Il grande economista francese Francois Perroux – che fu il mio maestro a Parigi- scrisse nel 1954 un libro complesso – l’Europe sans rivages– in cui sviluppava una visione dell’Europa che non poteva confondersi con la piccola Europa cioè con il restante territorio del nostro continente ad ovest della cortina di ferro. «Essere europei non significa nascere in una certa latitudine, distinguersi da tale circolo culturale ma partecipare alla missione che l’Europa storica ha contribuito a definire e che spesso ha mancato. L’Europa disegna meno un campo che un seme che dobbiamo germogliare». Dal suo punto di vista, l’Europa racchiude tutti gli uomini che l’Europa storica ha fatto beneficiare dalla propria forma di civiltà, include quindi la Gran Bretagna ma anche gli Stati Uniti d’America e probabilmente parte della Russia (oggi diremo anche l’Ucraina). Occorre quindi, secondo Perroux, evitare la costituzione di blocchi nazionali chiusi e ostili gli uni agli altri, e mantenere l’ideale essenzialmente europeo di una società aperta.
Il piano Marshall fu un fenomeno internazionale senza precedenti nella storia del ventesimo secolo. Molti intellettuali dell’epoca vedevano in questo massiccio piano americano di aiuti sia una protezione concessa agli Stati europei sovrani contro la minaccia sovietica oppure un cavallo di Troia attraverso il quale gli Stati Uniti avrebbero colonizzato l’Europa occidentale per servire i propri interessi. Il 5 giugno 1947, George Marshall pronunciò il suo famoso discorso all’università di Harvard che diede luogo al piano che porta il suo nome e che fu denominato ‘European Recovery Program (ERP). Dalla metà del 1948 alla fine del 1951, il piano fornì all’Europa 13 miliardi di dollari, di cui il 90% in aiuti diretti. Fu originariamente concepito per solo un anno con il Foreign Assistance Act ratificato da Truman ma fu poi prorogato per altri due anni alla luce dei risultati ottenuti in Europa e di una situazione favorevole dell’economia americana. Circa 5 miliardi furono sborsati a sedici paesi[1], benchè la metà degli aiuti andarono al Regno Unito e alla Francia. Nessuna delle democrazie popolari dell’Europa dell’est ricevette aiuti a causa del rigetto del piano da parte dell’Unione Sovietica.
Il piano Marshall fu considerato uno dei piu grandi successi della politica americana per disegnare il quadro economico multilaterale del dopo guerra. Ma a causa della sua portata e delle sue implicazioni geopolitiche, il piano Marshall segnò l’inizio della guerra fredda. Nonostante l’opposizione dei partiti comunisti, il piano fu tuttavia accolto con fervore dagli ambienti liberali e persino da De Gaulle che vedeva negli Stati Uniti un paese rivale. Tra i due imperialismi, molti paesi occidentali scelsero la linea atlantista che garantiva libertà politica e progresso economico. Il processo di integrazione economica attraverso la liberalizzazione degli scambi e la creazione di un mercato comune si tradusse in un aumento senza precedenti dei livelli di reddito pro capite con un tasso di crescita annuo del 5% tra il 1950 e il 1973.
Come diceva Jean Monnet, l’Europa avanza attraverso le crisi. La riunificazione tedesca fu un’altra pietra miliare della storia europea quando il conservatore Kohl si oppose all’ortodossia monetaria della Bundesbank e introdusse la parità di cambio con il marco tedesco orientale, Ma questa decisione storica ebbe delle conseguenze molto piu profonde sull’avvenire dell’Europa. Con la disintegrazione del blocco sovietico, ci fu un’ulteriore spinta integrazionista che culminò con il trattato di Maastricht che prevedeva l’introduzione dell’euro e la realizzazione di un mercato unico. La caduta del muro di Berlino fu anche un fattore di accelerazione dei mutamenti strutturali del capitalismo. Negli anni 90 che Stiglitz qualificò gli anni ruggenti (dal titolo del suo libro ‘the roaring 90s’) si aprì una stagione di globalizzazione sfrenata attraverso l’apertura dei mercati, la deregolamentazione dei sistemi finanziari e la liberalizzazione delle merci, del denaro e lo sviluppo delle tecnologie digitali che hanno reso possibile la circolazione dell’informazione. Il mondo non aveva più confini come scriveva Thomas Friedman nel suo libro ‘the world is flat’. Quando verrà scritta la storia della globalizzazione ci renderemo conto che deve essere vista, almeno dalla nostra lente europeista (ma non per la Cina che ne ha maggiormente beneficiato) come un ecosistema insostenibile che ora sta crollando.
La crisi finanziaria globale del 2007-8 fu il risultato di tali eccessi, avendo origine negli Stati Uniti con la crisi dei subprime e estendosi poi alla zona euro dove era scoppiata una crisi del debito sovrano con la bancarotta della Grecia ed altri paesi periferici. L’Unione europea venne colta di sorpresa non avendo nel suo armamentario giuridico gli strumenti per stabilizzare la crisi. Cosi fu creato nel 2011 il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) ovvero un fondo salva stati che eroga prestiti ai paesi in difficoltà sottoposti a delle strette condizionalità. La risposta degli Stati, sotto pressione tedesca e coordinata a livello internazionale, fu di imporre delle politiche di austerità in un contesto di forte recessione. Questa decisione fu un grave errore politico che alimentò le reazioni populiste e sovraniste in tutta Europa. In parte, fu compensata con la decisione della BCE e le famose tre parole pronunciate da Draghi (‘whatever it takes’) per calmare la speculazione sui mercati finanziari ed avviare una politica monetaria più lassista attraverso l’acquisto di titoli finanziari, essenzialmente governativi con la creazione di nuova moneta.
Con la pandemia esplosa all’inizio del 2020, l’Europa si ritrova più unita che mai. A differenza della crisi finanziaria, in pochi mesi vara una serie di misure di sostegno ai governi sotto forma di regimi temporari di aiuti di stato, prestiti e garanzie, nonchè il regime europeo di ‘cassa integrazione’ (Sure). La decisione più importante riguarda il piano di rilancio per l’Europa (Recovery Plan for Europe, per analogia con il piano Marshall) con una dotazione massima di 800 miliardi di euro sotto forma di sovvenzioni e prestiti per far fronte ai danni economici e sociali causati dalla pandemia. Ma l’aspetto più rilevante è che per la prima volta l’Europa ha deciso di prendere i soldi in prestito sui mercati finanziari con delle garanzie degli Stati membri che dovranno collettivamente rimborsare quelle somme entro il 2058. Sotto questo profilo, il piano rappresenta un primo passo sgnificativo verso una mutualizzazione dei debiti per far fronte a futuri shock comuni in Europa, trasformando così il sistema delle finanze pubbliche europee in un possibile bilancio integrato con vere risorse proprie. Per dare un’idea della magnitudine dello shock provocato dalla pandemia di Covid 19, due economisti americani, Sargent e Hall spiegano in un saggio recente che esso è paragonabile in termini economici a quello delle due guerre mondiali.
Ma ancora una volta l’Europa si ritrova a gestire una nuova crisi varando vari pacchetti di sanzioni in risposta all’aggressione militare della Russia e fornendo aiuti e armi alla resistenza ucraina e al massiccio flusso di rifugiati. Tuttavia, insieme alla pandemia, la guerra in Ucraina ha rivelato le vulnerabilità legate alla dipendenza dell’Europa nei confronti della Russia e della Cina per la fornitura di gas, materie prime o i trasporti in container. Le imprese europee si stanno ritirando in ordine sparso dalla Russia per paura delle sanzioni ma anche dei costi reputazionali.
La sovranità strategica in campo economico (attraverso la rilocalizzazione di produzioni di beni essenziali), energetico (per diversificare le fonti di approvvigionamento di gas e petrolio e accelerando la transizione energetica) e anche militare, seppure in forma limitata, diventa la nuova priorità dell’agenda politica europea. Ciò che cambierà in futuro è la natura della nostra interdipendenza. Oggi, nel mondo ci sono più regimi autocratici che democrazie. I valori condivisi, come il valore della democrazia diventano un fattore decisivo per la scelta dei nostri partner economici. Questa è la nuova frontiera dell’Europa e il nostro comune destino.