Come molti di noi, ho letto con grande ammirazione l’articolo che Maurizio Serra ha dedicato al caso Orban. La mia stima per questo nostro intellettuale è incondizionata, insieme al mio orgoglio per il primo italiano accademico di Francia.
La sua onestà di vero intellettuale si vede perché non si limita a dirci la sua opinione – come molti chiacchieratori televisivi – ma ci fornisce le prove sulle quali è basata la sua analisi.
Io non sono certo al suo livello, ma penso possa essere utile proporre qualche riflessione.
È innegabile che in una visione democratica della politica si debba sempre preferire il dialogo e il negoziato. Però la storia ci prova che molte grandi trasformazioni, molti grandi passi avanti, pur basati su costruzioni intellettuali ed ideologiche, abbiano dovuto essere realizzati attraverso momenti quasi sempre drammatici e sanguinosi.
La Carta dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino è stata scritta nel solco del pensiero dei grandi pensatori francesi, Voltaire, Rosseau, Diderot e d’Alembert e ispirandosi alla Costituzione americana. Per realizzarla, però, sono cadute migliaia di teste di nobili ed innocenti cittadini francesi. Il Manifesto di Marx ha fornito una rivoluzionaria base per un fondamentale cambiamento sociale, ma per realizzarla in pratica – con tutte le distorsioni del comunismo sovietico – c’è voluta la Rivoluzione di Ottobre e migliaia e migliaia di morti, colpevoli ed innocenti, per molti anni.
Per liberarsi dell’ideologia nazista ci sono voluti 60 milioni di morti. Per eliminare la schiavitù c’è voluta la Guerra di secessione americana. Per affermare la libertà dei popoli dalle potenze coloniali, violenze ed orrori non si contano. Potrà apparire una semplificazione, ma il manifesto dei Rosacroce, senza una rivoluzione, è rimasto un manifesto, mentre la rivolta di Masaniello, senza il supporto ideologico, è finita con una fucilazione. Sembrerebbe che le idee non viaggino sulle spalle degli uomini, ma sulla canna dei loro fucili.
Allora è forse lecito chiedersi: è sempre sufficiente il processo democratico per l’affermazione o la difesa di quelle idee, di quei principi fondamentali, così faticosamente conquistati dalla società umana? Oppure in alcuni momenti critici della storia, come quello che stiamo vivendo, occorre riprendere le armi o, quantomeno, assumere posizioni forti ed intransigenti, escludendo ogni negoziato, per stroncare sul nascere coloro che mettono a rischio questi principi?
Questi interrogativi potrebbero apparire provocatori, ma i pericoli sempre più attuali, di dittatori e tiranni, che si stanno pericolosamente riaffacciando in molti paesi, e persino in Europa, li rendono forse degni di riflessione.
Il libro fondamentale di Francesco Benigno “Terrore e Terrorismo”, ci fornisce, oltre a tante altre cose, una carrellata completa – unica nel suo genere – sugli attentati degli anarchici durante la storia del 1800 e del 1900. Il tirannicidio era per questi giovani idealisti un gesto fondamentale di ribellione contro l’oppressione e la tirannia, che essi ravvisavano nelle monarchie di quel tempo. Gli anarchici non erano violenti criminali, ma giovani impregnati di idealismo, cultori della libertà e dell’uguaglianza fra gli esseri umani. Gli studiosi del diritto internazionale, appassionati delle teorie, discutono sul diritto dei popoli di ribellarsi. Se può essere vero che il fine non giustifica i mezzi, è avvenuto spesso nella storia che, per perseguire obiettivi essenziali, si sia dovuto ricorrere a mezzi quantomeno discutibili.
È vero che i sistemi democratici, faticosamente conquistati, dopo secoli di orrori, ci hanno insegnato a ripudiare la violenza e la guerra, ma fin dove si possono – o si devono – spingere le comunità democratiche per difendersi da coloro che rischiano di vanificare i fondamentali diritti degli esseri umani?
Purtroppo nella storia nessun grande cambiamento, nessuna conquista civile e democratica, sono stati indolori, neppure quelle condotte da uomini di pace come Gandhi o Mandela.
Marginalizzare o escludere con forza e senza compromessi, politici come Orban e Kaczynski, è forse l’unica difesa possibile contro l’affermarsi di nuove tirannie e per proteggere senza dubbi e tentennamenti, le fondamenta della nostra Europa. Bisogna farlo subito, prima che la mala pianta cresca e spanda il suo veleno. Tra l’altro in questo modo manderemo anche un messaggio chiaro e forte a tutti quegli ungheresi, a tutti quei polacchi e a tutti i cittadini della nostra Unione Europea, che vogliono continuare a vivere nella democrazia e nei diritti.