Il concetto di democrazia è palesemente in crisi nel mondo globale. Quando Putin si allunga il potere pretestuosamente fino a tutto il 2036 (mentre il terreno con l’incauta guerra in Ucraina gli frana sotto i piedi) meritandosi l’etichetta di “nuovo zar”, quando sembra difficile scalzare dal potere cacicchi come Erdogan o Netanyauh, quando presidenti deposti come Trump e Bolsonaro non accettano il verdetto delle urne e fanno mettere a soqquadro i rispettivi Congressi dai propri sostenitori, appare evidente la via facilitata alle autocrazie.

Foto libera da Pixabay

E gli elettori sembrano convenzionalmente stanchi delle vecchie politiche e, se non partecipano disertando ai seggi, si danno all’eversione e alla sommossa. In definitiva un diffuso malessere che tarpa le ali alla democrazia è diventato vero e proprio virus infestante e forse irreversibile. I popoli non si sentono più rappresentati da un potere politico eletto a minoranza. Le debolezze strutturali di sistema, la perdita di credibilità della politica tradizionale, spingono nel precipizio del populismo e del sovranismo. E proprio i partiti che accettano questo stato di cose e si riconoscono in queste etichette acchiappano il maggior numero di consensi e suffragi.

Tanto che anche i partiti “anti” devono seguire questa strada con segnali come la perdita dei militanti, degli attivisti, la chiusura delle sezioni, il mancato rinnovo delle iscrizioni. È totalmente cambiata l’immagine della partecipazione alla politica. Dimenticate perciò il vecchio simpatizzante del Pci, ormai appartenente a una generazione obsoleta: quello che finanziava il partito, cucinava la pasta nei festival dell’Unità, dava vita a corposi dibattiti in riferimento a D’Alema-Veltroni-Occhetto, era disponibile a vendere il quotidiano di partito per strada con un volontariato stringente e fungeva da agit prop per la generazione giovanile che era una sorta di vivaio per la leadership assoluta.

Ora è necessario riattualizzare la definizione di Winston Churchill per cui “la democrazia è la peggiore forma di governo, eccezione fatta per tutte le altre”. Da unica opzione possibile per “il migliore dei mondi possibili” la democrazia è sprofondata in un buco nero che porta a virarla come “demopatia”, una pericolosa e insana variante. Un segnale evidente dell’instabilità del quadro è la variazione dei flussi elettorali per quella percentuale sempre in diminuzione degli esercitanti al diritto/dovere del voto. Un Movimento Cinque Stelle sulle montagne russe: dal 33% al 10%, poi di nuovo al 17% grazie all’impulso di Conte (e all’indifferenza di Grillo), una Lega che dal 30% precipita sotto, ridotta alla cifra singola.

Come obietta Mair: “Più la partecipazione elettorale diminuisce e più cresce il livello indifferenza, più è lecito aspettarsi che anche questi cittadini renderanno il proprio coinvolgimento più instabile, più incerto e di conseguenza esprimeranno le proprie preferenze politiche in maniera più casuale…”. Come dire che il voto del futuro sarà sempre meno ragionato e affidato all’intuitività o a un’abile pubblicità partitica. E l’indifferenza, il mancato approfondimento, produrrà un elettore volubile, svogliato, depresso e mutevole. Sembra la radiografia dell’italiano del Censis, invariabilmente contenuta in un rapporto di fine anno. Svanita l’illusione del dovere e della missione dello statista rimangono slogan elettorali, marketing e programmi iperurani inattuabili e un incertissimo orizzonte futuro.

Foto di apertura libera da Pixabay