La superficie coltivata in Italia è in diminuzione da circa quarant’anni.

Il fenomeno è positivo se si abbandonano aree marginali, in qualche caso addirittura residuo della fallimentare “Campagna del grano”. L’impatto umano sul territorio nazionale è eccessivo ed il futuro agricolo sostenibile passa per colture ad alta resa per unità di terreno impiegato, lasciando quote crescenti del territorio libere per garantire un adeguato livello di biodiversità.

Impianto acquaponico sito nelle Marche – Foto dell’autore

Nel concetto di biodiversità rientrano anche le culture e gli allevamenti di specie vegetali ed animali la cui varietà (ricchezza) rende l’Italia prima a livello mondiale, grazie ad un plurimillenario fortunato impatto antropico (introduzioni e modifiche del territorio).

Per mantenere la biodiversità è necessario gestire sia l’abbandono da parte del territorio (rewilding), sia il mantenimento di un adeguato livello varietà colturali e allevamenti tradizionali. Questo richiede fondi pubblici mirati, gestiti con competenza e non distribuiti a pioggia. Parimenti all’agricoltura industriale, che va mantenuta e migliorata, vanno affiancate tecniche ad alta produttività e basso impatto ambientale, quali quelle idroponiche ed acquaponiche, con interventi di tipo legislativo tesi a semplificare l’abnorme burocrazia ed i relativi costi che frenano l’introduzione di nuove tecnologie agricole, comprese quelle connesse alla produzione di energia.

Le politiche agricole andrebbero declinate per tre tipologie di agricoltura:

  • tradizionale intesa come l’insieme delle attività orientate primariamente al mantenimento della biodiversità animale e vegetale e come tale sovvenzionata in modo mirato
  • industriale estensiva
  • innovativa ad alta produttività e basso impatto sulla biosfera (ad esempio basso utilizzo suolo, acqua, pesticidi, immissione gas serra)

Esiste un ostacolo di tipo culturale: parte della popolazione, burocrati e politici compresi, vede l’agricoltura attraverso il filtro deformante di certe trasmissioni televisive e pensa che l’imprenditore agricolo sia, e debba essere, quello degli anni ’50 del secolo scorso. I giovani italiani, che in numero maggiore rispetto ai loro coetanei europei aprono aziende agricole, hanno parimenti in numero minore diplomi o lauree connesse alla attività svolta. Nell’Unione Europea sembra si comprendano meglio le complessità della moderna agricoltura.

Carpe koi in un impianto acquaponico – Foto dell’autore

In Italia sembrerebbero, statisticamente, bastare le braccia come negli anni ’50, oppure, spiegazione alternativa, il maggior tasso di disoccupazione giovanile rispetto alla media UE ed i forti incentivi, anche in termini di contributi pensionistici a fondo perduto, fanno sì che l’agricoltura sia una sorta di settore rifugio ed il fenomeno di ritorno alla terra sia più apparente che sostanziale.

La figura dell’imprenditore agricolo richiede conoscenze gestionali in campi diversi per sfruttare le nuove tecnologie ed i nuovi metodi statici di supporto, quali quelli che vanno sotto il nome di intelligenza artificiale.

L’arrivo di nuovi operatori senza competenze specialistiche, statisticamente parlando, lascia sorgere delle perplessità sui fenomeni di ritorno alla terra. Il settore agricolo in ogni caso continua ad essere in costante contrazione.

Foto dell’autore

L’innovazione, vista con sospetto, può rendere possibile una redditività adeguata per gli operatori del settore, migliora la qualità dei prodotti riducendone l’impatto ambientale. È opportuno ricordare che il settore agricolo è il secondo responsabile dell’immissione in atmosfera di gas serra dopo quello industriale e prima di quello dei trasporti.

Nel concreto, cosa fare?

  • Definire politiche di rewilding per gestire la riduzione delle superfici oggetto delle attività di silvicoltura, allevamento ed agricola.
  • Allocare fondi adeguati per il compimento delle azioni connesse alle politiche di rewilding scelte (mantenere le attuali politiche è un’opzione, ma è necessario avere contezza che il costo sistemico potenziale è alto e definibile solo a posteriori).
  • Definire i territori oggetto di rewilding.
  • Definire le politiche di reale compensazione reddituale per agricoltori ed allevatori affinché siano alleati e non ostaggio delle politiche di rewilding (compensazioni per danni causati dall’avi-fauna, ristori per il minor reddito derivante dall’utilizzo di determinate tecniche agricole, specie animali e vegetali ai fini della conservazione della biodiversità).
  • Ridurre le filiere agricole che nei passaggi tra produttore e consumatore vedono i prezzi decuplicare (la criminalità organizzata ha un impatto su questi fenomeni).
  • Semplificazione normativa anche, ma non solo, per facilitare la diffusione di nuove tecnologie ed eliminazione di veri e propri assurdi giuridici che si abbattono sull’agricoltore, cancellando gli obblighi incompatibili con il mantenimento di piccole aziende agricole (sempre che il legislatore ritenga che queste siano un valore, altrimenti non sono necessari interventi di sorta).
  • Riduzione e modernizzazione della burocrazia.
  • Aiuti mirati, non a pioggia, alle vere aziende agricole.
  • Contrasto alla criminalità organizzata (gestione della manodopera agricola, attività connesse al riciclaggio che falsano il mercato).