“Se le domandassi cinquanta volte se Trump ha perso nel 2020, lei non mi risponderebbe?” Così Martha Raddatz, nel programma ABC This Week, in un’intervista a JD Vance, il vice di Donald Trump alle presidenziali di quest’anno.

Come si sa, Trump non ha mai riconosciuto di essere stato sconfitto da Joe Biden nel 2020, sostenendo che l’elezione è stata truccata. Una sessantina di ricorsi legali, però, non sono stati favorevoli all’ex presidente. Ciononostante, dopo quasi quattro anni del primo mandato di Biden, Trump continua a coltivare la “big lie”, la grossa menzogna dell’elezione rubata. L’efficacia della menzogna però esiste: il 32 percento degli americani crede che Trump sia stato defraudato. La cifra raggiunge il 63 percento degli elettori repubblicani.

Chiunque voglia rimanere nelle grazie di Trump deve assolutamente accettare questa linea dell’elezione rubata. JD Vance lo sa benissimo. Come abbiamo scritto in queste pagine, il vice del candidato repubblicano aveva inizialmente criticato aspramente il suo capo attuale, definendolo un “Hitler americano”. Poi, poco a poco, si è convertito al trumpismo, ottenendo l’endorsement nella sua corsa al Senato dallo Stato dell’Ohio, culminando poi con la scelta di Trump a nominarlo suo vice all’elezione.

Rispondendo alle insistenti domande della Raddatz, Vance ha tentato strenuamente di cambiare soggetto, senza ammettere la sconfitta di Trump. Ha fatto recentemente la stessa cosa in un’intervista con la giornalista del New York Times Lulu Garcia-Navarro, nel podcast settimanale del quotidiano. Per ben cinque volte la Garcia-Navarro ha chiesto a Vance una risposta di “sì” o “no” se Trump avesse perso l’elezione del 2020. Di nuovo, Vance ha cercato di cambiare il soggetto. Difatti, la stessa cosa era anche successa nel suo dibattito con Tim Walz, il vice di Kamala Harris alla presidenza. Anche in quel caso, Vance non ha ammesso la sconfitta di Trump, beccandosi il commento di Walz di una “risposta incriminante”.

Il mancato riconoscimento di Trump della sua sconfitta nel 2020 e il rifiuto di Vance fanno parte della linea da seguire: il capo dà gli ordini e, anche quando la realtà lo contraddice, bisogna continuare a ripetere la balla dei vestiti bellissimi dell’imperatore.

 

 

Il vice di Trump dal 2016 al 2020, però, Mike Pence, prese un’altra strada, riconoscendo la sconfitta e facendo il suo dovere di presiedere alla certificazione di Biden a presidente. Per le sue azioni ammirevoli, l’ex vicepresidente rischiò la pelle poiché il 6 gennaio 2021 Trump incitò i suoi sostenitori a prendere d’assalto il Campidoglio. Durante gli assalti, Trump mandò un tweet dicendo che Pence non aveva il coraggio di bloccare la certificazione. Alcuni dei suoi sostenitori tentarono di raggiungere il vicepresidente gridando “Impicchiamo Pence” e vi arrivarono quasi vicinissimi. Si salvò per un pelo. Non sorprende dunque che Pence abbia dichiarato di non sostenere Trump nell’elezione del 2024.

Vance, però, al di là di rifiutarsi di riconoscere la sconfitta di Trump nel 2020, ha aggiunto alla menzogna, asserendo che, dopotutto, il trasferimento di potere è alla fine avvenuto in maniera pacifica. Ovviamente lui non avrà visto le immagini degli assalitori che hanno saccheggiato il Campidoglio. Avrà dimenticato i sei individui morti nei tafferugli, così come gli 800 assalitori già processati, alcuni dei quali sono già in carcere. Uno dei carcerati, Enrique Tarrio, leader della milizia Proud Boys, è stato condannato a 22 anni di reclusione. Vance ha anche dimenticato che parecchi avvocati di Trump hanno perso la loro licenza per i tentativi di sovvertire l’esito dell’elezione del 2020. Il caso più noto è ovviamente quello dell’ex sindaco di New York Rudy Giuliani, che in un processo civile in Georgia è stato condannato per diffamazione. Non potendo pagare la multa di 148 milioni di dollari, è stato costretto a dichiarare bancarotta. Vance dimentica anche i processi federali e statali del suo capo, il quale però è riuscito, grazie in parte a una decisione della Corte Suprema, a ritardarli e congelarli.

L’incapacità di Vance di riconoscere la sconfitta del suo capo preoccupa perché si teme che la “big lie” potrebbe facilmente ripetersi dopo l’elezione di quest’anno, già in corso con il voto anticipato di parecchi Stati, e che si concluderà con la data ufficiale del 5 novembre. Si teme che in caso di sconfitta Trump e Vance dichiareranno falsamente vittoria, urlando alla frode elettorale che continuano a coltivare, asserendo che i democratici permettono l’ingresso di migranti per aiutarli nell’elezione. Questa falsità sui voti di migranti senza diritto di voto è coadiuvata dal grande sostenitore di Trump, Elon Musk. Il padrone di Tesla e di X (già Twitter) sta inondando la sua piattaforma con queste accuse infondate. Nulla di vero, ovviamente, poiché tutti gli studi dimostrano che le elezioni americane, nonostante alcune debolezze, sono sicurissime.

La preoccupazione di una ripetizione della “big lie” e possibili tafferugli simili al 2020 assilla anche il noto legale Neal Katyal, ex solicitor general, alto funzionario del Ministero della Giustizia durante l’amministrazione di Barack Obama, e adesso analista legale della MSNBC. Katyal, tipicamente molto sobrio nelle sue analisi, ha classificato Vance come “il barometro del Partito Repubblicano”, temendo ciò che potrebbe succedere dopo l’elezione.

Un aspetto promettente, però, è che questa volta Trump non sarà presidente in carica come nel 2020. Biden avrà tutte le risorse governative per affrontare la situazione in maniera bilanciata. Ciononostante, se nel 2020 i leader della Camera e del Senato erano ambedue democratici, la situazione potrebbe cambiare con l’elezione del 5 novembre. Pressato dai giornalisti in interviste recenti, Vance ha dichiarato che non avrebbe votato per la certificazione di Biden a presidente nel 2020. In ciò professa la sua fedeltà a Trump. Pence, invece, scelse di essere fedele alla Costituzione.