Il prossimo 19 marzo il Kazakistan tornerà alle urne per le elezioni parlamentari anticipate. Dopo le presidenziali di fine 2022, che hanno visto la riconferma del Presidente Tokayev, il nuovo appuntamento elettorale sarà utile per sondare le prospettive del paese in un momento geopolitico cruciale per la regione centroasiatica. Difatti, il 2022 ha lasciato profonde ferite aperte nella vita politica del secondo più grande Stato post-sovietico.
Le vicende del “Bloody January” avevano visto violente manifestazioni colpire i palazzi istituzionali, portando il governo a richiedere l’intervento della Collective Security Treaty Organization (CSTO) sotto l’egida moscovita. Neanche un mese dopo, il paese ha dovuto confrontarsi con l’inizio delle operazioni militari russe in Ucraina, mettendo le autorità locali davanti ad una situazione particolarmente difficile tra presa di distanza dall’aggressività di Mosca e la pragmatica necessità di non inimicarsi un vicino con cui condivide 7.600 km di frontiere settentrionali, densi legami economici sanciti dall’appartenenza all’Unione Euroasiatica ed anche la presenza di una corposa minoranza russa sul suo territorio. In questo senso, il Kazakistan ha saputo rilanciare la sua “diplomazia multivettoriale” ponendosi come nuovo perno delle dinamiche regionali.
In particolare, i vertici kazaki hanno cercato di irrobustire le esportazioni di greggio verso l’Europa, dovendosi però confrontare con l’ostacolo logistico del passaggio dei gasdotti attraverso la Russia, e attirando crescenti investimenti esteri (FDI) nel settore delle energie rinnovabili attraverso partnerships con aziende straniere tra le quali l’italiana ENI. Questo attivismo è stato anche evidenziato dal Summit delle religioni ospitato ad Astana nel settembre dell’anno scorso ma anche dall’importante Conference on Interaction and Confidence-Building Measures in Asia (CICA) che mira a garantire i confini asiatici. Tuttavia la proiezione internazionale del paese nasconde le ombre di un difficile processo di stabilizzazione interna che rischia di minare la transizione verso la democrazia. La fase di passaggio politico dall’era Nazarbayev, dimessosi nel 2019, a quella di Tokayev ha portato alla luce diverse problematiche radicate nella struttura politico-economica dello Stato. Le persistenti ineguaglianze sociali, la divisione spesso oligarchica delle risorse, il crescente peso dell’influenza delle aziende cinesi nel tessuto economico nonché la precaria situazione dei diritti umani e della rule of law possono fare riemergere tensioni e compromettere la stabilità non solo del Kazakistan ma anche delle adiacenti repubbliche centroasiatiche. Il configurarsi di un tale nesso tra sicurezza e democrazia, noto come security-democracy nexus, non deve essere trascurato dalla comunità internazionale e da quelle organizzazioni, come l’OSCE/ODIHR, chiamate a vagliare la situazione politica del paese durante l’appuntamento elettorale.
Foto di apertura: Il palazzo presidenziale del Kazakistan ad Astana – foto di Snowscat su Unsplash