Ursula von der Leyen ha presentato ieri con fare sicuro e autorevole la sua squadra di Commissari, mettendo subito in chiaro chi è il “boss”. Si è presentata come una leader molto ambiziosa e ha costruito una macchina abbastanza complessa che non è immune da rischi di creare una divisione di competenze complessa e non sempre trasparente tra i Commissari e tra i VP e i loro colleghi; nelle sue lettere di missione del 2019 aveva delineato una chiara gerarchia tra VP e Commissari; non è così questa volta; ha sottolineato che tutti i Commissari sono uguali e responsabili della propria area di competenza; ma ci sono alcune sovrapposizioni e in questa fase non è chiaro quanto concretamente giocheranno il “reporting” e il “co-working” e la “guida” tra VP e Commissari. Come nel caso della sua prima squadra, molto dipenderà dalle personalità e dall’affinità politica e personale tra loro e il Presidente. Altro aspetto da non sottovalutare, il personale della Commissione è spesso insufficiente, sotto pressione, e impopolare, ma è purtroppo improbabile che vengano assegnate maggiori risorse per svolgere funzioni sempre più impegnative.

La Presidente vuole mantenere il pieno controllo sulle grandi decisioni, come ha fatto nel suo primo mandato. Tuttavia, deve affrontare sfide importanti, tra cui quella della credibilità e della capacità di agire in un ambiente piuttosto conflittuale; le questioni relative a una “governance discutibile”, sollevate da Thierry Breton nella sua dura lettera di dimissioni probabilmente rimarranno, soprattutto perché ci sono grandi differenze di approccio e di priorità nella sua squadra. Inoltre, più che mai, diversi governi vedono il Commissario nominato come il “loro” rappresentante a Bruxelles e hanno negoziato duramente per ottenere una posizione di rilievo. La scelta di nominare vicepresidenti provenienti da grandi Paesi, indipendentemente dalla loro affiliazione politica, va nella direzione di chiarire che cercherà di mantenere una stretta collaborazione con i governi e con alcuni governi più di altri. Certo, è importante notare che nel caso di Fitto e in parte anche del francese Séjourné, la rilevanza dei loro ruoli diretti non è comparabile con quella della spagnola Ribera e molti esponenti di Paesi non grandi hanno portafogli molto rilevanti, dall’Irlanda al Portogallo ai paesi nordici e Baltici. E in effetti, in un mondo ideale e secondo i Trattati, i Commissari sono indipendenti e non rappresentano i loro Paesi.

Per quanto riguarda Raffaele Fitto, proposto dall’Italia e attuale ministro del governo e del partito di Giorgia Meloni, si sa che viene dall’ECR; il suo governo si è astenuto sulla nomina di UVDL e il suo partito ha votato ed è molto contrario (tra le altre cose) a una maggiore integrazione dell’UE, a un ruolo forte della Commissione e al Green deal. Tuttavia, questo potrebbe essere un vantaggio, poiché UVDL ha chiarito che si aspetta dai suoi commissari una piena adesione e un impegno rispetto a tutte le priorità della Commissione e un forte approccio pro-europeo; leggendo la sua lettera di missione è abbastanza evidente che il nuovo commissario italiano dovrà dare prova oltre che di fede europeista, di una nuova fede ecologista che non ha mai fatto parte delle sue caratteristiche. Questi saranno elementi importanti nell’audizione che si preannuncia pepata per Fitto. Peraltro, come detto più sopra, il suo portafoglio diretto, coesione e politica urbana, non è molto importante di per sé. Per lui varrà sicuramente capire che significa realmente il ruolo di “guida” di trasporti, parte di agricoltura e allargamento che gli è stato conferito. Sull’agricoltura in particolare possiamo già immaginare che sarà oggetto di una intensa opera di lobby da parte dei soliti e potenti noti del mondo dell’agro-industria. Nella scelta dei vicepresidenti, UVDL ha anche valorizzato le donne, sottolineando la sua irritazione per una difficile opera di composizione che nella sua versione iniziale prevedeva meno del 30% di donne. Il risultato finale è una presenza del 40% e in posti di rilievo. Tra l’altro, è utile notare che la Presidente del PE, quella della Banca centrale e l’alto rappresentante sono donne.

Il PE vorrà avere un ruolo importante come sempre nell’influenzare le decisioni dell’UE e della Commissione, ma è improbabile che sarà un alleato sistematico della Commissione sulle grandi questioni come lo è stato in passato. Vedremo se le audizioni dei commissari designati produrranno drammi e respingimenti come nel 2019 ma sicuramente ci sarà qualche richiesta di aggiustamento nelle lettere di missione. D’altra parte, con la possibile eccezione di Teresa Ribera, è difficile individuare in questa fase iniziale personalità molto forti in questa Commissione. La burrascosa partenza di Thierry Breton e quella di Gentiloni e Borrell elimineranno alcuni critici aperti della sua leadership. 14 Commissari su 27 provengono dalla famiglia politica di UVDL. I Commissari di lunga data, Dombrowski e Sefcovic, sono molto vicini alla Presidente. Inoltre, il ruolo di vicepresidente esecutivo non è equivalente in termini di competenze e non tutti i commissari devono riferire a un vicepresidente allo stesso modo. Due devono riferire direttamente all’UVDL. La non chiarezza nella divisione dei compiti metterà il potere di decisione ultimo ancora di più nelle mani della Presidente, pur se con qualche rischio di cacofonia e inefficienza.

Un elemento che deve essere considerato è la richiesta molto forte e ripetuta ai Commissari di non rimanere chiusi nei loro uffici a Bruxelles, ma di aprirsi e di essere molto più presenti e attivi nel PE lungo tutto il processo legislativo e sul campo. Molto più che nel 2019, ai Commissari viene chiesto di consultare e informare le parti interessate e di recarsi spesso negli Stati membri e nelle comunità. UVDL ha parlato di una “nuova era di dialogo con i cittadini e le parti interessate”; questo aspetto è stato menzionato e potrebbe essere particolarmente rilevante per i Commissari che si occupano di Green Deal e Industria. Per quanto riguarda la consultazione e la partecipazione dei cittadini, anche se non ci sono proposte specifiche sulla forma che tale lavoro dovrebbe assumere, c’è un chiaro riferimento alle proposte della “Conferenza sul futuro dell’Europa” e si chiede ai Commissari competenti di presentare proposte in merito, pur se purtroppo è totalmente assente la prospettiva di una riforma dei Trattati. Ci sarà quindi uno spazio di iniziativa e di dialogo da sfruttare. Molto dipenderà dalla capacità delle parti interessate e dei cittadini di organizzarsi e di farsi sentire. Questa è una missione diretta per tutti e tutte coloro che sostengono il Green Deal: altrimenti saranno i soliti noti e ricchissimi stakeholder a prendere il sopravvento ancora di più che con la passata Commissione.

Questa Commissione sembra essere impegnata nel Green Deal e non ci sono segni apparenti di un passo indietro sugli obiettivi e le priorità. La capacità di realizzare “obiettivi e traguardi, in particolare il Green Deal” è considerata la misura del successo o del fallimento di questa Commissione. Certo, il diavolo si nasconde nei dettagli, nel modo in cui i commissari competenti vedranno il loro ruolo nell’attuazione delle lettere di missione, che contengono una buona dose di ambiguità e nell’influenza delle parti interessate e lobby. In generale, però, UVDL ha deciso di mantenere una certa coerenza nel suo gabinetto su questo tema. I commissari nominati sono per lo più esperti e aperti sostenitori del Green Deal, a partire da Teresa Ribera.

Teresa Ribera, ministro della Transizione ecologica in Spagna e ora europarlamentare, è la prima nella lista dei commissari presentata ieri e ottiene un compito molto rilevante, la “transizione pulita e giusta” e il potentissimo portafoglio della concorrenza. È una combinazione interessante, che può essere molto difficile da gestire, ma coerente con l’idea di una transizione “pulita” come possibilità di essere più competitivi. Tuttavia, può anche rivelarsi una trappola, nel senso che le regole sulla concorrenza non sono sempre “verdi”. Ciò riflette la grande enfasi sulla competitività (come definita nel rapporto Draghi) e l’attenzione a ridurre gli oneri normativi e il costo dell’energia, che sono tra le missioni chiave di questa Commissione. A proposito, la frequente sostituzione della parola “verde” con “pulito” non è innocente. “Verde”, soprattutto in relazione all’energia, è rinnovabile, non emette gas serra e non danneggia l’ambiente. “Pulito” significa solo zero emissioni di gas serra, ma può avere una scorta di risorse limitata o danneggiare l’ambiente durante la produzione.

Sarà estremamente importante seguire il lavoro di Ribera sulla riforma della tassazione e degli aiuti di Stato. Questo può essere un fattore di svolta per la transizione verde, soprattutto se riuscirà a non dare troppo margine di manovra agli Stati membri e a indirizzarli verso priorità “sostenibili”. L’edilizia abitativa, in particolare, sarà un banco di prova importante.

Per quanto riguarda i commissari che agiscono sotto la “guida” di Ribera, W. Hoekstra ha un background conservatore, ma sostiene un’agenda progressista e obiettivi di riduzione del 90% entro il 2040 e ha anche lavorato abbastanza bene in tandem con Ribera alla COP a Dubai. Avrà il compito importantissimo di supervisionare e sostenere l’attuazione del quadro esistente per il 2030 (insieme a Jorgensen), un compito non facile in un contesto politico molto cambiato, soprattutto in alcuni Paesi tra cui ahimè l’Italia. Tra i suoi compiti più importanti, c’è il Clean Industrial Deal e l’acceleratore di decarbonizzazione industriale (con Sejourné), l’attuazione del Fondo per l’innovazione, del Fondo sociale per il clima e l’uso efficace dei proventi del sistema ETS, la riduzione e l’eliminazione graduale dell’uso dei sussidi per i combustibili fossili; guiderà anche il lavoro sulla tassazione dell’energia, concludendo i negoziati sulla direttiva sulla tassazione dell’energia e studiando come rendere più ecologico il sistema dell’IVA.

La scelta dell’“energico” e progressista danese Dan Jorgensen all’Energia e all’Abitare è una buona notizia, anche se non si parla di nuovi obiettivi specifici per le rinnovabili e l’efficienza energetica al 2040; lavorerà con Hoekstra sulla governance dell’Unione dell’Energia e sui sussidi ai combustibili fossili. Buoni i riferimenti alle rinnovabili, all’efficienza energetica e all’integrazione dei sistemi energetici (con la proposta di un Piano d’azione per l’elettrificazione, il rafforzamento delle reti e la flessibilità). Viene però introdotto il controverso concetto di “neutralità tecnologica” e viene data nuova enfasi alla CCS e al nucleare (SMR), che probabilmente competeranno in termini di visibilità e risorse con le FER e l’EE. È interessante notare che l’enfasi sul gas è inferiore rispetto al 2019; viene menzionato solo nel contesto del meccanismo di acquisto congiunto e, più in generale, nella creazione di un quadro per eliminare gradualmente i sussidi ai combustibili fossili e porre fine alle importazioni russe.

Per quanto riguarda l’ambiente, l’acqua e l’economia circolare Jessica Roswaal, svedese, ha un background conservatore, ma proviene da un Paese tradizionalmente positivo sulle questioni ambientali (tranne forse le foreste). La lettera di missione che UVDL le ha indirizzato contiene un forte riferimento all’importanza dell’attuazione e dell’applicazione della legislazione ambientale, ma anche un accenno all’“importanza della semplificazione e del dialogo con le parti interessate”; questo potrebbe ovviamente essere utilizzato per aprire alcune legislazioni ambientali chiave, come suggerito anche nel rapporto Draghi. La Roswaal contribuirà anche al nuovo piano di adattamento al clima e alla visione per l’agricoltura e l’alimentazione, e dovrà occuparsi dell’enorme dossier del REACH; sui PFAS ha il compito di fare “chiarezza” (qualunque cosa significhi) e dovrà presentare una legge sull’economia circolare e una proposta per un “mercato unico dei rifiuti”. Sono tutti temi che, nel contesto attuale, presentano il rischio di annacquare le attuali ambizioni.

Ci sarebbe molto altro da dire sulla nuova squadra di Ursula Von der Leyen e le sue ambizioni, in particolare su difesa e immigrazione che sono molto meno rassicuranti che sul Green Deal o, come si dice adesso, sulla “transizione pulita”. Ma per adesso ci fermiamo qui, nell’attesa delle audizioni e dei primi passi di un’istituzione che rimane centrale per l’attuazione non solo del Green Deal, ma anche della difesa di un’idea democratica e innovativa della UE.