Intervista a Fabrizio Barca, coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità insieme con Andrea Morniroli. Dal novembre 2011 all’aprile 2013 è stato ministro senza portafoglio con delega per la Coesione territoriale nel governo Monti.

Nella lista delle priorità governative possiamo assumere la disuguaglianza come una priorità assoluta?

La disuguaglianza sociale e quella ambientale sono costituzionalmente fondate. Sono una coppia inseparabile e di natura fondamentale. Non è una coppia lontana dalle direzioni strategiche che l’Europa, svegliata dalla drammaticità della crisi, anche pandemica, assegna attraverso il messaggio nuovo, originale, con la devoluzione di fondi mirati. Il vecchio continente ha fatto un salto di sensibilità verso questi problemi. Tutto sta nell’interpretazione. Quello che conta è la grande massa delle risorse ordinarie. Il piano i titoli c’è l’ha, coerente con i problemi: c’è il riferimento ai giovani, all’ambiente, etc. Peraltro i piani dovrebbero servire solo a cambiare l’angolo. C’è una visione dell’Italia a trenta anni per un’Italia meno ingiusta. Non siamo come nel ’48 a ogni modo. L’evocazione del piano Marshall non è giustificata.

Il reddito di cittadinanza si è assicurato strali e veti incrociati per ovvi fisiologici casi di mancato controllo sui beneficiari. Ma possiamo considerarlo uno step dopo il reddito d’inclusione verso il più ampio solidale e completo reddito universale?

Ho imparato una cosa, che per fare dei passi di emancipazione occorre che persone di idee diverse trovino dei punti di caduta comuni e immediati. Per alcuni il reddito di cittadinanza, in un mondo di estrema conflittualità, di estrema incertezza e problematicità, può assicurare a tutti i cittadini in difficoltà la garanzia di uno zoccolo al disotto del quale non cadranno. In questa prospettiva il reddito di cittadinanza è un passo importante. Ma una persona come me non è proprio sicura al momento che questo sia l’orizzonte a cui mirare. Come è stato detto da persone, molto lontane ideologicamente dal sottoscritto come Perotti-Boeri, è un atto dovuto da parte di una società attenta alle diseguaglianze. Non possiamo permetterci di far cadere delle persone sotto una soglia minima. Badate bene che questo non ha nulla a che fare con il lavoro. Non è il metadone, come evocato, né più né meno come non sono metadone le agevolazioni fiscali riconosciute agli agricoltori. Quello non è metadone ma necessario supporto.

È una ricompensa dovuta. Chi rifiuta l’idea del reddito di cittadinanza si colloca su un terreno di disprezzo, di rifiuto tout court della povertà. Un residuo terribile della cultura neoliberista. Sei povero non per le circostanze della vita ma perché hai sbagliato, sei un deficiente e te lo meriti. Per equivalenza se sei un drogato è una scelta tua e egualmente ti meriti una brutta sorte. Ti voglio lasciare dove stai. Sul reddito di cittadinanza l’esistenza di forme di trasferimento per gente che ne abusa è normale. Il 5-6% è una percentuale fisiologica di abuso. Ognuno di noi ha ricevuto qualcosa che non meritava: la percentuale positiva del 95% è bastevole. Però il reddito non è immodificabile. Quando il dibattito diventa serio esce fuori che il lavoro non c’entra. Va valorizzato l’affiancamento alle persone. Voglio gli strumenti per dialogare, per permettere il recupero della persona, recuperare il quoziente d’intelligenza perduto. È falso che in Italia ci sia una particolare carenza di posti di lavoro. Il numero dei posti vacanti è esattamente eguale a

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quello che c’è sempre stato. Due terzi delle persone che si giovano del reddito di cittadinanza non possono rispondere alla chiamata del lavoro per le proprie competenze. Devo ragionare in altra maniera: ti do il contributo ma ti rimetto in carreggiata. Ci sono al Nord molti poveri che non riescono ad accedere al reddito. E la regola pattuita per i migranti di dieci anni di permanenza in Italia è estremamente vessatoria.

La patrimoniale viene giudicata un ritrovato demagogico della sinistra. Può avere però un significato per attenuare il gap sempre più evidente tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri?

Nell’ordine delle urgenze la patrimoniale è un’espressione che evoca sottrazione di ricchezza a chi l’ha accumulata con il proprio sangue e la propria fatica. La ricchezza in realtà si accumula con fatica e il sudore degli altri. Ricordo Bezos, grande capitalista, che quando va sulla Luna ringrazia i propri consumatori e dipendenti attribuendo loro il merito dell’impresa. In quel momento confessa i prezzi troppo alti imposti ai consumatori e gli stipendi pagati troppo bassi conferiti ai propri lavoratori.

Un’operazione una tantum può avere senso quando hai un grandissimo debito pubblico e decidi in qualche modo di rientrare. Puoi convincere il mercato con varie modalità. Persino Biden, che certo non è un pericoloso rivoluzionario marxista, riconosce che ci può essere la necessità di redistribuzione della ricchezza. Evoco un’altra soluzione. Sotto il governo Monti modificammo la tassazione sul patrimonio permanente, cioè della prima casa. L’attuale iniquità dei valori catastali appare evidente. Due persone che hanno una casa che vale esattamente lo stesso pagano una tassa diversa per parametri diversi determinando un’iniquità orizzontale. La revisione degli estimi provocherebbe un’entità patrimoniale significativa pari a alcuni miliardi di euro. Questa è una modifica permanente e non una tantum. Poi c’è il momento dell’eredità – e ce lo dice il pensiero liberale, anche Monti quando intervenne pubblicamente nella querelle Letta-Draghi.

Se una famiglia ha accumulato milioni di euro è giusto che trasferisca l’ammontare. Noi diciamo che fino a 500.000 euro non si dovrebbe essere tassati. Ma se il trasferimento è di cinque milioni o di cinque miliardi non è ragionevole riconoscere che quella ricchezza è frutto dell’impegno pubblico di migliaia di altre persone? Non è giusto allora trasferire i beni totali alla famiglia. Tra l’altro la capacità imprenditoriale non si trasferisce e quindi c’è il rischio di mandare a gambe all’aria aziende e il destino di migliaia di lavoratori. In Gran Bretagna c’è una tassazione significativa dell’asse ereditario che può arrivare al 45-48%. Con 8-9 miliardi potremo favorire un’eredità anticipata permettendo a generazioni di giovani l’adeguato sviluppo. Per i diciottenni 15.000 euro a disposizione per il futuro. Sarebbe un segno fondamentale rivolto ai giovani.

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C’è chi aveva urlato l’abolizione della povertà. Sappiamo invece che ci sono cinque milioni di italiani che versano in questa condizione. Perché l’argomento non capeggia come imprescindibile nel programma del governo Draghi anche alla luce delle risorse garantite dal Pnrr?

La radice culturale di questo risiede nella trasformazione semantica della parola “povertà”. Negli anni ’50, se io fossi venuto a sapere che una persona era caduta in poverà la prima cosa che sarebbe venuta in mente sarebbe stata «Povero disgraziato, che gli è successo?». Ora quando vediamo un povero il nostro giudizio è radicalmente diverso, è negativo. Ci domandiamo in che modo quella persona abbia sperperato i suoi averi per ridursi in quel modo. Questo cambiamento d’atteggiamento viene dalla cultura liberale L’unica condizione positiva è quella di far soldi e non importa come. Essere poveri è spregevole, questa opinione ci condiziona tutti e fa sì che imperi il disprezzo. Si scaccia il pensiero stesso della povertà, è quindi evidente che non venga esaminata all’interno  di una possibile politica pubblica. Un dato preoccupante se si considera che la pandemia ha gettato sotto una soglia di povertà numeri impressionanti di persone e soprattutto donne. Solo in Europa 45 milioni di persone. Povertà e diseguaglianza sono parole molto legate. Se non ci si occupa delle diseguaglianze, se non vengono riequilibrate, la situazione economica di moltissime persone non migliorerà. La redistribuzione da sola non basta, serve un intervento risolutivo che fermi la creazione dei “fiumi” di diseguaglianze.