Il mese scorso, il calendario ha segnato due appuntamenti importanti: lo Zero Discrimination Day e Disability day of mourning
Zero Discrimination Day è un’iniziativa di UNAIDS nata nell’ambito della lotta contro lo stigma dell’HIV. Dal suo lancio nel 2014, il significato di questa celebrazione è evoluto, arrivando a rappresentare un giorno di lotta contro tutte le forme di discriminazione — proprio come il gay pride si è evoluto nel corso degli anni semplicemente in pride, in modo da sottolinearne la natura inclusiva.
Il Disability day of mourning, è nato invece come una giornata di lutto e commemorazione delle persone con disabilità uccise dai propri familiari, e che dovrebbe anche essere occasione per riflettere su tutte le forme di violenza e abuso contro questo gruppo. La convergenza delle due celebrazioni, risulta quantomai appropriata, considerando le tante forme di discriminazione che le persone con disabilità subiscono su base quotidiana; discriminazione spesso basata non solo su preconcetti culturali, ma profondamente radicata nella struttura stessa della nostra società.
Chiedere una società inclusiva per le persone con disabilità è infatti una questione molto più concreta che simbolica: si tratta di impegnarsi ad implementare — o fare pressione per richiedere — delle specifiche politiche, le quali, andando ad agire sull’ambiente in cui viviamo, cambino radicalmente anche il modo in cui percepiamo la disabilità.
Secondo l’OMS, 135 milioni di persone in Europa vivono con una disabilità. La cifra però non è precisa, perché ogni stato ha un metodo di classificazione diverso, che include o esclude le malattie croniche per esempio; la Strategia per i diritti delle persone con disabilità 2021-2030 dalla Commissione Europea ne menziona 87 milioni nella sola Unione Europea. Ad aggiungere confusione c’è poi il fatto che se una persona emigra, il processo di registrazione per ottenere la previdenza sociale nel Paese ricevente è complesso e dal risultato imprevedibile; ciò indica chiaramente come la struttura del sistema possa influenzare pesantemente la vita delle persone, determinando per esempio la loro libertà di scegliere e godere di un uguale diritto alla mobilità.
Un dato inequivocabile invece riguarda il numero di persone con disabilità che vivono sotto la soglia di povertà. Le disuguaglianze economiche sono in aumento ovunque: in Europa 1 persona su 5 è a rischio di povertà ed esclusione sociale. Ma se ci si concentra sul sottogruppo delle persone con disabilità, il dato schizza al 30%. Lo svantaggio economico in questo caso deriva non solo da barriere dirette, come la maggiore probabilità di rimanere disoccupati e di guadagnare meno quando si ha un lavoro; ci sono anche ostacoli meno evidenti ma forse anche più impattanti, come i costi extra per le cure mediche, i dispositivi di assistenza o il supporto personale — che non è sempre fornito dallo stato, né sempre sufficiente, e la cui mancanza è direttamente collegata ad una condizione di isolamento, con tutti i relativi costi per la salute mentale e le difficoltà di inserimento sociale. Inoltre, se la disabilità è un fattore che contribuisce ad acuire condizioni di indigenza o emarginazione, le barriere all’accesso ai diritti e alle cure sono fattori che contribuiscono attivamente allo sviluppo della disabilità stessa. Il rischio di sviluppare disabilità è infatti maggiore tra le persone più fragili come migranti o coloro che vivono nei cosiddetti “deserti medici”.
Tuttavia, la sfida posta da questa situazione non può essere ridotta al solo miglioramento dell’accesso alle cure per tuttə, e ai costi finanziari associati all’indennizzo della disabilità. È essenziale agire in profondità contro quei fattori di discriminazione che contribuiscono all’esclusione sociale e politica delle persone con disabilità, primo fra tutti l’istituzionalizzazione dell’emarginazione.
La costruzione di una società inclusiva inizia a scuola, il luogo in cui si diventa cittadini. Molti paesi europei, guidati da un approccio essenzialmente medico alla disabilità, hanno a lungo considerato preferibile educare ə studentə con disabilità separatamente dagli altri, in classi o scuole “speciali”. Questo modello improntato alla segregazione non solo non si è dimostrato pedagogicamente valido, ma ha anche alimentato l’esclusione sociale e i pregiudizi connessi alla condizione di disabilità.
Tuttavia, cambiare il modello necessita un impiego di risorse significativo, tanto in termini di cultura collettiva quanto di finanziamenti. Un buon esempio viene proprio dall’Italia, che dagli anni ’70 ha scelto di accogliere tuttə nelle scuole ordinarie, e si affida a insegnanti di sostegno nelle classi per promuovere un approccio educativo individualizzato. Anche se, come noto, la situazione è ben lontana dall’essere ideale, questo modello dovrebbe rappresentare la via da rafforzare e riprodurre anche nel resto dell’Unione Europea e oltre.
Un altro ambito di intervento immediato sarebbe la chiusura di tutte le strutture specializzate nell’alloggio di persone con disabilità, come chiede il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità. La privazione della libertà sulla sola base della disabilità è ingiustificabile e dovrebbe essere vietata, tenendo in conto anche che queste condizioni di segregazione, diretta e indiretta, aprono la strada a gravissime situazioni di abuso.
Ma come realizzare una completa rivoluzione nel modo di vivere e sperimentare la nostra società per smantellare l’esclusione istituzionalizzata? Il successo di questi cambiamenti non può essere raggiunto senza il coinvolgimento delle persone interessate, ma la barriera più importante è proprio quella della rappresentanza: le politiche pubbliche sono portate avanti da gruppi di persone di cui non fanno quasi mai parte persone con disabilità.
Se vogliamo superare l’abilismo che ancora domina largamente il dibattito pubblico e fare in modo che le assemblee deliberative si basino su un’intelligenza collettiva molto più inclusiva e competente, dobbiamo anche avere una rappresentanza politica più diversificata. Ad oggi, non e’ chiaro quanta rappresentanza politica abbiano le persone con una o più disabilità a causa dei problemi di classificazione precedentemente elencati e del diritto alla privacy degli individui. Tuttavia, non è difficile rendersi conto di come una rappresentazione equa di questa comunità sia lontana dall’essere raggiunta.
Eppure ci sono passi verso l’inclusione sistematica estremamente concreti e quasi banali che si possono compiere, che faciliterebbero la partecipazione alla vita politica e partitica di tuttə. Per esempio? Fare in modo che siano sempre presenti sottotitoli nei video e descrizioni delle immagini, oppure eliminare le barriere d’accesso agli spazi per le persone con mobilità ridotta. Infatti, quando i problemi di accessibilità ai trasporti, agli spazi pubblici, agli edifici, o le difficoltà legate a una disabilità sensoriale o psicologica impediscono di fare campagna elettorale in condizioni di parità con gli altri candidati, il sistema deve essere riequilibrato con un’azione politica. Lo sforzo deve essere ancora più importante in vista delle prossime elezioni europee del 2024, le quali, considerando gli importanti eventi geopolitici globali a cui stiamo assistendo, saranno un momento cruciale per mettere le fondamenta dell’Europa del futuro: un’Europa più democratica, equa ed inclusiva, in cui ogni individuo possa realizzarsi attraverso un’esistenza piena e soddisfacente.