli spazi interni siano adeguati ad accogliere bambini? Non credo.
Anche in questo caso, esistono meravigliose eccezioni come l’asilo di Guastalla. Se si pensa a quanto dichiarato dal Maestro Mario Cucinella in merito a questa sua meravigliosa opera architettonica, ci si rende conto di quanto tutto quello che è stato precedentemente detto si condensi nelle sue parole contenute in un’intervista rilasciata al Professor Paolo Crepet.
Quando il Maestro Cucinella ha iniziato a pensare a come doveva essere l’asilo ha dichiarato: “mi veniva in mente l’asilo che avevo frequentato da bambino a Piacenza. Mi sono chiesto: perché mi viene in mente questa roba? Perché mi ricordava il riposino a braccia conserte, un’idea devastante…però quelle vetrate, quella luce così intensa, quelle porte, quel giardino… Mi dicevo: Ma se io me lo ricordo ancora, vuol dire che la memoria dei luoghi in cui cresci rimane per sempre. Gli edifici non si muovono, però viaggiano nel tempo e nella memoria. Quell’associazione emotiva mi ha fatto capire quanto fosse importante trovare uno spazio che avesse anche un impatto forte sui bambini, perché così l’immagine che avremmo creato se la sarebbero portata in giro per tutta la loro vita, sarebbe rimasto impresso nella memoria quel legno, l’idea della balena, uno spazio non convenzionale, non “vado all’asilo e ho la mia stanza con la finestra”, ma “entro in uno spazio che non avevo mai neanche potuto immaginare”. Ci siamo detti: “Proviamo a pensare uno spazio articolato nel ritmo e in una disposizione non convenzionale dei vani per vedere che reazione avranno i bambini nel guardare una stanza, perché potrebbero anche pensare che non sia una balena, ma il ventre di qualche altro essere vivente. Era bello lasciare a loro quello spazio interpretativo”.
Ora è comprensibile che tutti gli asili non possano somigliare a quello di Guastalla, ma sarebbe interessante chiedersi se in queste scuole, dove ormai c’è un Preside, un Vice-Preside e poi i vari referenti, qualcuno si preoccupi della “bellezza” dei luoghi che, come afferma Cucinella, rappresentano un’“associazione emotiva”. Sono entrata in scuole elementari così anonime e bianche che sembravano più caserme che scuole.
Probabilmente ci siamo lasciati distrarre troppo dagli Invalsi e dalla preparazione nozionistica per preoccuparci di quanto gli ambienti possano avere un impatto emotivo determinante sull’individuo: “gli edifici non si muovono, però viaggiano nel tempo e nella memoria”.
Nell’ultimo periodo si è aperto un grosso dibattito circa l’importanza della famiglia come fonte di stabilità, però, poi, la società in cui immergiamo questi piccoli individui è tutta caos, instabilità e discontinuità. Nessuna maestra, nessun insegnante o professore dura più per cinque o tre anni. Il cambiamento continuo e ingiustificato è destabilizzante e genera la famosa ansia e quegli attacchi di panico di cui tanto sentiamo parlare. Molti di questi trasferimenti continui sono anche legati al potere “dispotico” di alcuni Dirigenti Scolastici che non permettono a insegnanti con bagagli decennali di esperienza di poter guidare le classi a loro assegnate nel modo più giusto. Ci sono istituti in cui si verificano veri e propri esodi di insegnanti. Mi chiedo se qualcuno vada a verificare le vere motivazioni delle richieste di trasferimento e l’operato del Dirigente scolastico. Ci preoccupiamo di tutelare gli insegnanti dai genitori ma chi li tutela invece da inadeguati Dirigenti scolastici?
Stiamo destrutturando e disfacendo il mondo di bambini e adolescenti dalle basi, pensando che, in questo modo, arriveranno “pronti al dopo”.
Sarebbe invece da chiedersi come potranno affrontare i problemi della vita individui insicuri, fragili, pieni di paure e privi di memoria emotiva. La risposta la troviamo ogni giorno sulle prime pagine dei giornali, quando ci stupiamo di ciò che accade, pensando e cercando sempre le cause altrove.
Con la “presunzione” di chi ha avuto un’infanzia familiare e scolastica fatta di cose semplici, bellissime e che hanno pervaso e pervadono tutta la mia memoria emotiva, mi auguro che queste mie riflessioni possano arrivare in alto fino al Ministro dell’Istruzione e del Merito ed essere monito e spinta per un coraggioso e decisivo cambiamento.