La bellezza e la sostenibilità degli edifici sono due realtà complici da secoli, ma le trasformazioni politiche e sociali comportano radicali e necessari stravolgimenti del tessuto urbano per adeguarsi alle sempre diverse necessità dello sviluppo economico e demografico. I grattacieli, concepiti come tipo edilizio opportuno per la modernizzazione della città, costruiti alleando le aspirazioni di pubblici e privati in progetti innovativi, sono stati anche definiti “la perfetta metafora ed espressione architettonica degli errori del capitalismo” che prevede il primato dell’economia su tutto il resto.

Foto dell’autrice

Dagli USA il grattacielo è stato esportato in tutto il pianeta per divenire il simbolo, più che appropriato, del modello di sviluppo del mondo globalizzato. A tutt’oggi Dubai conta 571 edifici più alti di 100 metri, Tokyo 633. Bangkok 777, Hong Kong 856, New York ne ha 866. Anche se con la loro ombra riducono la luce nelle strade delle città e la loro altezza mastodontica ricorda all’uomo la sua minuscola dimensione fisica, costruire un grattacielo sempre più alto degli altri significa annoverarsi tra i più grandi e i più potenti della Terra. Alcuni credono che, se l’umanità prima o poi tornerà al buon senso e riscoprirà se stessa, per quei monumenti alla follia non ci sarà più spazio, ma un altro scenario si profila per il futuro dei grattacieli: se verrà realizzato questa struttura vedremo il grattacielo non più alto, ma più lungo del mondo.

 

Foto da wikipedia.org – CC BY 4.0

È il progetto THE LINE, o meglio THE MIRROR LINE, il visionario futuristico complesso voluto dal Principe ereditario saudita Mohammad bin Salman, che nel presentarlo all’inizio del 2021 ha affermato che «la nuova costruzione affronterà le sfide che l’umanità incontra nella vita urbana di oggi e dimostrerà modi di vivere alternativi» e «Perché dovremmo sacrificare la natura per il bene dello sviluppo? Perché sette milioni di persone dovrebbero morire ogni anno a causa dell’inquinamento? Perché dovremmo perdere un milione di persone ogni anno a causa di incidenti stradali? E perché dovremmo accettare di sprecare anni della nostra vita facendo il pendolare?». Una vera sfida tecnologica ed avveniristica costruita su un’area di 34 chilometri quadrati, la “pietra angolare” degli obiettivi all’interno di Vision 2030, il piano di sviluppo globale dell’Arabia Saudita, da edificarsi nella provincia di Tabuk, tra il Mar Rosso e il Golfo di Aqaba. The Line proporrà un nuovo approccio al design della città, con l’idea di sovrapporre le funzioni urbane verticalmente e permettere alle persone di muoversi senza soluzione di continuità in tre dimensioni (su, giù o attraverso). Si chiama Zero Gravity Urbanism. Una Mirror Line con le facciate degli edifici (alti 500 metri per una lunghezza di 270 chilometri) completamente a specchio per armonizzarsi con l’ambiente circostante, che passerà attraverso deserti e regioni fortemente montuose provvedendo al funzionamento di tutti i suoi servizi con il 100% di energie rinnovabili, con una efficienza mai vista nell’ambito dei servizi offerti ai cittadini. (Creerà anche fino a 380.000 nuovi posti di lavoro). Un treno sotterraneo collegherà la struttura end-to-end in 20 minuti, senza alcuna emissione di carbonio. Un team di architetti e ingegneri di fama mondiale (tra cui un gruppo italiano che dovrebbe costruirne le fondamenta) promette la riduzione dello spazio necessario per le infrastrutture e la creazione di una straordinaria efficienza urbana. Insomma una rivoluzione urbanistica senza precedenti.

Il progetto si presenta però pieno di contraddizioni. Ad esempio stime iniziali   suggeriscono un lasso di tempo lungo 50 anni per poterlo ultimare, ma i finanziatori ipotizzano che il complesso dovrebbe poter ospitare 450mila persone già nel 2026; tra 1,5 e due milioni nel 2030; e nel 2045 nove milioni. Sinceramente non si capisce (per ora) come sia possibile desalinizzare l’acqua e poter dare servizi e approvvigionamenti in quello spazio cosi remoto e inaccessibile senza un consumo di risorse. E si sollevano anche questioni relative al rispetto dei diritti umani. Come raccontato dal Guardian, la regione scelta per la sua realizzazione è abitata dalla tribù Huwaitat: 20mila beduini rischiano di essere sfrattati dalle loro terre.

E pur con tutta la volontà di ridurre al minimo le emissioni, avrebbe comunque un grande impatto sull’ambiente circostante. Gli animali troverebbero enormi difficoltà nel ritrovarsi in un territorio diviso da un muro di vetri, gli ecosistemi ne potrebbero uscire totalmente contaminati e le specie si ritroverebbero costrette a vivere in un ambiente artificiale.

In termini di costi una lucida follia, voluta fortemente dal principe ereditario Mohammad bin Salman, che ha dichiarato che la prima fase del progetto e la sua realizzazione costeranno 1,2 trilioni di riyal (319 miliardi di dollari), metà dei quali arriveranno dal fondo sovrano del regno, il Public Investment Fund.

Singapore – Foto di apertura dell’autrice