È italiano il primo marchio sulla nuova legislatura delle istituzioni europee. Un marchio d’infamia, con la vicenda, ai limiti del paradossale, dell’apertura dell’hotspot in Albania: esempio, nel contempo, di individuazione della soluzione sbagliata a un problema complesso, quello dei migranti, e di inefficienza, superficialità e spreco di risorse pubbliche, oltre che di spregio delle persone.

Eppure, la scelta del governo Meloni di “esternalizzare” il problema dei migranti, proprio mentre mostra tutti i suoi limiti umanitari, giuridici ed economici, attira la pelosa attenzione della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, la cui indole conservatrice e i cui istinti opportunistici non possono più stupire, e di molti leader di paesi Ue presenti, giovedì 17 ottobre, al Vertice europeo di Bruxelles.

Scrive la Repubblica: “Ci sarà pure una ragione… se i principali investimenti simbolico-politici annunciati dal governo di centrodestra sono la realizzazione dell’hotspot in Albania e del ponte sullo Stretto… Le due opere, nelle intenzioni, sono destinate a lasciare un segno dell’Italia nel mondo, a edificare strutture dal fortemente propagandiste, a offrire i connotati di un’identità nazionale immediatamente riconoscibile.”

E ci sarà pure una ragione se, nonostante l’avvilente andirivieni delle 16 cavie della Nave Libra tra l’Italia e l’Albania, il tema dei migranti e del “modello Meloni” tiene banco a Bruxelles, dove molti lo criticano e lo ignorano, ma molti lo accolgono con interesse o lo condividono. Politico.com, le cui analisi non sono inficiate da punti di vista nazionali europei, fa titoli forti: “Israele uccide Sinwar”, il capo di Hamas, e “L’Ue uccide l’asilo”; o “Il mondo è in crisi e l’Ue non fa nulla”. Il mondo le rovina addosso, dall’Ucraina al Medio Oriente, e l’Europa si guarda l’ombelico dei migranti, con governanti che inseguono il consenso delle frange più retrive delle opinioni pubbliche.

Quelli che escono da Bruxelles e dai primi passi della “Uvdl 2” sono atti di chiusura e di paura: oltre all’interesse per la “formula Albania”, l’ok alla Polonia per mettere al bando le richieste d’asilo dalla Russia e dalla Bielorussia. Ancora Politico.com titola: “I migranti squassano l’agenda dei leader dell’Ue”, nonostante quanto accade tutt’intorno e i rischi di deflagrazione del conflitto in Medio Oriente; e nonostante la partecipazione al Vertice del presidente ucraino Volodymyr Zelensky che sbandiera il suo piano per la vittoria, cui forse non crede neppure lui (l’obiettivo di Kiev è intavolare negoziati con Mosca da posizioni di forza).

Ma, se fa da spettatrice ai guai del mondo, l’Ue non prende neppure decisioni sui migranti: se ne parla, ma è sempre “lo stesso caos”: lo scontro su come prevenire l’immigrazione irregolare è delicato, e pure animato, dall’implementazione del Patto per la migrazione e l’asilo – deciso, ma non ancora in vigore – alle continue sospensioni di Schengen sulla libera circolazione.

Meloni, che guida il fronte di leader alla ricerca di soluzioni alternative, una delle quali è, o sarebbe, proprio l’esternalizzazione, contava di tornare a casa vittoriosa. Con Olanda e Danimarca, organizza un pre-vertice sulla migrazione cui interviene von der Leyen e partecipano altri otto paesi Ue: Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Austria, Grecia, Cipro, Malta. Ne escono richieste di modifiche alla legislazione sui rimpatri e ipotesi d’iniziative analoghe a quella italo-albanese – l’Olanda pensa al Kosovo, qualcuno ipotizza addirittura l’Uganda.

Ma la mossa del pre-vertice, cui la Germania non aderisce, e le idee di Meloni incontrano anche freddezza e ostilità: il presidente francese Emmanuel Macron è chiaramente infastidito dall’attivismo italiano; il cancelliere tedesco Olaf Scholz mette il tema fra parentesi, non ne parla presentando al Bundestag l’appuntamento europeo e a Bruxelles minimizza la portata dell’esternalizzazione, che “può assorbire poche gocce” e “non è una soluzione per un paese come la Germania”. E, quasi anticipando l’altolà dei giudici italiani, Scholz ammonisce: c’è bisogno “di espulsioni conformi al diritto europeo”.

Anche il Belgio prende le distanze da “soluzioni che la storia ha già dimostrato produrre volumi ridotti e presentare costi elevati”. L’Italia trova conforto – ammesso che lo sia – nell’Austria, secondo cui la strategia di Roma “mostra come innovare”, e nell’Ungheria (ma, attenzione!: le benedizioni del premier ungherese Viktor Orban sono in realtà maledizioni).

L’impressione è che l’Unione europea, o almeno una fetta di essa, sia disposta verso i migranti peggio degli Stati Uniti che – forse – verranno con Donald Trump. Ma c’è anche la sensazione che l’Ue sia attraversata da divisioni lungo i crinali della politica e dell’economia. Ne è conferma – il giorno dopo il vertice europeo – l’incontro a Berlino fra Scholz, Macron e Keir Starmer, premier britannico, con il presidente Usa Joe Biden, al ‘passo d’addio’ del suo mandato.

I quattro discutono della situazione politica internazionale, dal Medio Oriente e dall’Ucraina, e di come muoversi ora, ma soprattutto cosa fare se Trump – un “babau” per tutti – dovesse tornare. Meloni non c’è: è in Libano, prima capo di governo occidentale a visitare il paese dei Cedri dopo l’inizio delle operazioni israeliane in territorio libanese. Ma il mancato invito a Berlino è politicamente motivato: quella è l’Europa anti-Trump; lei sta nell’altro campo, nonostante gli sfoggi di atlantismo e vicinanze all’Ucraina.

Nel bilancio non esaltante dei primi passi della nuova legislatura europea, che deve ancora passare attraverso l’esame del Parlamento europeo ai nuovi commissari – si farà a novembre –, c’è anche l’incontro dei leader dei 27 con i paesi del Golfo, mercoledì 16: tappeto rosso anche per il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman, mandante acclarato dell’omicidio del suo oppositore Jamal Khashoggi. Sembra uno scambio di messaggi fra sordi: l’Ue chiede ai paesi del Golfo “più fermezza contro la Russia” del presidente Vladimir Putin, come se l’Ucraina fosse affar loro; e i paesi arabi chiedono all’Ue di “riconoscere la Palestina”, mettendo il dito sulla piaga di un’altra divisione europea. Il capo della diplomazia europea Josep Borrell prospetta una revisione dell’accordo di associazione Ue-Israele, che potrebbe essere avviata unilateralmente perché “il diritto umanitario è sepolto sotto le macerie di Gaza”.