Viene facile il gioco di parole. L’Unione europea allestisce l’ennesima sceneggiata. Perché questa delle audizioni dei Commissari è una sceneggiata: il finto dramma per attirare il sospiroso spettatore verso il lieto fine. Il compromesso.
A Strasburgo si gioca a rimpiattino fra le forze politiche che la sostengono e quelle che la avversano. Lei si colloca in mezzo alla disputa, la imperturbabile popolare tedesca Ursula von der Leyen. Che tanto imperturbabile non è più, reagisce nervosamente a quanti le chiedono una dichiarazione politica volta a confermare la maggioranza incrociata di stati membri (Francia, Germania, Spagna) e famiglie politiche (Popolari, Liberali, Socialisti e Democratici).
Il sospetto di Sanchez, Scholz, Macron, e delle rispettive famiglie politiche, è che il Partito Popolare Europeo, di cui Ursula è l’espressione tedesca, voglia giocare ai due forni. L’espressione, cara al lessico italiano della Democrazia Cristiana d’annata, torna in auge da quando la Germania si appresta alle elezioni anticipate. I sondaggi prevedono il ritorno di CDU-CSU. Il candidato naturale alla Cancelleria è il democristiano (cattolico) Friedrich Merz, già aspirante delfino di Angela Merkel e da lei tenuto a margine.
Ora che Angela non è più a giro, in Europa molti la rimpiangono quanto i romanisti rimpiangono Francesco Totti, Merz può affacciarsi sulla scena. Dall’alto dei suoi quasi due metri spinge i Democristiani a destra: a contendere lo spazio all’AfD, ovvero a trattare il partito dalle simpatie neonaziste come la ruota di scorta in caso di difficoltà. Lo sdoganamento della destra è pratica amata dal centro, si rammenti il precedente di Forza Italia con Alleanza Nazionale.
I sondaggi predicono che l’attesa vittoria democristiana non sarebbe tale da garantire la maggioranza assoluta, si potrebbe tornare alla grande coalizione con la SPD. Manovre in questo senso si intrecciano al Bundestag. Olaf Scholz si presenterebbe al voto di fiducia, che gli verrebbe negata, se nel frattempo la CDU-CSU votasse a favore del bilancio. Una uscita morbida dalla Cancelleria, che lo stesso Scholz ha faticosamente tenuto alla testa della coalizione Arcobaleno con Liberali e Verdi.
Il Cancelliere si profila uomo della pace, telefona a Vladimir Putin per intimargli di ritirare le truppe e negoziare con l’Ucraina. Per ammettere insomma di avere sbagliato nel febbraio 2022.
A Madrid, i Popolari vogliono scalzare i Socialisti dal governo, aspettano al varco Teresa Ribera sull’alluvione di Valencia per scaricare sul governo Sanchez le responsabilità del disastro. La stessa Ribera è indicata come vicepresidente esecutiva della Commissione Ursula II. Con lei è l’italiano Raffaele Fitto (Fratelli d’Italia – ECR). Ambedue avrebbero il riconoscimento della vicepresidenza, ma con mandati diversi: quello della spagnola è più robusto, quello dell’italiano è più magro.
Il partito di Ribera fa parte della maggioranza Ursula. Il partito di Fitto no. Ammetterlo alla vicepresidenza romperebbe la maggioranza tradizionale. I Popolari, che sarebbero pronti a sostenerlo, applicherebbero a Strasburgo la tattica dei due forni. Una volta guardano a sinistra per confermare l’esistente: e cioè il secondo mandato di Ursula, che il Cancelliere socialdemocratico ebbe il buon gusto di accettare per orgoglio nazionale. Un’altra volta guardano a destra, ad esempio per votare assieme la legge europea sulla deforestazione che sminuzza il Green Deal.
I Democratici italiani si trovano in mezzo al guado. Fitto è l’esponente italiano in seno alla Commissione, il suo rango stinge sul paese. La sua personale idoneità all’incarico di Commissario non è in discussione. Si discute del riconoscimento che indirettamente andrebbe al suo partito. Votargli contro sarebbe un autogol. Ma la solidarietà in seno al Gruppo S&D può chiedere un sacrificio.
A giorni la sceneggiata dovrebbe concludersi, sempre che non si aggiunga una puntata. In questa ipotesi, la Commissione Ursula II entrerebbe in funzione a gennaio 2025. Una prova di tempestività: a sei mesi dalle elezioni europee, in coincidenza con l’insediamento di Donald Trump. Semo o non semo americani?