Per i miei lettori affezionati delle avventure elettorali, ora che sono tornata, vi posso raccontare la mia missione di osservazione elettorale in Iraq! Top secret fino al mio ritorno per non far preoccupare i genitori 🤣!
Arriviamo all’aeroporto di Bagdad di sera, appena in tempo prima del coprifuoco. L’aeroport
o si trova nella zona rossa. All’arrivo ci aspettano le nostre guardie del corpo, ci mettono il giubbotto antiproiettile- quello in ceramica che pesa 10 kg – e ci fanno il briefing di sicurezza. Se ci colpiscono o se la macchina si rompe bisogna passare nell’auto posteriore. Rassicurante…Si perché ogni 2 persone ci sono tre macchine blindate. Una in mezzo dove saliamo io e Recinella Daniela e due bodyguards, un’altra davanti e una dietro.
Ci viene spiegato il percorso su una cartina. Siamo in zona rossa e per arrivare in zona verde dobbiamo passare numerosi checkpoint. Al primo di questi, le nostre guardie scendono e recuperano le armi che non avevano potuto portare in aeroporto. Mitragliette e pistole… impressionante. Durante il tragitto chiama il babbo per un guasto alla sua auto. Interrompo i bodyguard… silenzio per favore. «Tranquillo babbo, sono a Brux. domani chiamo io l’assicurazione». Surreale 🤣🤣!
Tutto intorno a noi solo muri di cinta, carri armati, militari, filo spinato, torrette di avvistamento. Le strade sono deserte. Avevo letto che alcuni checkpoint sono controllati dalle milizie sciite pro-iraniane. Ad ogni alt, un po’ di allerta, ma tutto fila liscio fino all’hotel. Un casermone di 15 piani, con attorno un grande muro di cinta e all’ingresso carri armati e una specie di ponte levatoio per fermare eventuali veicoli ostili. All’ingresso controllano che non ci siano ordigni sotto la macchina e via libera. L’albergo Al Racheed è proprietà dello Stato e vi alloggiano varie missioni internazionali, compresa l’ambasciata dell’Arabia Saudita. Infatti i primi ospiti che intravediamo sono sauditi vestiti di bianco. Per le donne nessun obbligo del velo, solo maniche lunghe quando si esce.
Ma come si esce? Impossibile. In 9 giorni solo qualche sporadica uscita per incontrare gli interlocutori della missione e le ambasciate europee presenti a Bagdad. La sera si incontrano persone che camminano nel parco avanti e indietro per fare esercizio fisico. Solo il giorno delle elezioni lo abbiamo passato in giro per la città, in zona rossa. Al ristorante ci imbattiamo subito in ragazzi italiani. Ci sono i carabinieri che si occupano di recuperare le opere d’arte. Negli anni in cui l’Isis controllava la zona di Mosul, moltissime opere d’arte sono state trafugate o distrutte. Perché l’Iraq è la culla della civiltà mondiale. La Mesopotamia! Gli assiro-babilonesi, Semiramide e Sardanapalo, Hammurabi, Nabuccodonosor, Abramo, Noè.
La metà dei racconti della Bibbia è ambientata in Iraq! La civiltà è nata qui. La scrittura cuneiforme è nata qui, il Paradiso terrestre descritto dalla Bibbia si trovava qui, fra il Tigri e l’Eufrate. Quando li ho intravisti sfrecciando con le macchine blindate di ritorno dalle elezioni mi sono emozionata… anche se Bagdad non ha più niente delle bellezze descritte dell’antichità. Gli anni della guerra Iraq-Iran, la guerra degli americani a Saddam e poi l’ISIS hanno distrutto questa città che non ha più niente di bello. L’unico monumento che si vede dappertutto a Bagdad sono le due sciabole incrociate, simbolo della vittoria contro l’Iran, con ai piedi delle spade un copricapo calpestato che simboleggia l’Iran. La guerra era finita con un cessate il fuoco imposto dall’Onu, ma per gli iracheni era una vittoria.
Nella zona verde si vedono solo soldati, miliziani o poliziotti. Nella zona rossa ci sono alcuni quartieri più vivi, con dei mall con luci psichedeliche, pubblicità di chirurgia estetica e per la maggior parte case rovinate, con centinaia di fili della luce intrecciati e ovunque il poster di Hussein, il terzo Imam, figlio di Fatima, nipote di Maometto, la cui morte a Karbala dove è sepolto nel 680 ha inventato il culto del martirio. È col martirio di Hussein il 1° ottobre che si consolida la fitna, il grande litigio, tra sciiti e sunniti. Hussein era un uomo carismatico rappresentato giovane e bellissimo, con un copricapo verde, la barba folta, in sella ad un cavallo bianco. Era tornato a Kerbala per salvare i suoi seguaci e viene massacrato. La festa della Ashura è appena passata (notte fra il 30 settembre e il 1 ottobre) e Bagdad è tappezzata dalla sua immagine ovunque. Più dei cartelli elettorali.
L’Iraq è a maggioranza sciita 60% della popolazione, con un 20 % sunnita, il resto curdo, con altre minoranze: i cristiani caldei, gli yazidi, I turkmeni, i mandei, gli Yarsan, gli Shabak. Mi sono divertita a studiare le differenze religiose, dal culto di zaraustra, alla venerazione per Giovanni Battista.
Un altro poster gigante ricorrente è il faccione minaccioso di Soleimani, il generale iraniano ucciso dagli americani all’aeroporto di Bagdad l’anno scorso, insieme al capo delle milizie sciite PMF, Al Muhandis. Un ragazzo ai seggi aveva Soleimani nel suo screen saver del telefono… qui i tagliagole girano indisturbati. Nel seggio elettorale VIP del nostro hotel, dove votano anche il presidente, ministri e parlamentari incontriamo sulla porta, intervistato da decine di telecamere, il terrorista più ricercato dagli americani, quello che ha assaltato l’ambasciata americana nel 2020. L’Iraq è così.
Qui la cosa più importante per non farsi attaccare è far capire chiaramente di non essere americani!
Un amico agente speciale mi aveva detto prima di partire di entrare nei seggi e dire “buongiorno” a voce alta per far capire che non ero americana. Gli americani sono odiati. Hanno cacciato Saddam, ma la loro amministrazione e gli errori fatti, fra i quali quelli di decapitare i primi tre livelli di governo di tutte le amministrazioni nel processo di de-batificazione- eliminare il partito Ba-th di Saddam- che ha distrutto il tessuto istituzionale dell’Iraq.
A Bagdad trovo Angela, una cara amica di Bruxelles con cui trascorro due belle serate. Lavora qui pet l’UE. Super coraggiosa e bravissima. Sembra surreale di ritrovarsi lì in quel film di guerra…
Il giorno delle elezioni è quello più pericoloso per la sicurezza. Basta uno sguardo alle statistiche del passato per rabbrividire. Non c’era mai stata un’elezione senza morti. Addirittura in quella del 2005 erano morte 45 persone con 245 attacchi. E quindi noi siamo obbligati ad indossare il giubbotto. Negoziamo con la sicurezza di poterlo togliere nei seggi … come si fa ad incoraggiare i votanti a presentarsi pacificamente al voto se gli osservatori si presentano come in un film americano? Le guardie accettano anche di non entrare nel seggio… di stare sulla porta e di non essere invasivi.
Ho un bravissimo presidente di delegazione, Domenec, e un gruppo super attivo di deputati. Si comportano molto bene. La capa missione è anche bravissima. Tutto fila liscio. Gli iracheni alle urne sono pochi, pochissime le donne e i giovani disillusi. Il sistema di voto è super sofisticato. Serve una laurea in informatica per capire tutto il procedimento. I ragazzi dei seggi sono simpatici e preparati. Tutti molto accoglienti e socievoli con noi. Un mio deputato dice ad alcuni soldati che sono la cugina di Monica Bellucci e scatta la richiesta di selfie… uno dopo l’altro 🤣🤣.
L’atmosfera è tranquilla anche perché non c’è quasi nessuno un giro. La partecipazione nei seggi che osserviamo è molto bassa.
I problemi per le elezioni sono stati prima del voto: intimidazione dei candidati indipendenti e denigrazione e fake news sulle donne candidate. Eh sì, perché l’Iraq è il paese delle fake news e delle maldicenze… girano teorie strampalate su tutto. Per esempio il mio assistente Hassan mi racconta che all’entrata del nostro hotel ai tempi di Saddam e della guerra del golfo c’era disegnata la faccia di Bush padre per terra. Così che tutti lo calpestassero. È questo è vero, ma secondo Hassan gli americani per vendetta avevano disintegrato con un missile la casa della disegnatrice, uccidendo lei e la madre. Stento a crederlo…
Alla fine le elezioni sono vinte dal partito sciita di Al Sadr, con una perdita clamorosa del partito Fatah, vicino alle milizie sciite pro iraniane. Tutti si chiedono cosa farà l’Iran e se le milizie, ora fuori dal parlamento, avranno voglia di riprendere le armi. La politica irachena è molto complicata, per alcuni versi ricorda il Libano per le lottizzazioni etniche delle cariche dello stato, ma all’interno della stessa etnia religiosa le divisioni sono profonde. L’Iraq è il quarto paese al mondo per il petrolio. Dovrebbe essere ricco, ma la corruzione e la mancanza totale di infrastrutture lo rende dipendente dagli stati vicini, Iran in primis. L’Iraq importa tutto.
Lascio il paese con voglia di saperne di più e di studiare la sua storia. La nostra è stata l’unica osservazione internazionale presente nel paese. Sono molto fiera del lavoro fatto.
Torno a casa con la sensazione di avere vissuto in un libro di fiction un po’ cruento. È passata anche questa!