Voglio ricordare un poeta, un grande uomo del sud, conosciuto e studiato ai tempi del liceo, grazie a una immensa professoressa di filosofia.
Rocco Scotellaro (Tricarico (MT) 19 aprile 1923 – Portici (NA) 15 dicembre 1953), quest’anno è un secolo dalla sua nascita e settant’anni dalla sua morte, giovanissimo, ma ha lasciato una testimonianza del sud, di Matera e della sua provincia praticamente indelebile. Nella sua breve ma intensa vita è stato poeta, politico, sindacalista e scrittore, la voce del sud, dell’anima degli ultimi, del mondo rurale meridionale, in un minuscolo paesino, Tricarico, di origini arabe e normanne, con un piccolo quartiere arabo, la Rabata, con viuzze e piccole torri di protezione. Nato da famiglia umile e analfabeta, sin da giovanissimo fu, studiando praticamente da solo, vicino alla sua terra e alla sua gente, anche loro per lo più analfabeti, che vivevano in condizioni pietose, se pensiamo che nei Sassi di Matera, ancora negli anni cinquanta, circa quindicimila contadini e artigiani vivevano ancora nelle grotte insieme ad animali, in condizioni igenico-sanitarie disastrose.
Di sé diceva “Io sono uno degli altri”, quando li aiutava a scrivere e a leggere le lettere dei parenti emigrati all’estero.
La sua terra, la Basilicata, era diventata nota in Italia con “Cristo si è fermato a Eboli” di Carlo Levi, nel 1945, lo scrittore piemontese confinato in Lucania durante il fascismo che narrò di quel mondo rimasto fermo nel tempo. E così con poesie e tanti scritti cominciò a far conoscere quelle realtà, le condizioni di vita delle classi che non contavano, se non come braccia-lavoro, sconosciuti e dimenticati entro quei confini, fino a portarli a conoscenza dell’Italia.
La sua testimonianza politica, fu anche un giovanissimo sindaco socialista del suo paese, insieme al suo scrivere parlano con i ritmi della campagna, dell’alternarsi di stagioni e fioriture, i versi raccontano di fiori, piante e alberi, sembrano accompagnati dal suono di chitarre, mandolini e da danze campagnole, ci troviamo la zappa e lo “zappatore”, il mulo e tante parole che risalgono secoli di storia locale. Il segno che lasciano però ha poco di nostalgia, di immagine bucolica, quanto piuttosto del difficile vivere di ogni giorno, della fatica e della stanchezza dovuta alla assenza di umanità e l’obbligo feroce del lavoro quotidiano. Fu la voce del mondo contadino, produsse rime e note verbali di una antica civiltà, quella dei braccianti del Sud, che voce non avevano mai avuto; Scotellaro affermava che bisognava accompagnare e non forzare, per ovvi motivi di mancanza di esperienza delle popolazioni, i necessari mutamenti sociali che sarebbero arrivati con la denuncia delle condizioni della Basilicata e del Sud, soprattutto le aree interne.
Insomma fu una figura significativa di un Sud capace di lottare per la legalità, la terra e la giustizia sociale, ogni suo scritto con una notevole potenza chiama tutti a entrare nella Storia, proprio chi per secoli ne è stato escluso e dimenticato.
Voglio ricordarlo con due poesie che mi sono molto care, ti prego gentile lettore, assaporale, masticale, lasciale entrare in te:
“È fatto giorno”
È fatto giorno, siamo entrati in giuoco anche noi
con i panni e le scarpe e le facce che avevamo.
Le lepri si sono ritirate e i galli cantano,
ritorna la faccia di mia madre al focolare.
“Noi non ci bagneremo”
Noi non ci bagneremo sulle spiagge
a mietere andremo noi
e il sole ci cuocerà come la crosta del pane.
Abbiamo il collo duro, la faccia
di terra abbiamo e le braccia
di legna secca colore di mattoni.
Abbiamo i tozzi da mangiare
insaccati nelle maniche
delle giubbe ad armacollo.
Dormiamo sulle aie
attaccati alle cavezze dei muli.
Non sente la nostra carne
il moscerino che solletica
e succhia il nostro sangue.
Ognuno ha le ossa torte
non sogna di salire sulle donne
che dormono fresche nelle vesti corte.
Foto di apertura da wikipedia.org – CC BY-SA 3.0