L’autrice comincia con la descrizione della vita di una piscina coperta in una cittadina americana ed è singolare nell’illustrarne il ritmo ben scandito.
Tutti i frequentatori sono accomunati dal desiderio almeno in quel contesto di vivere una vita diversa e dimenticare i ritmi frenetici e alienanti della città.
La consapevolezza di far parte di una comunità con una unica passione quella di nuotare e alla ricerca di un riparo e di un luogo sicuro che li estranei dalla vita degli umani. Con questo ritmo, volontà e passione si nuota, solitamente a stile libero, e si fanno le vasche della piscina, consapevoli di essere in uno scrigno di evasione e distacco. Poi all’improvviso la constatazione che sul fondo della piscina, si è fatta una crepa. Nasce il timore che la piscina non sia più un luogo sicuro. L’osservazione della crepa diventa una ossessione e molti temono una eventuale constatazione qualora si verificassero delle variazioni. Le comunicazioni della Direzione non sono dirimenti e non tranquillizzano; di conseguenza si diventa meno assidui nella frequentazione per prevenire un eventuale pericolo. All’improvviso, ma non così imprevista si comunica l’inevitabile ma anche poco chiara decisione di chiudere la piscina. Tutti i frequentatori della piscina sono preoccupati e stressati dagli accadimenti, ma Alice ancora di più; lei questo stress lo sente maggiormente e soffre in maniera acuta per l’esistenza della crepa e la chiusura della piscina. Ma forse questo non è un semplice segnale di ansia ma è per Alice un sintomo di qualcosa di più profondo.
Alice ricorda sempre meno ed è sempre più smemorata. Sua figlia e suo marito la portano a farla visitare e la diagnosi non è buona: una demenza rara diversa anche dall’Alzheimer.
Lei continua a vivere a casa e sopravvive con post it messi dappertutto per ricordarle di chiudere l’acqua del lavandino o spegnere la luce.
Ci si interroga su quello che si può fare, e su quello che è in grado di ricordare e non ricordare.
Una vita lunga piena di sofferenze per aver affrontato la guerra con un marito che vi ha dovuto partecipare, la prigionia in Giappone, la perdita della prima figlia senza riuscire a fare in tempo a dargli un nome, i tanti sacrifici per vivere sono tutti i pensieri che affollano la mente ormai in disordine di Alice, alla presenza costante di una figlia e del suo amore che la osserva e spera sempre.
La decisione del ricovero in una casa di cura specializzata e le reazioni dei familiari: il marito che ne prova l’assenza e che non rimuove niente degli oggetti personali della moglie, pensando che possa tornare quanto prima, mentre la figlia non smette mai di andarla a trovare e che ogni giorno lentamente la vede invecchiare e trasformarsi in una nullità. La vita in quel luogo che forse non è un luogo, ma un “non luogo”, in cui i suoi pazienti aspettano senza essere più consapevoli su che cosa attendere.
L’epilogo della vita di Alice è inevitabile, ma resta la passione della figlia e le attenzioni per l’adorata madre e il suo percorso interiore per aver dovuto affrontare una simile vicenda.
L’autrice con questa storia rappresenta in maniera sublime il dramma molto frequente di chi vede un proprio caro trasformato da una malattia subdola e inesorabile che devasta e impedisce il normale relazionarsi con il mondo esterno.
Un libro da condividere nella sua trattazione perché originale e autentico e soprattutto è una storia dei nostri tempi.
Foto di apertura: PiscinaVandelli da Pixabay