Tutte le piattaforme ideologiche, i propositi di palingenesi e di riscatto di quello che una volta veniva definito il Belpaese (ora ex) si scontrano con il pessimismo della ragione. Una constatazione deve permeare a priori ogni fuga in avanti, ogni possibile wishful thinking: l’Italia è una Repubblica a sovranità super-limitata. Infiniti vincoli si frappongono alla piena realizzazione dei programmi di un qualunque governo di destra, di centro-destra, di centro-sinistra, di sinistra, di estrema sinistra. Partendo dalla zavorra del nostro debito pubblico, del peso di mafie, corruzione, evasione fiscale. Non vogliamo minimizzare un possibile progresso in un relativismo qualunquistico, ma i dadi che si possono tirare sono se non truccati, almeno condizionati.
Le briglie vengono da lontano. L’Italia non è mai riuscita a liberarsi dalla morsa dei vincitori della Seconda Guerra Mondiale. Il proliferare di basi Nato, dunque a vocazione statunitense, sul nostro territorio sta a testimoniarlo. Basi extra-territoriali che avvolgono il territorio in un presunto scacchiere di difesa che al contrario è di possibile offesa. Come quando, nel 1999, Massimo D’Alema (con Mattarella vice-presidente del Consiglio) diede il lasciapassare perché dal Friuli si levassero aerei americani a bombardare la Serbia, in assoluto spregio del diritto internazionale. Oggi viene quasi voglia di rivalutare Craxi per un solo singolo gesto di simbolica indipendenza: lo strappo di Sigonella. I casi Abu Omar, del Cermis, dell’intervento della CIA durante la prigionia di Moro sono solo alcuni esempi della morsa da cui l’Italia, per evidenti suoi difetti strutturali, non è mai riuscita a liberarsi, complice anche la gratitudine per il piano Marshall di ricostruzione.
Poi, seconda ipoteca, l’Europa, che non si è mai trasformata in un fattore di crescita sovranazionale. Gli italiani hanno interiorizzato con profonda amarezza le scelte imposte. L’ottimismo della volontà li ha guidati verso l’accettazione dell’euro, ma se fosse proposto oggi un sondaggio sulla validità dell’equivalenza tra l’euro e la valuta di riferimento (1936,27 lire), pochi si riconoscerebbero. Il disconoscimento internazionale di Berlusconi fu un pollice verso dell’Europa e non una libera scelta nazionale. Se la Meloni svolge la stessa politica di Draghi è perché “lo vuole l’Europa” con piccoli margini di autonomia, vedi la politica dei migranti.
Voltando pagina, fa bene dunque Conte, il leader dei Cinque Stelle, a non scegliere tra Harris e Trump perché l’amico americano, chiunque esso sia, sarà ancora il pater familias della nostra politica. L’Europa ci delude anche perché era nata per la pace e la sicurezza ed è diventata un serbatoio di armi per continuare ad alimentare morti e distruzione tra Russia e Ucraina, senza aver mosso una reale proposta per un compromesso tra Putin e Zelenski. Oggi il presente è un mercato dove l’economia (spesso con la stessa credibilità dell’astrologia) esprime scelte e potere (vedi, nel corso della storia, le nomine di Ciampi, Monti, dello stesso Draghi).
Terza opzione condizionante: le multinazionali. Larry Fink, amministratore delegato, viene spesso ricevuto dalla Meloni a Palazzo Chigi. Chi è Fink? Il gestore di BlackRock, il più grande fondo di investimento del mondo, con una cassa che vale 10.600 miliardi di dollari. Danilo Castellarin ha stimato che la cifra vale tutti i PIL di Italia, Germania, Francia e Spagna, messi insieme. Fink è socio di maggioranza in Unicredit, secondo azionista di Intesa San Paolo e Monte dei Paschi di Siena. Può spendere una parola importante in Italgas, Enel, Snam, Leonardo, Italo e Mediobanca. Vogliamo parlare ancora di sovranità o aspettiamo di prenderci in giro?
Con tanti saluti alla logica impotenza dei teorici sovranisti, dei voglio ma non posso.