Kryvyi Rih è la città più grande della parte centrale dell’Ucraina. Centro di un’agglomerazione di milioni di persone. Centro d’Europa. I corpi già senza vita di Kyryl,10 anni; di Demyd, 2 anni e della piccola Ulyana di appena 2 mesi, i soccorritori li hanno estratti l’11 novembre 2024, dalle macerie di un palazzo di cinque piani colpito il giorno prima da un missile balistico russo.

Prima di Kryvyi Rih c’era stata Zaporizhzhia… Kharkiv è bombardata costantemente, a Kyiv l’allarme dura ormai da 8 a 10 ore ogni notte. Dicono che Putin voglia conquistare più territori prima dell’insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti, la stampa mondiale spaventa con previsioni di nuovi assalti e conquiste di altre città ucraine…

Qual è lo stato d’animo degli ucraini? – chiederete voi. In risposta offro ai lettori un altro estratto dal diario di una professoressa di Kharkiv scritto nella primavera di quest’anno in previsione di quella che veniva chiamata “la grande offensiva” su Kharkiv. Anticipando, cito l’ultima riga: “Mi è subito chiaro che la città, che stava appesa a un filo nel 2014 e stava volando nell’abisso nel 2022, sopravviverà per la terza volta. Resisterà e rimarrà ucraina.” 

Non sappiamo davvero come si evolveranno gli eventi, ma vogliamo credere che resisteremo e rimarremo l’Ucraina. L’unica cosa molto importante è che in questa lotta non restiamo soli.

 

                                                                                              Iryna Medved

 

Primavera 2024

 

Nel capitolo precedente del mio diario i residenti di Kharkiv hanno trascorso l’inverno, sono sopravvissuti ai bombardamenti infernali delle aree residenziali, al blocco energetico e ai blackout.

In primavera, a Kharkiv si aspettava l’offensiva e si parlava di un possibile accerchiamento e dell’occupazione.

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“Come state?”

Ricevo diversi SMS al giorno da amici, colleghi e studenti da diverse città e paesi. Con diverse sfumature di orrore. Oggi però nel mio feed di messaggi mi imbatto nella frase: “Su Facebook tutti sono stanchi di scrivere e leggere della sofferenza della frontaliera Kharkiv”.

Non si può essere stanchi di scrivere.

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La primavera del 2024 è tardiva e inospitale. Fa freddo. La luce viene fornita con interruzioni, la metropolitana funziona con interruzioni, la sera le strade sono totalmente buie.

L’epica battaglia dell’orda contro le khrusciovke e le aree giochi di Kharkiv non si ferma né di giorno, né di notte. L’ora degli attacchi, la loro natura e la caoticità non lasciano dubbi: si tratta di atti intimidatori e di vendetta. Tirano colpi la domenica di Pasqua e a mezzogiorno dei giorni feriali, nei giorni feriali, come nei fine settimana; colpiscono il centro densamente popolato, i campi sportivi scolastici e le aree residenziali della città da oltre un milione di abitanti. Terrorismo ordinario. Come in un blockbuster, solo che è nella realtà.

Le conversazioni qui sono infinite e ossessionate sui piani di uno schizofrenico per prendere Kharkiv.

 

Foto dell’Autrice, sul muro è scritto “Mine” per avvisare chi s’avvicina

 

Questa primavera quasi tutti hanno un’amica, il cui marito della sorella, fratello della moglie o cognato del fratello lavora nel SBU (Servizio di sicurezza dell’Ucraina) o nelle ZSU (Forze Armante dell’Ucraina), e sono tutti già evacuati. Quasi ogni giorno la città viene “ceduta” ai russi e “accerchiata” [l’autrice intende dire che nello spazio informatico ci sono molti falsi/voci/informazioni non confermate].

Che si tratti di un bluff o di una presa in giro, ma l’operazione psicologico-informativa ti dà sui nervi. Qui non ci si aspetta nulla di buono dai pazzi rabbiosi Rurikidi [russi]

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Il marzo del 2024, esplosioni nella notte. Mi sveglio, salto in piedi e dico a mio marito con orrore:

– La guerra è iniziata! Questa è guerra!

– E prima cos’era? – il marito s’innervosisce assonnato e si gira sull’altro fianco. – Abbiamo la guerra da molto tempo. Dormi.

A volte ci vuole del tempo per riemergere, nel cuore della notte, dalla realtà del sonno profondo alla superficie della selvaggia irrealtà.

Un’altra notte. Sto tutto il tempo con le orecchie all’erta. Cavolo! Che suoni sono? Sembra che provengono da fuori. Ritmici, sordi. Suoni sordi e tecnologici. Carri armati!

– Offensiva. Sono carri armati. Svegliati.

– Questi non sono carri armati. Questa è una lavatrice. Centrifuga. Dormi.

Giusto, è la lavatrice. La centrifuga è diventata troppo rumorosa, una volta non la potevi sentire.

Nuova notte. E ora non è più paranoia. Una serie di vere esplosioni, piuttosto rumorose.

– Offensiva.

Dio (!), dove sono i miei occhiali, dov’è lo zaino con i documenti. Negli ultimi mesi ho spostato continuamente questo zaino e alla fine ho dimenticato dove l’ho messo.

– Calmati. Non è così che si fa un’offensiva. Kharkiv è protetta. Sono solo esplosioni. Dormi.

Solo esplosioni. Solo il ventunesimo secolo. Solo una città al confine tra l’Oriente globale e l’Occidente globale.

Vorrei sapere esattamente come si fa l’offensiva.

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Kharkiv sembra un vecchio ferito e malato. Il coprifuoco è come un coma.

Durante il giorno però la città respira in modo uniforme.

I cittadini non lasciano la città né in inverno né in primavera. I residenti di Kharkiv non se ne vanno. Non si fugge. Le strade sono piene di macchine, adulti, bambini. C’è folla che passeggia nei parchi: non c’è luce nelle case, fuori però c’è il sole.

Ora abbiamo un bar ad ogni passo. La moda del caffè ha raggiunto improvvisamente dall’Europa i quartieri delle khrusciovke e i portoni d’ingresso dei palazzi dell’epoca di Stalin. I cittadini sono seduti ai tavoli nei dehors, godendosi il momento. È chiaro che puoi prendere il caffè a casa. Nei bar la gente viene per l’atmosfera, per sentire il polso di un viale, di un isolato, di un quartiere vivo.

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Ogni giorno ricevo donne incinte. Ascoltiamo il cuore del feto. A volte ascoltiamo le esplosioni fuori dalla finestra.

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A metà maggio, giovedì, Roman Anatolyevich e io andiamo a Kyiv. Arriviamo nella capitale in serata e stiamo programmando le prossime attività quando chiama un collega. Insomma, il fratello-della-moglie-marito-della-sorella di qualcuno avverte che di notte ci sarà un massiccio attacco e un’avanzata su Kharkiv. E questa volta l’insider non si sbaglia. Dalle notizie apprendiamo che venerdì sera la difesa di Kharkiv è stata sfondata. Ci sono battaglie per Vovchansk, i nemici si avvicinano ai confini settentrionali e bombardano, bombardano, bombardano la città.

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Domenica torniamo a casa.

Autostrada Kyiv-Kharkiv. Per strada raccogliamo notizie e messaggi dagli amici. Ci viene già offerto il rifugio, l’alloggio e il lavoro in diverse città, ci viene consigliato di andarcene. Il livello di ansia è fuori scala. Osserviamo con attenzione il flusso di auto che viene verso di noi e vediamo… il solito traffico autostradale del fine settimana. Non c’è flusso di traffico da Kharkiv verso il Centro e verso l’Ovest! Non c’è la fuga dalla città. Ai posti di blocco è tutto tranquillo. Squilla il mio telefono, il call center della clinica, una voce familiare, pacata: “Buon pomeriggio, domani il suo ricevimento è secondo il solito orario, l’agenda è piena, tutti i pazienti hanno confermato la visita”.

Entriamo nelle porte della città. Via Poltavsky Shliakh, simboli così familiari, due pilastri di pietra e la scritta “Kharkiv”. È una serena serata con una leggera foschia nel quartiere di Kholodna Hora, nell’aria si percepisce l’odore di miele di acacia. Adolescenti che ridono al semaforo, una vecchia zoppica lentamente con un pacco, una famiglia spinge un passeggino, molte macchine sulle strade, una gelateria.

C’è un bar e una gelateria, ma il panico non c’è.

All’improvviso mi sento calma. Questa città, da un lato all’altro è come se si fosse coperta da un’invisibile cupola di speranza. Sembra che ci stiano irradiando con qualcosa di psicotropo, spruzzando qualcosa di sedativo. Mi è subito chiaro che la città, che stava appesa a un filo nel 2014 e stava volando nell’abisso nel 2022, sopravviverà per la terza volta. Resisterà e rimarrà ucraina.