Simpatizzare con i contadini è quasi istintivo e naturale. Soprattutto oggi che fin troppe persone campano producendo il nulla assoluto: non voglio dire chi, tanto sappiamo tutti che sono gli influencer.
I contadini “fanno”, i contadini “creano” il cibo: è ovvio che simpatizziamo per loro. Ovvio. E anche giusto. Sulle loro richieste economiche e fiscali non ci sono molte osservazioni: è un dato di fatto che spesso e volentieri, i contadini sono costretti a vendere alla grande distribuzione o all’industria agroalimentare ad un prezzo inferiore agli stessi costi di produzione. I contadini lottano anche contro la farina di grilli e la carne coltivata e qui entriamo nell’ambito di competenza di questa rubrica.
Sarò sincero: l’idea di dover mangiare insetti o prodotti fatti di insetti o carne stampata da una macchina, non mi attrae e non fa altro che aumentare l’istintiva simpatia nei confronti degli agricoltori.
Chi legge noterà che pende, su queste righe, un grandissimo “però”.
Non voglio minimamente difendere grilli o carne prodotta da una macchina.
Però, per onestà, devo ricordare che gran parte dei prodotti che sono alla base della nostra cucina tradizionale, prodotti che consideriamo profondamente ed intimamente legati alla nostra cultura, al nostro stile di vita, quali pomodori, patate, peperoni, cacao e anche buona parte dei fagioli, provengono dalle Americhe. E non è che il 13 ottobre del 1492 la nostra cucina era già piena di questi prodotti: prima di integrarsi pienamente nella nostra produzione e nella nostra cultura ci hanno messo secoli: più o meno arriviamo all’800.
C’è poi il caso della Melanzana, non arrivata dalle Americhe, ma portata dagli arabi, poco dopo la scoperta di Cristoforo Colombo.
Parmiciana è un termine desueto del dialetto di alcune parti della Sicilia, che significava “listello”, per cui ci si riferirebbe alla disposizione ordinata delle fette e non alla città emiliana.
Per questo motivo è corretto dire PARMIGIANA DI MELANZANE e non MELANZANE ALLA PARMIGIANA. Termine sbagliato anche perché in Sicilia, ovviamente, si usa il Pecorino e NON il Parmigiano”.
Pare ci sia stato un cuoco siciliano alla corte dei Farnese a Parma autore di pasticcio a base di melanzane. Quella ricetta prevedeva melanzane lessate cotte in abbondante uovo : proprio un’altra cosa.
Di fatto la tanto amata melanzana ha subito lo stesso processo di integrazione dei prodotti del Nuovo Mondo, secondo alcuni il termine melanzana, significherebbe “mela insana”, perché si era convinti che, pur essendo bella, con una forma quasi sensuale, quella che oggi è alla base di un piatto iconico della cucina italiana (la “Parmigiana di Melanzane” e NON, dicesi NON “Melanzane alla Parmigiana” vedi riquadro) fosse assolutamente velenosissima, addirittura portasse alla follia.
Più o meno la stessa sorte riguarda quasi tutti gli altri prodotti che abbiamo visto e molti altri.
Il processo di integrazione nella nostra cultura fu lentissimo: basti pensare che la prima citazione del pomodoro risale alla fine del ‘500 (un regalo di Cosimo De Medici alla moglie) e comunque solo come “complemento di arredo”, magari effimero, ma molto originale. (ce lo vedi Cosimo De Medici che regala alla moglie per il suo compleanno un chilo di San Marzano ?)
Immagino chi, per primo, si è recato ad Amatrice, portando con sé un pomodoro e immagino il colloquio con l’antenato terrone di Salvini (ebbene sì, un vero scoop: Salvini viene dalle montagne del Reatino !!)
“Senti io vorrei fare degli spaghetti conditi con questo qui”
“Che cacchio è?”
“È un pomodoro!”
“Pomo… che??”
“Pomodoro”
“E da dove esce?”
“Viene dalle Americhe”
“Dalle Americhe?? Perché la roba nostra non va bene? Magari questo pomocoso (sic) è velenoso! E che ci vorresti fare?”
“Metterlo nella salsa degli spaghetti insieme al guanciale: ha una lieve acidità e insieme al grasso …”
“Ma tu sei completamente matto! Sei sempre quello delle idee strane! Mettere questo pomocoso insieme al guanciale per condire gli spaghetti… magari ci metti anche il pecorino!! Tu sei completamente matto: non lo mangerà mai nessuno! Se qualcuno lo mangerà, mi trasferirò … fino in Toscana, anzi, voglio esagerare in … Lombardia”.
Va bene questo colloquio è immaginario, però onestamente molto realistico.
Potremmo fare una serie di considerazioni sulla cucina tradizionale italiana che in realtà è molto più recente di quanto non si creda.
Emblematico il caso della Carbonara, di cui abbiamo già parlato qualche tempo fa: recentemente è stata scovata una ricetta pubblicata dalla famosissima Rivista “Cucina Italiana” nel 1954 (praticamente tutti i collaboratori del Tutti, a quel tempo erano vivi e vegeti anche se, insospettabilmente, bambini). Ebbene la “Cucina Italiana”, storica ed indiscussa rivista del mangiar bene Italiano, descrive una ricetta della Carbonara, chiamata proprio così, con la gruviera e la pancetta non il guanciale: se volete provarla potete andare da EGGS a Trastevere, ottimo ristorante specializzato, come tradisce il nome, in preparazioni a base di uovo, a cominciare dalla Carbonara (anche se deprecabilmente fatta con la pasta corta). D’altronde è molto probabile che la Carbonara sia nata con l’arrivo degli americani a Roma, Americani che notoriamente fanno grande uso di Uova e di Pancetta non di Guanciale.
Giorgio Pantanella, sconosciuto ai più, ma molto ben conosciuto dal sottoscritto in quanto ne sono figlio non degenere, è stato il “metro di Platino-Iridio”, perlomeno per me, della cucina in generale e di quella romanesca in particolare.
Ebbene lui la Carbonara da giovane non se la ricordava. Naturalmente questo non significa assolutamente che non esistesse: magari semplicemente non era molto diffusa.
Il mio sospetto, ma per il momento è soltanto un’idea basata su una intuizione, è che la ricetta della Carbonara fosse il piatto tipico dell’omonimo ristorante a Piazza Campo de Fiori: potrebbe essere stato così vi farò sapere. Ma che c’entra la Carbonara? C’entra eccome, perché dobbiamo renderci conto che quelle che noi consideriamo delle tradizioni plurisecolari, tali non sono: non si può assolutamente escludere che, nel giro di alcuni decenni, la pizza con la farina di grilli diventi una specialità italiana nota nel mondo: l’idea non mi eccita, ma è possibile. In realtà la cucina italiana è stata inventata da Pellegrino Artusi (1820-1911), il quale raccolse, potremmo dire catalogò, le ricette “alla moda” di praticamente tutti i posti italiani un’operazione di identità nazionale della quale dobbiamo essere grati ad Artusi.
Possiamo serenamente dire che la cucina italiana è stata, se non inventata, quantomeno codificata solo nella seconda metà dell’Ottocento.
Probabilmente se Artusi, avesse scritto il suo libro un secolo prima, melanzane, pomodori o patate non sarebbero state presenti o comunque sarebbero state presenti in maniera estremamente limitata, viste come bizzarrie. Naturalmente non tutte le novità debbono essere accettate per il solo fatto di essere tali : un vero giudizio sulla farina di grilli o sulla carne coltivata, la potremo dare soltanto quando ci sarà modo di assaggiarla. Potrebbe essere cattiva e quindi fare giustamente la fine che ha fatto quel locale di Londra che prometteva una colazione tipica inglese con una pancetta vegana e che ha dovuto chiudere.
Anche la catena di fast food vegano di Lewis Hamilton e Leonardo Di Caprio, a pochi mesi dalla sua apertura, sta andando male, malissimo.
Ma se invece la farina di grilli e la carne coltivata dovessero essere buoni, potrebbe anche essere una opportunità per i contadini i quali, aiutati e assistiti, potrebbero loro stessi produrre questi cibi innovativi.
Foto di apertura: World Economic Forum – The Meat Revolution Mark Post.webm (7:48), CC BY 3.0, commons.wikimedia.org