Mi ero chiesto nell’articolo del mese scorso se Hamas avesse valutato il danno che avrebbe attratto sulla propria popolazione con la vigliacca azione del 7 ottobre. Gli eventi succedutesi hanno dimostrato che ero ingenuo. Non solo avevano ipotizzato le sofferenze della popolazione palestinese per la scontata reazione di Israele al massacro, ma probabilmente era quello che volevano per incendiare la situazione.
L’unico obiettivo di Hamas era ed è sabotare qualsiasi possibile passo avanti per la pace nella regione. Questo obiettivo palesemente non è conciliabile con nessuna politica volta a risolvere la situazione dei palestinesi con la formula “due popoli, due stati”.
Se servisse, a supporto di quanto affermato, le azioni realizzate dai terroristi dopo la controffensiva israeliana sono state evidentemente contrarie a qualunque trattativa e incuranti della propria gente. Hanno inventato un falso attacco di un ospedale (colpito invece da un loro razzo e senza grandi danni, come dimostrato poco dopo) per impedire l’incontro di Biden in Giordania; hanno rifiutato di riconsegnare gli ostaggi israeliani ed hanno, in vari modi, intralciato il deflusso da Gaza city della popolazione palestinese verso sud, per evitare i bombardamenti.
La finalità dichiarata di Hamas è quella di distruggere lo stato di Israele e la sua popolazione. Un proposito folle, criminale ed evidentemente irrealizzabile, condiviso solo dai loro sponsor iraniani. Anche gli altri paesi mussulmani chiamati a reagire immediatamente, dopo qualche dichiarazione di rito, di fatto non hanno promosso alcuna azione concreta e d’altra parte non hanno alcun interesse ad un allargamento del conflitto che potrebbe travolgerli. L’operazione militare avviata da Israele e tuttora in corso era prevedibile ed il paese colpito a tradimento aveva tutto il diritto di reagire. Certo purtroppo tanti palestinesi civili sono morti e ci auguriamo che presto l’operazione termini con successo. D’altra parte in una guerra non voluta e di risposta l’obiettivo non può non essere che quello di impedire al nemico di poter nuocere di nuovo. In questo caso poi gli atti di guerra non sono rivolti contro una nazione, ma contro una banda di criminali irriducibili che tentano di usare i civili, ostaggi o connazionali, come scudo per delinquere impuniti; certo essi non hanno credibilità per trattare o promettere alcunché.
Anche questa guerra pone. a ciascuno di noi, dilemmi etici e politici cui non è facile rispondere. Israele con la controffensiva mette a rischio gli ostaggi e forse ne ha ucciso alcuni; inoltre ha colpito tanti civili palestinesi. Ogni vita umana vale di per sé; non importa razza, religione, cittadinanza; ma in una guerra che non sia di sterminio, gli obiettivi di un paese civile sono quelli di finire al più presto la guerra e di evitare nuovi attacchi. È atroce pensare che alcuni morti oggi potranno evitarne molti altri domani, ma in alcuni casi occorre prendere decisioni atroci.
Non c’era spazio di trattativa con i criminali, bisognava reagire duramente. Le stesse scelte furono fatte (in reazione contro attacchi nemici) con i bombardamenti delle città italiane e tedesche e con le bombe atomiche sul Giappone nella II guerra mondiale. Il risultato fu: tantissimi morti civili, ma anche l’accorciamento della durata bellica e nemici messi in condizione di non combattere di nuovo. Su scala inferiore anche in questi giorni le forze ucraine colpiscono gli aggressori russi ed in alcuni casi sono stati colpiti civili; triste, ma inevitabile. Le domande politiche che ci pone questo conflitto riguardano soprattutto gli attuali leader al potere e le scelte effettuate dalle popolazioni. Netanyahu divenne premier nel 1996, l’anno dopo l’uccisione del riformista Rabin da parte di un colono israeliano estremista. Rabin, con gli accordi di Oslo, aveva avviato un processo di pace con i palestinesi. Il nuovo premier ha boicottato gli accordi ed ha via via fatto crescere la tensione con l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) di Arafat.
Dopo un periodo di distanza dal potere è ritornato come primo ministro nel 2009 e da allora continua a governare, con il supporto della forza più reazionaria nel parlamento votata dai coloni, nonostante vari processi per corruzione e frodi e la forte contestazione negli ultimi anni per il suo tentativo di imbavagliare il potere giudiziario.
Gli israeliani hanno scelto chi ha promesso la sicurezza, ma che sicurezza ci può essere se non si risolvono i problemi che la minano? Chi fa campagna elettorale giocando tragicamente sui timori dei votanti è condannabile, ma se continua ad essere votato da una porzione non secondaria della popolazione è incoraggiato a male operare come già ha fatto. Infatti Netanyahu ha continuato ad ignorare le opportunità di distensione con ANP ed anzi li ha provocati con impunità per i coloni estremisti ed addirittura l’avvio di nuove colonie illegali. È chiaro che questo ha spinto i palestinesi all’esasperazione.
I palestinesi nell’ultima elezione, tenutasi nel 2006, votarono in maggioranza per Hamas. Lo fecero per reagire alla corruzione di cui era incolpata Fatah e per contestare gli accordi con Israele. Da allora le elezioni non sono state più possibili, di fatto Hamas si impadronì della striscia di Gaza e l’ANP, rappresentata da Abbas, ha dovuto spostarsi in Cisgiordania. La popolazione palestinese fece un errore drammatico dando il potere ad un gruppo che poi si è sempre più radicalizzato ed ha operato drenando per il proprio lucro le risorse che arrivavano per la gente bisognosa e periodicamente colpendo Israele con i razzi, per tenere alta la tensione.
Insomma assistiamo al dramma di questi giorni proprio perché i popoli coinvolti hanno scelto sulla base delle paure ed ora i loro leader non vogliono la pace, ma anzi hanno operato per boicottare ogni accordo e logorare gli avversari. Gli attacchi del 7 ottobre sono stati possibili anche perché l’attuale governo israeliano ha concentrato le forze a est per difendere, ingiustamente, le nuove colonie e perché Hamas ha tentato di incendiare la regione e il mondo. Errori politici che hanno prodotto stragi!
Sono certo e mi auguro che gli israeliani sapranno, a guerra terminata, scegliere il nuovo leader fra chi si ripropone di risolvere con accordi giusti il problema e di aprire subito un rapporto costruttivo con l’ANP. Per i palestinesi dobbiamo sperare su due eventi concomitanti: che i criminali siano ormai in condizione di non nuocere di nuovo e che si possa esprimere un leader ed un gruppo dirigente che voglia, con coraggio, ripartire dai precedenti accordi per trovare nuovi sentieri di pace con Israele.
Foto di apertura di Judas Isariot da Pixabay