Qualsiasi luogo ci coinvolge, ci condiziona e ci fornisce delle impressioni, ogni luogo è irripetibile e produce associazioni che ci consentono di viverlo in modo assolutamente personale. La luce non è mai uguale, e con lei le ombre che genera, può cambiare la situazione atmosferica, il sole o la pioggia o la neve ci danno emozioni diverse. I luoghi fisici sono suscettibili di continue riletture, e l’interazione tra il corpo e la memoria dei luoghi costruisce le nostre “dimore”. Dimore che sono fatte anche di case, che includono “oggetti dentro oggetti” e “spazi dentro spazi”. Louis Kahn definisce la casa “un edificio che ripara”, per dirlo in termini attuali “fornisce privacy”, sia fisicamente che psicologicamente. Ma la casa è parte dell’anatomia urbana allo stesso modo con cui un organo vitale è parte di un essere vivente. Il suo buon funzionamento dipende, come quello di ogni altra parte dell’organismo, dal tipo di comunicazione che ha con il resto. Il tutto viene regolato anche attraverso la tecnologia, ma ogni tecnologia, come gli organi umani, è soggetta a cambiare o invecchiare a un ritmo diverso e per diversi motivi. La velocità con cui questi cambiamenti avvengono ormai è tale che ci provoca velocemente ripercussioni sul nostro stato d’animo e sulla nostra capacità di interazione comunicativa con i luoghi, con gli oggetti, ma anche con le persone. E considerando che la casa si rapporta costantemente con la città, come possiamo progettare la città ideale dei prossimi secoli che contenga le caratteristiche di efficienza e la funzionalità necessaria ad ottimizzare l’organizzazione delle attività produttive, rendere la città un luogo di incontri, di scambi culturali e artistici ma anche dar senso di appartenenza e sicurezza alle singole persone? L’attività del progettare spesso si limita a creare e programmare luoghi da cementificare in cui collocare poi delle persone che ci vivranno in modo anonimo e spesso non qualificato. Non è facile fare ipotesi di città ideali. L’architetto C.A. Doxiadis, in Grecia, a Delo, nel 1964 inaugurò una serie di incontri che si programmavano annuali e che dovevano riunire i migliori esperti nel campo dell’Urbanistica e dell’Architettura per l’elaborare nei dettagli lo studio della costruzione di insediamenti umani ideali.

Le conclusioni sono riassunte da Edward T. Hall nel suo saggio “La dimensione nascosta” (1968):

  1. I programmi elaborati in Inghilterra e in Israele per la “Città Nuova” sono basati su dati inadeguati, vecchi di un secolo, le città risultano troppo piccole e strette, ma anche le dimensioni maggiori che vengono ora proposte dagli urbanisti inglesi si fondano su ricerche troppo limitate.
  2. Benché il pubblico sia sempre più consapevole della situazione disperata delle megalopoli in continuo accrescimento ed espansione, non si sta provvedendo in alcun modo.
  3. L’aumento catastrofico del numero di automobili e quello parallelo della popolazione stanno creando una situazione caotica, nella quale non si scorgono meccanismi di autocontrollo e correzione. O la città ha una struttura raccolta, e allora le vie si trasformano in arterie, che scaraventano masse crescenti di automobili fin dentro nel suo cuore, stipandolo e quasi paralizzandolo, come si vede a Londra e nel centro di New York, oppure la città è più disseminata, e scompare sotto un labirinto di corsie e di viali di scorrimento, come avviene a Los Angeles.
  4. Se vogliamo che i nostri sistemi economici continuino ad espandersi, poche attività potrebbero dare un largo impulso alla promozione di industrie, servizi e capacità come la ricostruzione delle città del mondo.
  5. La pianificazione, l’insegnamento, e le ricerche di echistica non solo devono essere coordinati e finanziati dai governi, ma devono far parte dei loro impegni prioritari.

Proposte finora inascoltate, problemi a distanza di sessant’anni centuplicati. E più che mai è necessario ricominciare a lavorare su queste problematiche ripartendo soprattutto dagli esperti in sistemi di comunicazione, fondamentali per indirizzare il lavoro di architetti e urbanisti, psicologi, antropologi e sociologi, per costruire nuove dimensioni urbane senza nostalgie per le città del passato e improntate a sistemi di maggior organizzazione che migliorino anche i rapporti della civile convivenza.