La profezia politica del pensiero di Bruno Ciari e la sua multiforme attività di maestro ci consegnano un mondo unitario dialogante con il nostro mondo e tracciano figure metaforiche che descrivono bene quali possono essere oggi i percorsi per un rinnovamento reale del fare scuola, lontano da quello frammentario e superficiale a cui ci hanno abituato i documenti ministeriali. Tra tali figure ci sono quella della costruzione, costruzione di modelli socioeducativi e di paradigmi di pensiero cooperativo, quella del dialogo come principio di cittadinanza consapevole o anche quella del percorso come conciliazione tra ideali pedagogici e prassi didattiche quotidiane. Già solo queste tre grandi metafore, costruzione, dialogo, percorso, potrebbero essere la base per un ripensamento profondo e sistemico del modo di pensare alla scuola. Perché di questo si tratta. Le manovre diversive degli apparati che moltiplicano gli argomenti su cui aggiornare i docenti, i progetti, le presunte innovazioni, il mercato indegno su cosa fare a scuola sono miserevoli di fronte alla vera problematica scolastica che consiste nel confrontarsi sul pensiero – scuola.

Come penso la scuola?

Quale relazione tra il pensiero della scuola e il pensiero del territorio e della politica territoriale ? I tanti aspetti di studio che vanno emergendo sulla figura di Ciari vanno in questa direzione. Essi vanno ricompresi in uno sguardo globale che ne mostri la coerenza, le interconnessioni, i richiami con altri autori in un paesaggio articolato, che, se osservato senza pregiudizi, ha del meraviglioso e attende di essere svelato. Ciari immaginava la scuola come una comunità di pensiero attivo, in grado di produrre un nuovo pensiero sulla società e non poteva dunque accontentarsi di semplici toppe, delle disarticolate proposte che quasi quotidianamente, anche in questo scorcio epocale, vengono propinate da una burocrazia che sforna novità in proporzione al consenso elettorale che esse possono avere.

Il tema di una scuola societaria disegna uno scenario ampio se analizziamo le suggestioni di Ciari circa il rapporto tra apprendimento e cittadinanza, tra obiettivi curricolari e territorio, argomenti questi che rappresentano il vero nodo nevralgico della questione. Gli stretti legami tra la competenza e la lettura del mondo circostante, tra la capacità di formalizzazione delle conoscenze e la loro attivazione in una situazione problematica, mediante le tante iniziative didattiche possibili, erano stati alcuni dei punti strategici della sua attività e rimangono ancora oggi una sfida culturale.

Nel ’69 già parlava di una ristrutturazione della scuola di base, intendendo la definizione di un percorso unitario e polivalente in grado di assicurare una tutela educativa a misura di bambini. Fra le righe dei suoi scritti è chiara l’idea che il fare scuola non può essere destinato ad un semplice e paternalistico richiamo al coinvolgimento dell’insegnamento nella realtà degli alunni. Ancora oggi in molte scuole l’educazione alla vita democratica passa per manifestazioni di dubbio valore scolastico: conferenze di uno stanco esperto, buoni propositi istituzionali, o peggio, il prete, il sindaco, il dirigente disposti ad applaudire cori e recitine che hanno il solo scopo di potenziare l’idea aberrante che basti un poco di sentimentalismo e di retorica, mascherata da progressismo, per insegnare l’impegno sociale, lasciando così intatte le strutture di potere e di selezione (scuola del merito si direbbe) ed impedendo qualsiasi processo di coscienza civile delle diseguaglianze che si moltiplicano costantemente. In Ciari, invece, diventa scuola il collegamento tra la delineazione di percorsi cognitivi e l’avvio di una prospettiva di democratizzazione .

Quali competenze per l’apprendimento democratico

Nella scuola contemporanea la competenza, come conoscenza in azione, è per sua stessa natura democratica e non può essere intesa come un saper fare avulso dal contesto territoriale in cui quella scuola è inserita. Essa pertanto definisce la cittadinanza, senza bisogno di ricorrere a qualcosa di estraneo e di esterno alla sua stessa natura civile. La cognitività, coniugata alla ricerca in situazione, muove da un’epistemologia che radica l’apprendimento alla scientificità del suo procedere e che esprime così la sua pienezza, senza bisogno di sovrastrutture. Imparare, già a partire dalla scuola dell’infanzia, a formalizzare le conoscenze per usarle nel concreto è di per se stessa una condizione di inserimento nel sociale e rappresenta una prassi quotidiana calata direttamente nel cuore della giornata scolastica. Aspettiamo il giorno in cui il comportamento democratico non sia relegato ai confini della quotidianità scolastica, magari usando una materia come Educazione civica da accostare alle altre, fosse pure in funzione trasversale, ma sia il respiro stesso delle ore scolastiche.

In questo modo non dovremo più assistere alla distinzione tra la lezione, con il compito di fornire le conoscenze, e la sua applicazione pratica, come esempio che verifica la stessa conoscenza, ma rendere profondamente unitaria e generativa una conoscenza che è già applicazione, che si fa nel processo sperimentale.

Per fare questo naturalmente non basta la buona volontà, ma c’è bisogno di una solida struttura del rapporto insegnamento/apprendimento, basata su alcuni pilastri pedagogici di cui troviamo ampia traccia negli scritti di Bruno Ciari, se non con le stesse parole modaiole di oggi, certamente con la stessa disposizione ermeneutica: il principio dialogico, la prassi cooperativa-metacognitiva, il curricolo per obiettivi di apprendimento. Ne accenniamo rapidamente, essendo consapevoli che avrebbero bisogno di ben altro spazio critico.

Il dialogo per educare

Il principio dialogico trova corrispondenze chiare con la vitalità che caratterizza il pensiero di Ciari. Basta ricordare l’importanza che egli assegnava alla discussione come prima attività una volta entrati in aula. Esso è il presupposto di ogni possibile cominciamento relazionale, da cui scaturisce il senso della meraviglia per il nuovo e la cura che abbraccia gli incontri, le negoziazioni e le relazioni d’aiuto.

A partire da questo principio, si generano le varie pratiche dialogiche che innervano la quotidianità scolastica e sono generative dell’apprendimento come spazio di interlocuzione, di domande da accogliere e di risposte offerte come piste di ricerche e di supposizioni.

Il dialogare è, tuttavia, a sua volta una competenza e non un dono divino; non appartiene ai docenti simpatici e carismatici, ma è patrimonio comune dell’arte di accettare in sé l’altro da sé. A dialogare si impara con pazienza ed esercizio, come mostrano per es. le tecniche dell’ascolto attivo, del dialogo euristico e del linguaggio giraffa. È lo sforzo di tenersi il più lontano possibile dallo spontaneismo amichevole e di avvicinarsi con il massimo dell’efficacia al dare parola, al consentire la formulazione di pensieri, stando il più discosti possibile da un atteggiamento dominante e dal pregiudizio che si è buoni insegnanti se si offre un menù ricco e variato.

Imparare a dialogare, quindi, non vuol dire solo utilizzare delle tecniche, per quanto importanti e necessarie, ma acquisire un habitus mentale, che sia in grado di diventare comportamento. La competenza nel dialogare è l’orizzonte comune della vita comunitaria; in esso politica, scambi sociali, economia, spiritualità, arti trovano il loro significato quotidiano.

La cooperazione come modo di fare scuola

Dal principio dialogico discendono tutte le forme cooperative di insegnamento. La cooperazione è, nel suo significato più profondo, capacità di dialogo, soglia di attesa, filo acrobatico su cui si esercita la costruzione dell’apprendimento.

Il costruttivismo dialogico non è che la formalizzazione di un apprendimento che ospita nel suo abbraccio la varietà dei contributi provenienti dal dialogo comunitario; l’orchestrazione di cui parla Bruner  consiste proprio nell’organizzazione di una conoscenza che, nel passaggio relazionale, diventa cultura e cultura del territorio. Cooperare, in fondo, è attribuire un significato condiviso alla ricerca, alle azioni, alla pratica didattica in classe nel quale le parole si ritrovino, i processi si incardinino e le azioni trovino spazi di espressione. L’intersoggettività della didassi vivifica la tecnica qualsiasi essa sia; perfino la lezione frontale può trovare correttivi fondamentali se trova una dimensione di reciprocità all’interno di alcune strategie cognitive funzionali, per esempio, all’analisi di un argomento o agli strumenti propedeutici per comprendere una questione scientifica.

Per questo motivo il modello cooperativo si sposa con quello metacognitivo, riferentesi alla messa in comune delle sapienze strumentali, delle competenze processuali, dell’apprendimento  non solo del chi – che cosa, ma del come: come si fa ad apprendere questo dato, come ho fatto a raggiungere questo risultato, quale strategia ho usato? Ancora una volta un dialogo, ancora una volta un imparare ad orientarsi, più importante della memorizzazione di mille enciclopedie.

Infine questo humus pedagogico non è estraneo ai passaggi istituzionali che il corpo docenti attraversa lungo la triennalità della progettazione dell’offerta “formativa”, come si suole dire. Il principio dialogico, concretizzato attraverso l’utilizzo di un paradigma esistenziale e di umanizzazione dell’apprendimento come quello cooperativo -metacognitivo, caratterizza anche il curricolo d’istituto e le varie forme ulteriori di curricoli intermedi. Se il curricolo, infatti, assume come dimensione prospettica l’utilizzo di un apprendimento espresso attraverso obiettivi unitari legati alla crescita democratica, allora tutta l’impostazione della vita scolastica si riconosce in una scelta politica, alla Bruno Ciari, cioè in una visione di pensiero che pone al centro della prassi l’uso civile della conoscenza. L’obiettivo di apprendimento viene costruito amalgamandone gli elementi principali: la precisa descrizione della situazione, lo scopo a cui attendere, gli stili metacognitivi da utilizzare, l’autovalutazione che ne discende. In questo modo esso diventa obiettivo educativo e cognitivo, sviluppa la valutazione e il controllo del processo e perciò stesso si configura come principio di cambiamento comunitario.

L’alternativa pedagogica si gioca su questo crinale, fatto di processi cognitivi e di passione politica per chi è povero di strumenti critici, per il nullatenente del sapere, e per questo non riesce a partecipare integralmente alla vita sociale intorno a lui, sia un bambino della scuola dell’infanzia, sia un giovane che si appresta a scegliere i suoi nuovi orizzonti esistenziali. L’alternativa scolastica è sempre organizzazione dell’ispirazione democratica.

 

Bruno Ciari  (Certaldo 1923-Bologna 1970) è una figura emblematica della nostra pedagogia contemporanea.  Maestro, partigiano si è distinto per il suo impegno educativo e politico, rendendosi  protagonista delle più importanti conquiste degli anni ‘70:  la scuola a tempo pieno, la scuola dell’infanzia, l’integrazione dei bambini diversamente abili.

Michele Montella, insegnante di materie letterarie e poi dirigente scolastico, si occupa di didattica cooperativa e metacognitiva. Ha curato due testi collettanei sui saperi e pubblicato articoli sui temi delle idee come bene comune e delle narrazioni didattiche.