Sparare sull’ONU è come sparare sulla Croce Rossa, per dirla alla vecchia maniera. Un’operazione inutile se non dannosa per la reputazione internazionale di chi la determina. È il caso di Israele nell’ottobre 2024, nel crescendo di azioni delle IDF per riportare l’ordine ai confini dello Stato.
Fra ONU e Israele non corre buon sangue, e non da ora. L’Assemblea Generale ha adottato numerose condanne nei confronti dello Stato, puntualmente non tradotte in risoluzioni per il veto opposto dagli Stati Uniti in seno al Consiglio di Sicurezza.
All’Assemblea Generale di settembre, mentre ostentatamente ordina da New York l’attacco al Libano, il Primo Ministro Benjamin Netanyahu qualifica l’ONU di “palude antisemita”, ricorrendo al solito motivo che chi critica Israele è, per il fatto stesso, antisemita.
Gerusalemme dichiara persona non grata Antonio Guterres. Il Segretario Generale è responsabile di avere poco condannato l’eccidio del 7 ottobre 2023 e di avere molto esternato contro il presunto genocidio a Gaza. La flemma, per così dire, del Portoghese nei confronti dei due conflitti in corso, in Ucraina e in Medio Oriente, è di per sé motivo di inquietudine sulla capacità dell’Organizzazione di tenere botta nelle crisi belliche.
Le IDF penetrano nel Libano meridionale per ripulirlo dalle milizie di Hezbollah. Il movimento sciita libanese è affiliato all’Iran ed è da questo manovrato per colpire Israele dal fronte nord. In prossimità del confine staziona l’UNIFIL, il contingente dei Caschi blu ONU, costituito in massima parte da militari di Italia, Francia, Spagna e integrato da paesi extra UE (Indonesia, Sri Lanka).
Il mandato UNIFIL (United Nations Interim Force in Lebanon), a contraddire il nome, è così poco interinale che risale alle risoluzioni 425 e 426 del 1978. Il mandato è annualmente rinnovato dal Consiglio di Sicurezza fino alla risoluzione 1701 del 2006, che segue l’ultima Guerra del Libano. Il mandato attuale è della risoluzione 2695, valida fino ad agosto 2025, in ragione del fatto che “la situazione in Libano continua a costituire una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale.”
La presenza di UNIFIL in Libano, in quanto disposta dal Consiglio di Sicurezza e dunque con il consenso dei cinque membri permanenti, ha l’avallo degli Stati Uniti e, per traslato, di Israele. Le parti interessate sarebbero perciò tenute a facilitarne il compito.
Le IDF, infatti, assicurano la protezione di UNIFIL, avvertono in anticipo che stanno per attaccare vicino alle sue postazioni. In prossimità si nascondono le milizie Hezbollah: ad evitare il confronto aperto con l’esercito regolare di Israele, si mimetizzano fra le istallazioni civili (scuole, ospedali, abitazioni residenziali) e, appunto, le postazioni UNIFIL.
Le IDF colpiscono gli avamposti UNIFIL. Limitano i danni materiali, feriscono alcuni soldati dei contingenti terzi, risparmiano gli europei. Anche se sono proprio Italia, Francia e Spagna a fare la voce grossa, diplomaticamente, con il Governo di Gerusalemme.
Nel proteggere i confini a sud con Gaza e nord con il Libano, Israele agisce fuori da qualsiasi ponderazione che non sia la necessità militare.
Netanyahu scambia battute polemiche con Emmanuel Macron, mostra di ignorare gli appelli americani alla moderazione. E ne ha ben donde. Washington non adopera il solo argomento persuasivo: la sospensione degli aiuti militari. Al contrario il Presidente autorizza l’invio di un sistema antimissile manovrato da un centinaio di militari americani.
Dall’ottobre 2023 ad oggi l’aiuto militare americano ammonta a 18 miliardi di dollari e copre il 69% delle forniture totali. La Germania segue con il 30%; chiude l’Italia con lo 0,9%. Appare dunque un gesto inusitato quello compiuto dal Segretario di Stato e dal Segretario alla Difesa. Con una lettera congiunta agli omologhi israeliani Blinken e Austin intimano a Gerusalemme di facilitare il flusso degli aiuti umanitari a Gaza. In caso contrario gli Stati Uniti potrebbero sospendere l’assistenza militare.
Netanyahu ha un altro calendario in mente: giungere a novembre e sperare nell’elezione di Donald Trump. Solo che Biden rimarrebbe in carica fino ai primi di gennaio, in quel periodo potrebbe togliersi qualche sassolino dalla scarpa con il Premier israeliano.
Nel libro di Bob Woodward, il cronista del Washington Post solitamente ben informato, Biden descrive Netanyahu come un cronico bugiardo e un “fuck bad guy”.