Eh sì, chissà se le sciure che fanno il passeggio in via della Spiga a Milano o le signore della Roma bene che guardano le vetrine in Via dei Condotti a Roma lo sanno. Hugo BoSS “lo stilista del Fuhrer”.

Detto così suona ancora meglio di quello che è stato, della sua storia al servizio del Terzo Reich.

Hugo Boss, (Metzingen, 8 luglio 1885 – Metzingen, 9 agosto 1948) è stato uno stilista tedesco, fondatore del marchio Hugo Boss nella stessa città di nascita, vicino Stoccarda, membro attivo del partito nazista già dal 1931 e di convinta ideologia nazista. Per non dimenticare mai e ricordare sempre, non solo il 27 gennaio “Giorno della Memoria”.

Foto da wikipedia.org – CC0

Boss, dopo il servizio militare dal 1903 al 1905, lavorò in una fabbrica di tessitura a Costanza. Assunse poi l’eredità del negozio di abbigliamento dei suoi genitori nel 1908. Partecipò anche alla prima guerra mondiale con il grado di caporale. Nel 1923 fondò il suo marchio di abbigliamento, sempre a Metzingen, aprendo una fabbrica, dove produceva maglie e giacche e poi in seguito estese la produzione ad abiti da lavoro, abbigliamento sportivo e impermeabili. Erano comunque anni difficili, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale il Patto di Versailles aveva messo in ginocchio l’economia tedesca, il tutto aggravato dalla grande crisi del 1929, che colpì ovviamente anche la Germania, con il crollo della borsa di Wall Street, fallimenti di aziende e disoccupati a milioni. Queste furono le basi per l’ascesa del partito nazista e anche dell’azienda, che fu costretta a dichiarare bancarotta nel 1930, ma l’anno dopo Hugo Boss strinse un accordo con i nazisti e il fatturato riprese alla grande. Addirittura lo stilista lanciò una vera e propria collezione denominata “BOSS- 1934 COLLECTION”: divenne il simbolo del nazismo. Anche se può essere comprensibile che per salvare la propria azienda si faccia ricorso a sotterfugi e accordi discutibili, quello che segue per me non ammette distinguo o scuse.

Annuncio del 1933 pubblicato da Hugo Boss per uniformi naziste, lavoro, sport e abbigliamento antipioggia – Foto pubblico dominio da wikipedia.org

Infatti la svolta professionale, chiamiamola così, la ebbe subito dopo la sua adesione al partito nazista nel 1931, quasi due anni prima dell’avvento di Adolf Hitler al potere. Già due anni dopo la sua fabbrica produceva l’uniforme nera delle SS, per sostituire le camicie brune delle SA, anch’esse prodotte dalla sua fabbrica, oltre alle uniformi nere e marroni della gioventù hitleriana. Poi la produzione si allargò anche alle divise per il servizio postale, i dipendenti delle ferrovie e in seguito per la Wehrmacht, curandone anche la parte grafica dei conosciuti loghi nazisti. Ovviamente non furono lo stilista e il suo gruppo a scegliere direttamente i tagli degli abiti, lo stile e i colori, ma si ritiene che abbiano collaborato a scelte grafiche e di design, tanto che, ma non ci sono prove, si ipotizzò che fosse anche l’artefice dello “stile” ufficiale del Fuhrer e dei suoi generali, contemporaneamente i guadagni diventarono senza misura.

Il gentile lettore chiederà: “Che c’è di strano, arrivavano ordini di lavoro…si eseguivano, in più erano finalizzati al suo partito, alla sua idea politica…”

Certo ma c’è un “ma”: i lavoratori, sin dai primi anni e poi aumentarono alla fine degli anni 30, erano prigionieri politici, lavoratori forzati, anche deportati e prigionieri di guerra polacchi e francesi, la maggior parte erano donne, furono più di centottanta, che sì scampavano ai lager, ma non credo che l’ambiente fosse poi tanto migliore. E’ documentato come fossero costretti a lavorare in condizioni disumane, subendo fame e sporcizia e sotto controllo di guardie. Vivevano in un campo di concentramento vicino all’officina, in condizioni precarie, con poco cibo e ritmi di lavoro massacranti.

Anni dopo questo sfruttamento schiavista si ritroverà nelle fabbriche di armamenti e di tutto quello che produceva la Germania, con i suoi uomini impegnati come soldati sui vari fronti, utilizzando come schiavi ebrei, detenuti politici, prigionieri di guerra e tanto altro. Finita la guerra e con la caduta di Hitler, Hugo Boss fu accusato di essere un sostenitore del nazismo e della “macchina di guerra” che aveva rappresentato, meglio “attivista, sostenitore e beneficiario” del nazionalsocialismo, ma vergognosamente, per evitare la prigione, gli fu concesso di pagare una multa di circa 100.000 marchi, con anche la privazione del diritto di voto, che non credo lo infastidisse più di tanto, oltre al divieto di gestire un’impresa. Sembra assurdo ma la sentenza fu appellata e gli fu concessa la etichetta solo di “seguace” del nazismo, quindi una posizione meno severa, ma che indusse suo genero Eugen Holy, a subentrare sia alla proprietà che alla gestione della società stessa. Così il passato fu cancellato.

Si fa presto a dimenticare e così nel 1953 l’azienda riprese la produzione confezionando eleganti abiti da uomo, fu subito un successo nonostante il passato oscuro, e addirittura nel 1985 il marchio venne quotato in borsa, poi nel 1993 lanciò la sua gamma di profumi “Hugo”, scalando la classifica mondiale dei 10 profumi maschili più venduti nel mondo. Nessun profumo al mondo potrà sovrastare il tanfo di quegli anni.

Poi nel 1999, un gruppo di avvocati statunitensi che agivano per conto dei sopravvissuti dell’Olocausto iniziarono azioni legali contro la casa di produzione “Hugo Boss” per l’uso del lavoro di schiavi durante tutti quegli anni, senza praticamente risultati.

Dobbiamo aspettare il 2011, quando la casa di moda attraverso un comunicato stampa dichiarò: “Il suo profondo rammarico verso quelle persone che hanno sofferto un danno e un forte disagio mentre lavoravano nell’azienda di Hugo Ferdinand Boss sotto il regime nazional-socialista”. Formale e non sostanziale.

Per non dimenticare cosa è stato il nazismo e cosa ha fatto, oggi con i rischi nel mondo di altre forme similari di “nazismo”, noi come donne e uomini liberi, che vogliono pace, uguaglianza, libertà oggi e per sempre.

 

Foto di apertura pubblico dominio da wikipedia.org