Quando ti sembra che le parole semplici siano finite e non c’è altro modo per farti ascoltare, arriva il momento della poesia. Come se le parole incartate nelle rime acquisissero maggiore forza: almeno questo era il mio desiderio la mattina di otto novembre. Le allarmanti notizie da Amsterdam, la caccia all’ebreo e il pericolo di cattura degli ostaggi mi ponevano davanti al dilemma: cosa devo fare, io? Celare la mia identità o al contrario gridarla ai quattro venti, dicendo “venite a prendermi, sono qui”?

Poi è arrivato un messaggio da Kharkiv: “di nuovo abbiamo i vetri rotti sotto i piedi.” Si riferiva ai risultati dell’attacco sul palazzo Derzhprom, imponente struttura costruttivista, assurta grazie alla sua robustezza e originalità al simbolo della resistenza della città di Kharkiv. Questo “Palazzo dell’industria statale”, un colosso fatto di cemento armato, era destinato inizialmente ad accogliere gli uffici della nascente industria sovietica negli anni Venti ed era rimasto un punto di riferimento per le attività economiche nei decenni successivi.

 

Appartamenti con finestre sostituite da pannelli di legno a seguito dei bombardamenti (Foto di Inessa Safonova)

 

La sera del 28 ottobre i russi l’hanno colpito la prima volta, lanciando una bomba avio-comandata su uno dei corpi di fabbrica. L’impatto ha causato il crollo di una parete su due piani e la frattura delle tubature d’acqua. I vetri sono stati spaccati non solo nei piani colpiti, ma anche nei palazzi attorno. In uno di questi vive una mia amica con suo figlio. Fino a quel giorno erano felici di avere grandi vetrate con vista panoramica sul Derzhprom che rendevano luminoso l’appartamento. Da quella sera, hanno dovuto coprire le finestre con il compensato, relegati al buio insieme ai vasi dei fiori sul davanzale.

Dieci giorni dopo, i russi hanno riprovato a distruggere Derzhprom, attuando una sorta di “double tap” (doppio tocco) ritardato con un secondo colpo, assestato sullo stesso bersaglio, per fortuna, mancato. La mattina di otto novembre il missile è atterrato nel parco davanti al Derzhprom, creando un cratere sul prato fra gli alberi e spezzandone alcuni.

 

Vedute del Derzhprom, Kharkiv, ottobre 2024, prima dell’attacco (Foto di Marko Yuhta)

 

Un gesto crudele che passerà inosservato, perché la lista dei casi di distruzione del patrimonio architettonico è talmente lunga da far sembrare insignificante l’ennesimo episodio. Ma c’è un ‘però’: questo palazzo è stato inserito da anni nella lista di candidati al patrimonio UNESCO.

 

Kharkiv lato del Derzhprom, nella notte del 28 ottobre, dopo il primo bombardamento (Foto di Inessa Safonova)

 

Ciò rende scandaloso il silenzio dei mass media. La sera del colpo di ottobre, hanno parlato di eventuali danni che le azioni di guerra potrebbero arrecare al sito archeologico romano di Baalbek, in Libano, ma non hanno degnato di una parola il reale danno causato quel giorno al monumento architettonico ucraino. Evidentemente, è meno esotico, meno prezioso agli occhi dei giornalisti nostrani. Del secondo colpo, non si è accorto nessuno, oltre a quelli che hanno dovuto spazzare di nuovo i frantumi dei vetri dai propri pavimenti. Il silenzio del mondo troppo distratto mi ha spinto a scrivere questa breve poesia.

 

Double tap

Le piante cresceranno al buio,

Dietro gli scudi di compensato.

La vita è sul filo del rasoio:

Il ferito morirà o verrà salvato?

 

Il mondo guarda altrove,

“stanco” di tanto orrore,

mena l’esistenza serena

senza gloria, senza onore.

 

Vitree schegge nei piedi d’un bambino

Lasciano mille ferite insanguinate.

L’ennesimo colpo inferto all’Ucraina

Non desterà le coscienze addormentate.

 

L’onda d’urto della rabbia e del dolore

Non arriverà a svegliarle dal torpore.

Dormite nel limbo: e poi la prima bomba

Trasformerà la vostra casa in una tomba.