Evitando giudizi trionfalistici (abbasso la grandeur francese!), Parigi 2024 va in archivio con una sontuosa promozione sotto l’aspetto organizzativo. Nonostante la friabile sostenibilità politica del Paese, i cugini transalpini hanno riempito stadi e luoghi di gara con un costante tutto esaurito. Un messaggio indotto per chi ancora rimpiange la mancata organizzazione dell’evento a Roma, dimenticando che sarebbe stata solo una candidatura, destinata a cozzare, appunto, contro Parigi in una città che è in ritardo per tutte le scadenze del Giubileo 2025, segno di una cronica insipienza istituzionale. Come se la brillante prova di Parigi ridestasse nostalgici orgogli sopiti per una chance che non ha mai preso il volo, per il diniego della Raggi ma anche per la sostanziale contrarietà del Governo italiano a organizzare un evento di questa portata. L’Olimpiade è scorsa senza atti di terrorismo, nonostante un’atmosfera rilassata eppure consapevole del pericolo dato dalla grande vetrina internazionale nella città del Bataclan. Troppo sarebbe stato pretendere che il vecchio e ormai purtroppo obsoleto tema della tregua olimpica venisse applicato sul fronte russo-ucraino o nella striscia di Gaza. L’ipocrisia del CIO fa sì che da questa massima competizione vengano esclusi gli atleti russi, a meno che non facciano una sorta di abiura (disconoscimento putiniano), mentre gareggiano senza problemi gli israeliani, non complici ma parimenti connazionali di un capo di governo che propugna una strage senza tregua, condannata dall’ONU e ora, seppure timidamente, anche dall’Italia nel suo piccolo baccello filo-atlantico.

A Parigi gli atleti si sono lamentati per la mancanza di aria condizionata nel Villaggio Olimpico e per la qualità del cibo. Ma le risorse ormai sono tali e tante che chi ha potuto, compreso Tamberi, si è prenotato un ricco albergo a quattro/cinque stelle, magari minando la democratica eguaglianza competitiva. Alla fine ha tenuto anche la Senna, perché al momento non si segnalano nuovi focolai di infezioni per i nuotatori di gran fondo. Avremmo potuto dire lo stesso per il nostro malmesso Tevere? Alla fine l’attenzione dei governi si concentra su quella creatura non ufficiale che non è un monstrum ma lo specchio veridico dei valori in campo, Sua Maestà il medagliere. Stati Uniti e Cina fanno gioco pari nelle medaglie d’oro (40, esattamente quante ne ha vinte in totale l’Italia), ma i primi prevalgono per somma complessiva di podi. L’Italia rispetta i pronostici, eguaglia Tokyo, si prende la leadership negativa delle medaglie di cartone (tra quarti e quinti posti nessuno ne colleziona quanti noi), rimpiangendo un sacco di bronzi ma pesca nel variegato bacino di ben 19 discipline, bocciando soprattutto le illusioni del pugilato, dove la rinuncia della Carini è la cartina di tornasole di una mancanza di convinzione diffusa nella squadra, punte comprese. L’atletica scende da cinque ori a tre podi di minor significato. Stavano tutti male (Tamberi, Stano, Palmisano, non Jacobs) e non certo come Sinner che, tre giorni dopo l’annuncio della tonsillite, smashava ilare in partenza per un ben più remunerativo torneo, togliendo il posto a un altro azzurro. Togliamoci l’idea che possa gareggiare nel 2028, a differenza di quel Djokovic che ha pianto dopo la massima conquista: questione di sensibilità. Per bandire l’italico sciovinismo, ricordiamo che la selezione italiana con 403 elementi (e un 48% di donne, alla fine più vincenti della componente maschile) era la sesta per densità di partecipazione. E che, in rapporto alla popolazione, i Paesi Bassi ci hanno eclissato nel medagliere, dove pure compariamo dignitosamente nella top 10. Grida vendetta l’assenza del basket, l’acrimonia e l’ignavia dei giudici (vedi pallanuoto e fioretto maschile, versus Macchi). Il presidente del CONI, Malagò, coltiva una malcelata delusione. Il più diffuso quotidiano sportivo pronosticava 50 medaglie per l’Italia. Malagò ha più termini obiettivi a disposizione dell’uomo della strada. A Roma 1960, gli azzurri vinsero 33 medaglie con un terzo posto assoluto nel medagliere (anche questa volta il fattore ha giocato a favore della Francia), ma le gare previste erano 150 contro le 329 di adesso. Un dato non trascurabile. Che il CIO ripensi ai ripescaggi nell’atletica e a certe beffarde inclusioni che danneggiano sport come il karate (v. Busà), che c’era a Tokyo ed è proditoriamente uscito di scena.