Donald Trump

Donald Trump

Non è che fossero mancati i segni premonitori: Trump non aveva mai fatto mistero durante tutta la sua campagna elettorale della determinazione di rivoluzionare dalle fondamenta l’impianto politico ed amministrativo del paese e di dare all’annunciata rivisitazione dell’isolazionismo americano una impronta aggressiva e in totale contrasto con un cinquantennio e più di sistemi di alleanze. Abbiamo pensato che si trattasse di tattica elettorale e che, a vittoria raggiunta, avrebbe seguito una linea eterodossa e imprevedibile ma, tutto sommato, non troppo lontana dalla visione consolidata degli interessi di fondo dell’America. Invece ha fatto esattamente quello che aveva promesso: così come nella sua prima elezione aveva raggiunto il successo  con un messaggio che aveva toccato l’animus populista della parte del paese lontana dall’influenza delle élites delle coste orientale e occidentale, che era stata sempre considerata politicamente marginale e si era trovata proiettata inaspettatamente al potere, questa volta sta cercando di dare corpo alla promessa di svuotare la democrazia americana delle sue strutture di governo e di controllo, per perseguire un modello autoritario nel balbettio di una opposizione democratica travolta da quanto sarebbe stato invece saggio prevedere. Anche se non mancano le difese – che ci si augura potranno rafforzarsi. Il tutto, con la variabile pirandellianamente “pazza” di Elon Musk, che è un genio ma è al tempo stesso assai attento a consolidare il suo peso dominante sui resti di una amministrazione pubblica sfibrata, attraverso il controllo dei meccanismi dell’intelligenza artificiale, vera e ancora in larga parte ignota pietra filosofale di un futuro che non potrebbe essere più incerto.

A Trump interessa la Cina, con cui vuole stabilire un rapporto che dal confronto possa passare alla definizione di aree di influenza globale reciprocamente riconosciute. E pazienza per Taiwan, naturalmente a condizione che agli USA venga riservato un accesso garantito alle tecnologie di punta dell’isola. Gli interessa la Russia, che dovrà prendere le distanze dalla Cina, aprendo alle industrie americane i mercati di sbocco che l’epoca Eltsiniana non avevano garantito, e dovrà tornare al ruolo tradizionale di punto di interposizione fra Asia ed Europa. Tutto il resto – compresa la polveriera mediorientale – dovrà far parte di questo schema. L’India potrebbe mettere in discussione gli equilibri, ma si tratterebbe in ogni caso di una ipotesi non per l’immediato. Non gli interessa l’Europa, del cui sistema di valori e di civiltà la sua democrazia è figlia, ma oggi la vede come un vassallo intanto utile, in quanto obbediente e a sua volta mercato interessante di sbocco. Poi ci sono arte, cultura, musei e così via; validi per il loisir e il turismo. La libertà ucraina potrebbe essere un tema spinoso per l’opinione pubblica, ma giocabile nella partita degli equilibri complessivi e, in particolare, dell’accesso alle terre rare di cui Kyiev è ricca.

Europa

Europa

È una visione apocalittica? Forse, ma non necessariamente impossibile. L’Europa deve rivendicare con forza la propria identità, basata su un modello di civiltà che pone l’individuo al centro di un sistema di diritti e doveri che sostanziano la natura della sua democrazia, e non soggiacere alla tentazione che viene da quartieri più volte inattesi, di uniformarsi all’individualismo americano basato sullo spirito di frontiera e l’etica protestante, che è certamente democratico, ma altrettanto certamente diverso dal nostro. Potrà farlo? Per riuscirci, dovrebbe ripensare a fondo cosa intenda per sé stessa, quale sia il rapporto fra Unione Europea ed Europa in senso più ampio, come possa fare il salto di qualità che introduca la coscienza condivisa di uno stesso destino politico e renda credibile una difesa comune, di cui si continua a parlare senza decidere, mentre le fiamme si fanno più vicine. Guardando le cose oggi, sembra futuribile, ma riuscirci è condizione indispensabile di sopravvivenza. Dovrebbe poter essere fattibile, a condizione di non perdere davvero altro tempo. “Vaste programme” diceva il Generale de Gaulle: allora il suo scetticismo venne messo in quarantena e quasi sconfitto. E oggi?