La transizione ecologica come verifica della flessibilità dell’economia mondiale. Analisi qualificate e studi autorevoli osservano gli effetti della strategia globale per arrestare il declino del pianeta. Ci si confronta su come adattarsi ad un nuovo sistema incentrato sulla tutela dell’ambiente. Ogni epoca ha fatto i conti con trasformazioni inimmaginabili finché non si sono realizzate. Ora è sempre più evidente che lavorare, produrre e consumare con metodi capaci di conciliare benessere, sostenibilità e affari richiede competenze e professionalità. Crescenti. Perché il processo avviato ha solo tappe intermedie, non c’è un the end. Non resta che attrezzarsi.
UNA NUOVA ECONOMIA
Sindacati e organizzazioni industriali in tutto il mondo hanno idee orientate al rispetto dei principi generali dell’Agenda Onu 2030. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) ha detto che il passaggio ad un’economia sostenibile deve essere visto come il nuovo motore del progresso. Ma quanta cultura della sostenibilità ci vuole per non restare prigionieri di annunci senza costrutto ? Da dove deve arrivare la vera spinta per non riprodurre un mondo diviso, disallineato nei bisogni e nelle risposte ? L’Europa, tanto per dire, ha all’attivo dei programmi per creare nuove professionalità e maggiore coscienza ecologica. Da alcuni anni industriali e sindacati hanno creato il Centro per la Transizione Giusta (Just Transition Centre) con il compito di accompagnare il cammino verde. È risaputo anche che l’Europa vuole conquistare il primato nella transizione ecologica sebbene agitata da crisi energetiche. Uno stonato contrappasso. Quello che ancora non è chiaro è in che modo e secondo quali tempistiche lavoratori e industriali percorreranno la strada della transizione ecologica. Saranno collaterali ai piani della politica o protagonisti veri della rivoluzione sostenibile ? L’Europa saprà indicare strade ecosostenibili e di sviluppo ai Paesi terzi ? La transizione crea nuovi mestieri e profili, ma ne lascia per strada tanti altri. La preoccupazione di migliaia di persone di non essere ricollocate è palpabile in tanti settori. Bisogna stare molto attenti, perché « non tutti i lavori verdi sono necessariamente buoni » ricorda Gianmarco Ottaviano, docente alla Boccconi, in uno studio recente. Dalla paura energetica di queste settimane per gli approvvigionamenti di gas dovrebbe scaturire uno slancio vigoroso per educare tutti ad un mondo meno squilibrato.
I GREEN JOBS
La capacità di riorganizzare un sistema economico non può- non deve- stare nelle mani di un unico soggetto. La storia insegna che le trasformazioni hanno prodotto conflitti di ogni tipo- sociali, economici, di giustizia. Alla base non c’era condivisione. Poi sono arrivati gli uomini-prodigio- da Bill Gates a Steve Jobs a Jeff Bezos- rivoluzionari in proprio, tutti ecologisti. Hanno conquistato il mondo e noi abbiamo imparato seguendo la loro genialità. Nessuno crede ad un uomo-prodigio per salvare il pianeta con l’handicap che i Grandi spesso deludono. Se l’emergenza climatica è davvero quel mostro che l’umanità vuole sconfiggere, è urgente costruire dalle fondamenta nuove forme di convivenza civile. Infondere tanta istruzione e soddisfazione per avere alleati e non nemici. La battaglia per difendere posti di lavoro « antichi » sarà fortissima. Almeno quanto la domanda degli stessi posti di lavoro nei Paesi in via di sviluppo. Osserviamo un pianeta deflagrato tra chi lotta contro centrali a carbone, città intossicate da smog, degrado ambientale e chi è in condizioni di generale arretratezza. Il mondo industrializzato fa fronte ai green jobs senza ancora un disegno trasparente e persuasivo. Ma la lotta contro i cambiamenti climatici non sarà vincente fino a quando il pianeta resterà diviso tra sviluppo e sottosviluppo. Con la cultura e il sapere che necessariamente devono avanzare.