Negli ultimi anni ho seguito molto da vicino tutto quello che riguarda il vecchio ergastolo di Santo Stefano in Ventotene. Colpa, se così si può dire, del mio ultimo libro (Non volevo morire così, Nutrimenti, 2017) perché per scriverlo mi sono immerso così tanto nella storia del carcere e nelle sue vicissitudini che a un certo punto mi è sembrato quasi di conoscerne ogni andito, di parlare con i sanguinari assassini o i politici illustri che vi erano stati rinchiusi, di sentire le urla delle sirene dopo le poche evasioni. E questo soprattutto perché ero riuscito a consultare, e finora sono stato uno dei pochissimi a poterlo fare, i fascicoli dei detenuti dell’ex ergastolo conservati nel carcere di Cassino.

Quando stavo già lavorando al libro, cioè nel 2016, il governo stanziò 70 milioni di euro per il “recupero e la valorizzazione dell’ex ergastolo”. E adesso quel progetto, dopo un paio di false partenze sta entrando nel vivo. C’è un commissario straordinario, Silvia Costa, si sono cominciati i lavori di messa in sicurezza, si cominciano a definire le linee di intervento. E, se tutto filerà liscio, entro qualche anno l’ex ergastolo sarà un sito che regalerà ai suoi visitatori non poche emozioni.

E questo per un motivo molto semplice: Santo Stefano non è stata una prigione come tutte le altre. Nei suoi quasi duecento anni di vita è stato il crocevia di buona parte delle grandi vicende del nostro paese. E, contemporaneamente, la sua storia è la sintesi dell’evoluzione del concetto di pena detentiva.

Progettato alla fine del Settecento per volere del re di Napoli Ferdinando IV l’ergastolo venne realizzato inspirandosi ai principi del panopticon di Jeremy Bentham. Così nacque un’enorme prigione a ferro di cavallo con tutte le celle affacciate verso l’interno in modo che poche guardie possano controllare tutti i detenuti. I Borboni vi rinchiusero pericolosi delinquenti ma anche gli oppositori politici. Così accade nel 1799 quando cade la Repubblica Napoletana e centinaia di suoi sostenitori vengono portati nel carcere da poco in funzione: tra loro c’è anche Raffaele Settembrini, padre del patriota Luigi che vi verrà rinchiuso dopo l’insurrezione del 1848 insieme a una ventina di politici. È Luigi Settembrini che ci ha lasciato un’accurata descrizione di come funzionava quel terribile luogo di pena. Detenuti che girano con i ceppi ai piedi, punizioni corporali durissime inflitte al centro del panopticon, le urla di quei disperati, le morti a catena.

Con il Regno d’Italia la prigione che Settembrini aveva definito la “tomba dei vivi” subisce una modifica sostanziale. Le grandi celle per otto-dieci detenuti diventano singole, viene costruita una quarta sezione che per alcuni anni diventa un “teratocomio”, letteralmente “dimora di essere mostruoso”. E durante il fascismo è il carcere dove far scontare la segregazione ai più “pericolosi” antifascisti come Sandro Pertini e Umberto Terracini. Poi, superati gli anni della guerra con la clamorosa rivolta del novembre 1943 guidata da Sante Pollastro, il bandito reso famoso ai nostri giorni dalla canzone cantata da Francesco De Gregori, “Il bandito e il campione”, arriva la rivoluzione “buona”. Un direttore illuminato che scriverà un libro dal titolo esplicito, “Perché la pena dell’ergastolo deve essere attenuata”, costruisce un carcere modello studiato in tutta Europa. Porta acqua e luce elettrica, crea lavoro per i detenuti, fa costruire un campo di calcio e un cinema, parla con loro, gli dà fiducia, crede nella “redenzione” di chi ha sbagliato. Si chiamava Eugenio Perucatti e diresse l’ergastolo di Santo Stefano dal 1952 al 1960, cioè fino a cinque anni prima della sua chiusura.

Leggendo gli studi preliminari del progetto di recupero e seguendo il dibattito che li sta accompagnano si può provare a immaginare come sarà l’ex ergastolo tra qualche anno. L’isolotto a un miglio da Ventotene si potrà raggiungere con una comoda imbarcazione. Una volta messo piede a terra inizierà un viaggio nel tempo e nella storia che sarà capace, come dicevamo, di provocare emozioni uniche. Si salirà al penitenziario come i condannati di allora, si entrerà in un percorso di visita che riproporrà la storia della struttura e di chi vi è stato rinchiuso. Poi si arriverà al cuore del carcere, le celle del panopticon. Qui, grazie ai più avanzati strumenti multimediali, si rivivranno i soprusi, le sofferenze, le speranze. Sembrerà quasi di fare un viaggio nel tempo e di stare accanto a Sandro Pertini o a un anonimo detenuto impiccatosi per la disperazione, a un famoso bandito piuttosto che all’uomo che uccise il re d’Italia. Le altre costruzioni del complesso carcerario dovrebbero ospitare un centro studi dedicato ad Eugenio Perucatti, il direttore illuminato, foresterie per brevi soggiorni sull’isola di artisti e studiosi, posti di osservazione per lo studio di fauna e flora.

Sono pochi i luoghi del nostro paese capaci di offrire in uno spazio così ristretto e architettonicamente affascinante un condensato così intenso di memoria recente della nostra storia. Per non dire poi del suo essere un tutt’uno con Ventotene, l’isola confino considerata, per via del manifesto di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni che porta il suo nome, culla dell’Unione europea. Un soggiorno anche breve nel piccolo arcipelago è, e sarà sempre di più, un viaggio alle radici dell’Italia e dell’Europa di oggi.