Dopo Praga 2023 è stato il momento di Eboli 2024, conferenza straordinaria per la fine di questo progetto al quale ho avuto l’onore di partecipare per Sbarre di Zucchero APS.

La conferenza si è tenuta presso la Casa di reclusione di Eboli (SA), con la partecipazione della direttrice, del Comandante degli agenti penitenziari, della responsabile dell’area educativa, della psicologa interna al carcere, della psicologa del Sert e, soprattutto, dei detenuti in questo Istituto a Custodia Attenuata per il Trattamento delle Tossicodipendenze.

Come fu a Praga, erano presenti le associazioni capofila del progetto, VOLONTÉ CZECH rappresentata da Lukáš Salivar, Tina Chlupáčová e Daniel Kolář e Gramigna Associazione di volontariato, rappresentata da Donato De Marco e Fabrizia De Palma, insieme al Consorzio Sale della Terra, presente con il Presidente Angelo Moretti e la mediatrice penale Maria Carbone, Yellow Ribbon Czech Republic con Gabriela Slováková e Veronika Friebová ed io, Monica Bizaj, Presidente di Sbarre di Zucchero APS. In collegamento da remoto – perché non autorizzato all’ingresso in Istituto, a dimostrazione dello stigma che colpisce gli ex detenuti – ha partecipato Antonio Sauchella, autore di “Alba di carta – Memorie di una prigionia” e referente per Benevento di Sbarre di Zucchero APS.

Dopo i saluti istituzionali della dott.ssa Concetta Felaco, Direttrice della Casa di Reclusione di Eboli, che vorrei ringraziare per aver ospitato e supportato l’intero evento con grande professionalità e spirito cooperativo, e di Greta Gentili, Comandante della Compagnia dei Carabinieri di Eboli, nella sessione mattutina si sono susseguiti gli interventi delle associazioni partecipanti, in una sala gremita ed attenta, nonostante il caldo soffocante, che hanno reso partecipi i presenti sulle buone pratiche messe in campo nel supporto non solo dei detenuti ma delle loro famiglie, come parte integrante del percorso trattamentale. Emozionante sentire i commenti fatti sottovoce dai detenuti, che hanno espresso l’estremo bisogno di sapere che i loro affetti più cari non sono soli e possono trovare supporto dal Terzo Settore, ed ancora più emozionante è stato il momento conviviale del pranzo consumato nel cortile, dove i ragazzi detenuti avevano allestito gazebo e tavoli e ci hanno letteralmente coccolati, premurandosi che tutti avessimo il nostro piatto, le nostre bevande ed il caffè, condividendo con noi testimonianze, opinioni e spunti di riflessione di grande impatto, soprattutto sui loro sogni per il dopo pena.

 

 

In rappresentanza di Sbarre di Zucchero ho voluto portare l’esperienza della campagna di sensibilizzazione promossa con Ristretti Orizzonti e Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia “Direttore, concedimi una telefonata” per l’aumento/liberalizzazione delle telefonate concesse ai detenuti, non potendo ignorare che la pena detentiva consiste nella privazione della libertà e non in altre privazioni che possono spingere anche al suicidio, come la mortificazione degli affetti. Perché qui si fa del male anche ai familiari, che non hanno nessuna responsabilità, anzi hanno bisogno di essere incoraggiati e aiutati. Ho così portato l’esempio del modello inglese, dove nel 2018 si è deciso di installare i telefoni all’interno delle celle detentive, per interrompere l’ingresso e lo smercio di telefoni cellulari (oltre 10 mila nel 2017); inoltre il Segretario di Stato alla Giustizia britannico spiegò che i telefoni nelle celle «rappresentano un mezzo fondamentale per consentire ai detenuti di costruire e mantenere relazioni familiari, cosa che sappiamo essere fondamentale per la loro riabilitazione, abbassando di fatto la recidiva». Fu anche introdotta la possibilità di accedere gratuitamente ad alcune numerazioni che fanno riferimento a servizi come Samaritans e MIND, che garantiscono supporto alle persone con pulsioni suicidarie, modello inglese che ha trovato l’entusiasmo e l’approvazione sia della direttrice del carcere di Eboli sia dei detenuti, come elemento importantissimo da ripetere in Italia.

“Se non l’hai provato sulla tua pelle non lo puoi capire”: è con questa premessa che ho introdotto i partecipanti alla realtà di Sbarre di Zucchero, realtà che non ha formazione accademica ma nasce e vive con l’operato di ex-detenuti e familiari di detenuti e, di conseguenza, parla la stessa lingua dei nostri interlocutori, capendone al volo esigenze, timori, speranze. Ho quindi raccontato e condiviso l’esperienza del nostro Centro di ascolto, nato ad inizio 2024 come luogo virtuale per assistere al meglio i familiari dei detenuti, perché consapevoli che essi scontano una sorta di doppia pena, dovendosi scontrare quotidianamente con le difficoltà del pianeta carcere – dove ottenere anche la più banale informazione diventa un percorso ad ostacoli – e con una società che li etichetta e li esclude. Centro di ascolto che si regge con la formula dell’auto-mutuo-aiuto.

 

 

Parte importante è proprio l’ascolto, sia di noi volontari sia tra familiari partecipanti, in un luogo dove poter raccontare e condividere la propria esperienza senza il timore di giudizi e pregiudizi, dove poter ricevere o dare supporto morale e dove potersi anche sentire utili nel riuscire a dare informazioni certe «perché c’è stato un mio caro in quel carcere».

Un viaggio lungo un anno, che ha portato me e Sbarre di Zucchero da Praga ad Eboli, un viaggio che mi  lascia un bagaglio immenso di esperienza, di nuove consapevolezze, di desiderio di importare in Italia prassi virtuose, sperimentate con successo all’estero, di certezza che siamo sulla strada giusta.

Molte le emozioni che mi porto dentro dopo questa giornata a contatto con i ragazzi reclusi ad Eboli, che ci hanno ringraziato infinitamente per la vicinanza e l’aiuto che riusciamo a portare alle loro persone care, facendoli vivere così una detenzione più “serena” sapendo che le loro famiglie non sono sole.