La rielezione di Trump non è una buona notizia per l’Europa in un momento in cui deve decidere il suo futuro economico e politico. Al di là della retorica elettorale, sono emersi i primi segnali della nuova amministrazione americana che incideranno sui rapporti tra gli Stati Uniti e l’Unione europea. Sono tre le questioni chiave: l’Ucraina, le tariffe doganali e la de-regolamentazione.

Sull’Ucraina, le preferenze espresse tendono ad allinearsi con quelle rivelate, anche se non c’è nessuna razionalità nelle scelte compiute. La messa al bando di Mike Pompeo, uno dei pochi repubblicani a favore degli aiuti all’Ucraina è significativa. Naturalmente Trump non ha l’intenzione di porre fine alla guerra in 24 ore. Molti analisti ritengono più probabile un accordo di pace forzato, lungo una linea tracciata a pochi chilometri dai campi di battaglia. Sul tavolo, rimangono aperte anche le questioni sull’entrata dell’Ucraina nella Nato e della sua adesione all’UE. La prima si scontra con l’opposizione sia degli Stati Uniti sia della Germania, mentre la futura adesione nell’UE potrebbe procedere a un ritmo assai più lento del previsto, date le incertezze sulle conseguenze finanziarie per il bilancio dell’UE del settennato 2028-2034.

Le tariffe doganali riguardano il secondo punto di discordia tra la nuova amministrazione americana e l’Unione europea.  Il tema riguarda i prodotti importati negli Stati Uniti dall’UE. Si prevede che l’amministrazione Trump dia priorità ai dazi commerciali, a partire da un dazio previsto del 60% nei confronti della Cina e, potenzialmente, del 10-20% sulle esportazioni europee. Dato il significativo volume di scambi commerciali dell’UE con gli Stati Uniti, l’Europa potrebbe aver bisogno di attuare contromisure per proteggere i propri interessi. In caso contrario, tali decisioni unilaterali produrrebbero   danni permanenti all’economia europea.

Il terzo punto riguarda la deregolamentazione che è stata  sottovalutata da molti analisti, nonostante ci fossero sentori chiari già con la  regolamentazione europea del mercato digitale  che è stata fortemente osteggiata dalle aziende americane. Musk è potenzialmente destinato a diventare il deus ex machina del piano di deregolamentazione di Trump. In una recente dichiarazione ha proposto di “tagliare due trilioni di dollari dall’amministrazione statunitense”. Questo significa che intere aree di regolamentazione scompariranno. Il divario normativo con l’Europa è già profondo, e destinato ad allargarsi. Durante la campagna, il futuro vicepresidente Vance ha minacciato il mancato sostegno degli Stati Uniti alla NATO qualora l’Europa cercasse di regolamentare le piattaforme controllate dalle società di Musk.

Lo scenario più plausibile che sembra delinearsi è che il presidente americano scelga di ridurre l’impegno finanziario nei confronti della Nato e di imporre dazi nell’ordine del 20% sui prodotti europei. L’Europa è preparata per affrontare uno shock di tale portata?

L’UE e la Germania, in particolare, dipendono dagli Stati Uniti non solo per la sicurezza ma anche per assorbire gli ampi e persistenti avanzi delle partite correnti dell’Europa. Con Trump al potere, gli Stati Uniti faranno probabilmente meno di entrambe le cose, creando più frammentazione e caos a livello globale.  Avendo la Germania sempre perseguito una strategia economica basata sulle eccedenze accumulate dalle esportazioni industriali, è probabile che la crisi strutturale tedesca sia destinata a perdurare.

Se l’UE prendesse sul serio il suo ruolo geopolitico, come lo ricorda il rapporto Draghi, dovrebbe iniziare con la riduzione dell’avanzo delle partite correnti e intraprendere riforme strutturali per stimolare la crescita economica, dare priorità agli investimenti ad alta tecnologia, non solo attraverso l’assunzione di prestiti comuni, ma anche attraverso diverse priorità di spesa.  I paesi europei dovrebbero inoltre spendere di più per la propria difesa, creando un’unione degli appalti pubblici per rendere più efficiente la spesa per la difesa. E dovrebbero impegnarsi per realizzare un’unione dei mercati dei capitali sostenuta da un fondo sovrano comune. Senza di esso, gli Stati membri non potranno scalare gli investimenti del settore privato di cui hanno bisogno per affrontare le rivalità degli Stati Uniti e della Cina. Non da ultimo, il meccanismo decisionale alla base della costruzione UE, basato sulla regola dell’unanimità, non favorisce quell’unità politica sul piano internazionale di cui l’UE e il mondo avrebbero un urgente bisogno.

La crisi della pandemia (a differenza della crisi dell’euro del 2008-2012) ha dimostrato la teoria secondo la quale l’Europa è in grado di unirsi solo di fronte ad una minaccia sufficientemente grande. In pochi mesi, l’Unione Europea ha saputo adottare  un piano di ripresa di oltre 750 miliardi di euro – rompendo il tabu del debito comune – corredato da  misure di sostegno ad aziende e lavoratori in difficoltà e l’acquisto comune dei vaccini.

Lo scenario europeo attuale è mutato radicalmente, con la guerra in Ucraina e la crisi energetica che hanno prodotto una maggiore volatilità economica e una instabilità geopolitica senza precedenti. A seguito delle elezioni americane, il contesto è divenuto ancor più complicato perché’ ha portato ad una maggiore divisione politica a livello transatlantico ed europeo –  con Trump, Orban e Meloni diventati i migliori alleati.

Il migliore modo per l’Europa di rispondere in maniera mirata all’agenda Trump sarebbe quello di iniziare ad adottare misure strategiche per rendere l’Unione europea meno dipendente dagli Stati Uniti. Ciò non accadrà fino a che i paesi europei non prenderanno coscienza dei propri limiti  nel loro agire bilateralmente. Non dimentichiamoci che la Commissione europea ha la competenza esclusiva per la politica commerciale, ora estesa alle questioni di sicurezza economica. E che anche in ambito di difesa, il singolo stato membro non potrà contare sulle proprie forze in caso di aggressione.

Ucraina, tariffe e deregolamentazione sono solo tre punti di un gioco transatlantico che deve vedere l’Unione europea parlare di una sola voce e agire in modo unito. Altrimenti, l’UE e in primis i cittadini europei saranno tutti perdenti da questo nuovo gioco globale.