La sicurezza sul lavoro è un tema che negli ultimi giorni è stato portato di nuovo al centro dell’attenzione dai media e dai social per l’incidente mortale che ha coinvolto Luana D’Orazio, inghiottita da un orditoio meccanico in una fabbrica tessile di Prato. Mario Draghi ha ricordato la tragica scomparsa di sei lavoratori in una sola settimana. La morte di Luana è più sensazionale perché ha interessato una ragazza ‘bella, giovane e madre’? Comunque giornali e media si dimenticheranno molto presto anche di lei.

La pandemia è un esempio significativo dei nostri comportamenti d’innanzi ai grandi rischi. Il primo confinamento è stato rispettato dalla maggioranza degli italiani, mentre nella seconda fase moltissimi hanno smesso di rispettare le norme di prevenzione, secondo il vecchio adagio ‘tocca sempre agli altri’.

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La difesa della vita dovrebbe costituire la più fondamentale priorità per una società civile che si basa sul lavoro per ottenere prodotti e servizi. Si muore sul lavoro dal principio dei tempi, ma ancora oggi questo problema continua ad affliggere la nostra democratica Italia. Rievocare questo grave problema fa sempre bene, ma raramente si identificano tutte le sue cause e ancora meno tutte le risposte adeguate, che non si riducono alle leggi e alla loro applicazione. Il problema è anche e soprattutto culturale.

I numeri

Di solito l’informazione è sempre accompagnata da dati statistici che però offrono soltanto una dimensione quantitativa. EUROSTAT fornisce dati comparabili per il 2018 (escludendo il tragitto casa/lavoro). I numeri ci mostrano bene la criticità della situazione italiana.

 

Paese Occupati Morti Bianche
Italia 23,3 milioni 523
Francia 29,4 milioni 615
Germania 44.3 milioni 397
Svezia 5,0 milioni 50

 

Ci siamo basati su una comparazione di dati che appare interessante, anche se non è facile reperire valori certi, probabilmente anche a causa della diversità dei metodi utilizzati dalle diverse fonti (INAIL; EUROSTAT ecc.). Inoltre abbiamo preso in considerazione il 2018 perché i numeri relativi alle morti sul lavoro non erano ancora influenzati da quelle causate dal covid. Abbiamo ritenuto interessante considerare soltanto i due più importanti partner dell’Unione Europea e la Svezia, come ottimo rappresentante delle socialdemocrazie scandinave.

Salta all’occhio la grande differenza di mortalità in Italia rispetto alla Germania e alla Svezia. Il nostro paese conta più del doppio delle morti sul lavoro. La Francia mostrava dati simili ai nostri, ma comunque la situazione è peggiorata sia in Italia che in Francia negli ultimi due anni a causa del covid. Infine non si può dimenticare che gli incidenti relativi al ‘lavoro nero’ non figurano nelle statistiche ufficiali, e sappiamo bene quanto sia rilevante il fenomeno nel nostro paese che dalle ultime stime conta ben 3,3 milioni di lavoratori in ‘nero’.

In ogni caso, circa la rilevanza del fenomeno, in Italia le diverse fonti sembrano d’accordo: i morti sul lavoro sono decisamente troppi per un paese come il nostro, che dovrebbe almeno allinearsi agli standard dei nostri partner europei che vantano un’importante tradizione nella difesa del lavoro.

Abbiamo tentato di analizzare le molte diverse cause delle morti bianche, per capire perché fino ad oggi i rimedi adottati abbiamo funzionato così poco. Ci è sembrato comunque importante notare che l’assunzione di ispettori del lavoro, pur se essenziale, non risolverà da sola il problema.

A chi non conviene la sicurezza?

È vero che la sicurezza non ‘conviene’ alle imprese, che hanno scadenze sempre più brevi per la consegna di prodotti o la realizzazione di opere. Dovrebbero pagare di più la manodopera o assumere più lavoratori. Paradossalmente però non ‘conviene’ nemmeno ai lavoratori, che devono sbrigarsi a fare il lavoro per non essere penalizzati o licenziati. Insomma molte di queste cause derivano dai fattori ‘tempo e costo’.

In un lungo passato, per costruire una casa ci si metteva anche un anno, per una cattedrale ce ne volevano 50 o anche 100. Oggi si pretende di costruire una casa in tre mesi. Prodotti e servizi sono soggetti ad una concorrenza internazionale che viene da paesi dove la manodopera è sfruttata e sottopagata, in una competizione selvaggia, dove alcuni sono forse soggetti a troppe regole, mentre altri a troppo poche. Imprese italiane che producono in India o in Cina fanno concorrenza ad altre imprese italiane che devono – o dovrebbero – rispettare le norme sul lavoro e sulla sicurezza adottate in Europa e in Italia. In sostanza applicare queste norme è penalizzante soprattutto per le imprese italiane di piccola o media dimensione, ancora attive in settori tradizionali, come quello tessile, o dell’agro-industria, dei quali pure continuiamo ancora a vantarci.

Cause e rimedi

Ogni buon politico, ogni buon dirigente industriale sa che se non si individuano attentamente le cause di un fenomeno, è impossibile adottare rimedi efficaci.

Se si costata che le condizioni del lavoro e della sicurezza sono condizionate dalla concorrenza internazionale, occorre un controllo molto più stretto sui prodotti di importazione che non rispettano gli standard sanitari e di sicurezza imposti ai prodotti italiani. Le istituzioni italiane incaricate di questi controlli, lo fanno già efficacemente, ma dovrebbero essere poste in grado di farlo molto di più. Forse sarebbe venuto il tempo di penalizzare in qualche modo il social gap che assicura una sleale concorrenza ai prodotti di molti paesi che non assicurano alcuna difesa al lavoro umano.

Si parla troppo del costo del lavoro per l’impresa, soprattutto per quanto riguarda gli altissimi oneri contributivi che l’impresa sostiene per i suoi lavoratori. Se ne parla, ma finora si è fatto ben poco. Il lavoro nero in agricoltura può essere certamente dovuto in gran parte al cinismo e all’avidità delle imprese, ma certamente esso deriva anche dal costo dei lavoratori ‘legali’, che impedisce ai produttori agricoli di essere competitivi sul mercato. In questo settore, oltre all’abbassamento della contribuzione, lo Stato potrebbe porre a disposizione dei produttori aree di vendita ove essi potrebbero ‘saltare la filiera’, vendendo direttamente ai consumatori.

In ogni caso, non stiamo negando l’importanza delle regole a tutela del lavoro e della sua sicurezza e della necessità che esse vengano più diffusamente applicate, attraverso controlli adeguati, frequenti e tempestivi. Ma leggi e controlli non saranno mai sufficienti. La recente legislazione per prevenire e contrastare la violenza sulle donne e i femminicidi non sembrano essere servite a granché, se questi reati sono aumentati, anche a causa del covid.

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La repressione arriva sempre dopo, mentre la necessità più importante è quella di prevenire. La verità è che la sicurezza dei lavoratori dipende anche e soprattutto della presenza di una cultura diffusa presso le imprese, ma anche presso gli stessi lavoratori. All’impresa occorre spiegare, di più e meglio, che un solo incidente sul lavoro, soprattutto quando è mortale, non è soltanto una violazione della legge e dell’etica, ma comporta gravissimi danni materiali e di immagine. Questi danni hanno un costo assai maggiore delle misure di prevenzione. I lavoratori devono essere maggiormente sensibilizzati sull’importanza delle misure di salvaguardia: il caschetto da portare in un cantiere, oppure scarpe adeguate, non sono soltanto una seccatura, un intralcio allo svolgimento delle proprie mansioni, ma l’unico modo per evitare il rischio di incidenti che non sono rari, e non capitano solo agli altri.

Adottare una regolamentazione più stringente, o assumere molti più ispettori sarà un ottimo selfie per i politici, mentre le campagne di sensibilizzazione e di contatto con imprese e lavoratori sono molto meno visibili, richiedono tempi lunghi e portano meno voti, ma restano uno strumento fondamentale per cambiare le cose.