Non sono abbastanza preparato sulla politica americana per fare un’analisi seria e completa sulla posta in gioco, posso solo condividere con voi alcune mie riflessioni.

Nel 1776 le allora tredici colonie americane (quelle che nella bandiera sono rappresentate dalle strisce rosse e bianche) proclamano a Philadelphia la loro indipendenza, con una Carta che promuove la libertà e l’uguaglianza: “Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti vi sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità”.

Così nasceva la democrazia nella nazione più potente del mondo, ma quella dichiarazione sembra oggi assai lontana dalla realtà di un paese estremamente diviso e che vive enormi contraddizioni mai risolte.

Probabilmente non saranno questi principi a risolvere le imminenti elezioni alla presidenza, ma rimangono sullo sfondo di una democrazia palesemente in crisi e una popolazione divisa tra una società colta e avanzata e un’altra tradizionalista e fuori dalle dinamiche delle grandi città.

Abbiamo conosciuto l’America del sogno americano che ha accolto milioni di persone da tutto il mondo, dando loro un’opportunità segnata dalla Statua della Libertà, simbolo di quel sogno, ma conosciamo anche l’America che costruisce muri con il Messico. Abbiamo conosciuto l’America di Martin Luther King, “I have a dream”, di Rosa Parks, ma conosciamo la violenza contro i neri nelle grandi città. Abbiamo conosciuto John Kennedy e suo fratello Bob, ma anche la crisi di un pensiero sociale vinto dallo spinto liberalismo di Reagan. Abbiamo conosciuto le lotte studentesche del ’68 americano nelle università, ma anche il dramma della guerra in Vietnam. Abbiamo un debito di riconoscenza verso gli americani per il loro fondamentale ruolo nella lotta di liberazione dal nazifascismo, ma abbiamo conosciuto le innumerevoli guerre che l’America ha intrapreso in Afghanistan, in Kuwait, in America Latina a fianco dei peggiori dittatori di quel continente, delle stragi perpetrate nel sud-est asiatico.

Ricordiamo le parole di Eisenhower: “Nei consigli di governo, dobbiamo guardarci dall’acquisizione di un’influenza ingiustificata, cercata o meno, dal complesso militare-industriale. Il potenziale per il disastroso aumento del potere fuori luogo esiste e persisterà. Non dobbiamo mai lasciare che il peso di questa combinazione metta in pericolo le nostre libertà o i processi democratici. Non dovremmo dare nulla per scontato. Solo una cittadinanza attenta e ben informata può obbligare a unire adeguatamente l’enorme apparato di difesa industriale e militare con i nostri metodi e obiettivi pacifici, in modo che la sicurezza e la libertà possano prosperare insieme”.

Ricordiamo l’America di Angela Davis e le lotte per i diritti civili. Per rimanere all’oggi, può l’America avere il matrimonio gay e la pena di morte? Una sanità solo per chi può permettersela? Un’istruzione solo per ricchi? Un sistema elettorale a dir poco insufficiente? Una totale libertà nell’uso delle armi? Può consentire un’economia di guerra con la maggiore industria americana che è quella delle armi?

Purtroppo l’attuale politica, in tutto il mondo, poco si occupa di questi temi, ma è più importante l’inflazione, il costo della vita, le presenze televisive ecc. ecc. Ora, senza nulla togliere a questi rilevanti temi, continuiamo a guardare il dito e non la luna. Prevarrà la pancia dell’America dei cowboy alla Trump o di chi sarà il candidato democratico supposto che Biden dovrà lasciare la sua corsa? Non lo so, so solo che vorrei tanto l’America dell'”I have a dream!”.