Perché dopo l’ultima sentenza del Tribunale di Taranto bisogna azzerare tutto e ripartire.
Ci sono momenti nella vita pubblica in cui le aspettative e i progetti si piegano su se stessi fino a contraddire le premesse. La vicenda dell’ex Ilva di Taranto con le recenti condanne a manager, politici, dirigenti pubblici, vista dal lato della transizione energetica, è un’esempio di quel perverso ribaltamento.
Dopo decenni di inquinamento e morti, un Tribunale ha stabilito di fatto che l’acciaieria è incompatibile con il territorio. Produrre acciaio inquina, semina morte. E prima della sentenza di maggio altri pronunciamenti hanno tenuto acceso i riflettori sullo stabilimento. Alla lista, al momento in cui scriviamo, manca ancora una sentenza del Consiglio di Stato su una decisione del Comune di Taranto anch’essa avversa allo stabilimento. Arriverà e l’ex Ilva riguadagnerà le prime pagine di giornali e Tg. E così da anni. Tra contraddizioni, visioni corte e la necessità di mantenere in Italia un grande stabilimento siderurgico.
Dopo decenni di inquinamento e morti, un Tribunale ha stabilito di fatto che l’acciaieria è incompatibile con il territorio. Produrre acciaio inquina, semina morte. E prima della sentenza di maggio altri pronunciamenti hanno tenuto acceso i riflettori sullo stabilimento. Alla lista, al momento in cui scriviamo, manca ancora una sentenza del Consiglio di Stato su una decisione del Comune di Taranto anch’essa avversa allo stabilimento. Arriverà e l’ex Ilva riguadagnerà le prime pagine di giornali e Tg. E così da anni. Tra contraddizioni, visioni corte e la necessità di mantenere in Italia un grande stabilimento siderurgico.
Se ne parla evidentemente anche perché lo stabilimento dà lavoro a 20 mila persone, muove un’economia diffusa. La siderurgia resta un asset fondamentale nell’economia mondiale e anche se altrove ha costi decrescenti non é scontato che i forni non producano inquinamento.
Per quarant’anni Taranto è stata contaminata da processi produttivi che hanno provocato malattie e morti. La sentenza di maggio ha reso giustizia di una incredibile sottovalutazione dei pericoli connessi all’acciaio. Chi e quando ha sbagliato? Sono molti e per lungo tempo. A partire da quello Stato imprenditore degli anni ‘60-‘70-‘80 che decise poi di cedere l’impianto alla famiglia Riva e quindi ad Arcelor Mittal. Lo stesso Stato che per risollevare le sorti della fabbrica ha ristabilito di diventare partner di Arcelor Mittal con oltre 1 miliardo di euro.
Come inquadrare tutto questo – rigenerare sotto il profilo ambientale uno storico sito- secondo i parametri di uno sviluppo industriale sostenibile ? Ripartendo da zero. Facendo i conti (una volta per tutte) con sentenze, vertenze, accordi, piani strategici e intese con l’Europa. Un disegno condiviso e serio impostato dalla buona politica, senza illusioni e propaganda. Se l’obiettivo resta quello di produrre 8 milioni di tonnellate di acciaio nel 2025, non c’è altra strada che riorganizzare completamente la produzione con energie alternative. Taranto può diventare il prototipo di aziende «pesanti» acquisite alla causa verde.
Come inquadrare tutto questo – rigenerare sotto il profilo ambientale uno storico sito- secondo i parametri di uno sviluppo industriale sostenibile ? Ripartendo da zero. Facendo i conti (una volta per tutte) con sentenze, vertenze, accordi, piani strategici e intese con l’Europa. Un disegno condiviso e serio impostato dalla buona politica, senza illusioni e propaganda. Se l’obiettivo resta quello di produrre 8 milioni di tonnellate di acciaio nel 2025, non c’è altra strada che riorganizzare completamente la produzione con energie alternative. Taranto può diventare il prototipo di aziende «pesanti» acquisite alla causa verde.
Il progetto di riconversione a idrogeno delle linee di produzione va perseguito, ma sapendo che richiede tempo. Draghi e Cingolani, più di tutti, ci credono. Ma deve essere chiaro che il tempo è il primo alleato di un disegno che può portare l’Italia a vincere su altri Paesi. In altre parole, se il Piano di Ripresa e Resilienza che contempla la riconversione di Taranto deve concludersi nel 2026 e il piano industriale ha i nuovi obiettivi al 2025, bisogna fare tutto nei prossimi quattro anni. Si mettano da parte le montagne di documenti, studi, inchieste e si parta tutti con un solo testo, un progetto industriale risolutivo approvato in Parlamento.
Una volta le strategie energetiche delle fonti tradizionali si misuravano sui tempi lunghi. La modernità e la necessità di combattere i cambiamenti climatici, hanno accorciato quei tempi. Chi li scandisce deve saper tenere insieme produzione, lavoro, salute, rispetto per l’ambiente, progresso. L’Italia si sta riprendendo dopo lo shock della pandemia e l’unico modo per non contraddire le premesse di una visione green, soprattutto per le nuove generazioni, è avere fiducia in se stessi e in chi ha le maggiori responsabilità di governo. Il momento è propizio.