In precedenti articoli si sono qui affrontati i temi delle difficoltà, delle ansie, dei disagi e delle preoccupazioni dei genitori di un disabile grave, tecnicamente definito “ad alto carico assistenziale”.
Questa volta l’argomento che poniamo alla vostra attenzione è la condizione dei fratelli e delle sorelle conviventi di un disabile. Il problema di queste persone congiunte è uno dei più trascurati sia nella cultura di massa che in quella scientifica.
Gli specialisti di terapia familiare sostengono che nelle famiglie con queste problematiche è fondamentale essere sinceri ed onesti con i figli soprattutto quando sono piccoli, ovviamente senza scendere su informazioni dettagliate e cercando di essere invece rassicuranti. La mancanza di informazioni adeguate, la presenza di “non detti”, di segreti creano ansia e angoscia. I problemi più spesso segnalati dai fratelli sono: la vergogna, l’imbarazzo e il disagio nei confronti dei coetanei; il senso di colpa per la propria normalità in contrasto con la disabilità del fratello; la paura di sviluppare a propria volta la malattia. Inoltre, grava spesso sul figlio sano il peso delle aspettative che i genitori pongono su di lui come compensazione psicologica.
Molti fratelli hanno dei risentimenti forti perché si sentono trascurati nei confronti del fratello malato, risentimenti che, se non gestiti correttamente, possono trasformarsi in una rabbia repressa che in seguito può determinare problemi in altre forme di legami nella loro vita futura. A volte invece affiora un senso d’impotenza e di forte coinvolgimento emotivo e può portare il fratello a pensare «è colpa sua, se volesse potrebbe star bene, sarebbe necessaria un po’ più di buona volontà… una migliore assistenza dei medici curanti e dei genitori».
Purtroppo accade spesso che quando un figlio sta male i genitori invece di cercare una maggiore unione e un aiuto reciproco entrano in una situazione conflittuale che necessariamente coinvolge gli altri membri della famiglia. Alla fine, si trovano a subire non soltanto il carico del figlio malato ma anche il desiderio di fuga e rivalsa del fratello.
Si nota spesso che esistono delle differenze nelle reazioni e nei comportamenti di una sorella del disabile rispetto a quelli di un fratello. Il senso materno innato, dicono, nelle donne fin da piccole aiuta ad accogliere meglio un fratello/sorella con difficoltà e facilita il compito dei genitori caregiver nella gestione della vita familiare e dei sentimenti.
Consultando alcuni testi emerge la necessità di una figura: “l’educatore”, che tramite un intervento domiciliare, conoscendo l’ambiente familiare e lo stile vita, avrebbe il compito di aiutare i genitori a ricavare spazi e tempi per ciascun figlio e a non fissare sempre sul disabile le loro attenzioni rendendo così difficili le relazioni tra fratelli. Inoltre, attraverso attività informative e formative “l’educatore” dovrebbe aiutare i genitori a modificare comportamenti e atteggiamenti e a riconsiderare se stessi anche come persone con propri interessi e scopi in modo da individuare aspetti positivi e criticità del contesto e delle relazioni e alla fine creare un progetto coerente che persegua obbiettivi raggiungibili per tutti i membri della famiglia. In letteratura gli studi sul tema della relazione dei fratelli sono recenti, spesso contrastanti e non esaustivi anche per la grande eterogeneità di famiglie che vivono con la disabilità.
In Italia il supporto, che viene valutato quasi indispensabile nelle famiglie caregiver, è a carico dei sistemi sociosanitario (le ASL) e socioassistenziale (i Comuni) spesso intrecciati fra loro. Tutte idee bellissime ed infinitamente utili, ma difficili come si dice ora “da mettere a terra”.
Dai tempi di Platone con la sua idea di Repubblica perfetta e di Iperuranio proviamo a scendere nel mondo reale ma purtroppo siamo ancora lontani.
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