Abbiamo visto sgomenti l’esercito russo attraversare il confine e dare inizio a una guerra e abbiamo sperato senza troppa convinzione che si trattasse di una semplice dimostrazione di forza per affermare la difesa etnica di regioni contese, anche se lo spiegamento di truppe attorno all’Ucraina non suggeriva un’operazione militare limitata ma ben più vasta e complessa, della quale è tuttora difficile intravedere il piano finale.
Abbiamo visto anche un Occidente, consapevole da mesi, anzi da anni degli obiettivi russi, rispondere apparentemente compatto con forniture di armi all’Ucraina e sanzioni sempre più pesanti contro la Russia, senza un coinvolgimento diretto sul terreno di scontro. Le dichiarazioni dei vertici della NATO – pietra dello scandalo per i Russi – non hanno delineato una risposta differente da quella tradizionalmente difensiva dei Paesi aderenti.
Approfondiamo alcuni elementi chiave.
- Il quadro geopolitico
L’Ucraina era un’area critica già nota, fin dalla prima «rivoluzione arancione» del 2004 per arrivare agli accordi di Minsk del 2014-15, mai interamente attuati, con tutte le premesse per il confronto attuale, ed è ora chiaro che il conflitto è soltanto il pretesto per l’affermazione di un disegno più ampio.
L’invasione mette a nudo l’evidenza che gli Stati Uniti hanno cercato di esorcizzare a partire dalla crisi ucraina di metà decennio, ovvero che la Russia non accetta più il predominio degli Stati Uniti in Europa, o meglio il disequilibrio strategico che è seguito alla dissoluzione dell’URSS con l’avanzamento sia politico sia militare dell’Occidente a guida americana verso Est, mai cessato nonostante il disimpegno degli Stati Uniti dall’Europa iniziato con Obama e ripreso da Trump.
Di fatto aver varcato il confine ucraino, a fronte della progressiva influenza occidentale dal 2014 e oggi della richiesta ucraina di ingresso nella NATO, significa per la Russia che l’equilibrio europeo va ridisegnato tenendo conto dei suoi interessi. E l’Unione Europea, basata unicamente sulla moneta, senza una costituzione, una difesa, una politica estera e una fiscalità comuni, non può che affidarsi alla NATO per la propria salvaguardia.
La guerra nelle intenzioni di Mosca certifica anche che gli Stati Uniti non sono più la prima potenza mondiale e che non è in discussione soltanto l’Europa ma l’intero teatro globale, dove altri attori premono per entrare in scena. E se il recente voto all’ONU condanna la Russia, i Paesi contrari e le astensioni rappresentano più di metà del mondo abitato. Preoccupa anche la possibile equazione Ucraina = Taiwan.
- Il sistema di valori
Il mondo occidentale nella sua attuale configurazione (Stati Uniti ed Europa) e le altre superpotenze emergenti (soprattutto Russia, Cina, India, tra le quali si sta profilando in queste ore un’inedita alleanza contro le sanzioni occidentali) non sono soltanto in competizione politico-economica e militare ma sono gli Stati-guida di grandi civiltà del passato che conservano ancora oggi una grande unità identitaria, territoriale e politica. La tesi di Samuel Huntington nel suo libro Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale ci aiuta a comprendere come «la cultura e le identità culturali – che al livello più ampio corrispondono a quelle delle rispettive civiltà – siano alla base dei processi di coesione, disintegrazione e conflittualità che caratterizzano il mondo post-Guerra fredda».
Il 1989 non ha portato ordine nelle relazioni internazionali e gli Stati, aggregati sugli elementi comuni delle proprie specifiche culture, hanno sostituito la contrapposizione Est-Ovest con un mondo multipolare. La pretesa universalistica dell’Occidente, che pure ha permeato di sé il mondo intero, appare oggi totalizzante, se non tiene conto dell’esistenza di sistemi diversi con i quali confrontarsi in maniera non distruttiva.
Inoltre anche nella crisi in corso è evidente il tentativo strumentale degli Stati Uniti (come già nel passato, ricordiamo il caso dell’Iraq) di identificare un nemico anche se indiretto (la Russia), tralasciando per ora che il suo più vicino alleato (la Cina) potrebbe costituire in futuro un problema di ben maggiore portata. Una scelta che negli anni ha fatalmente portato la Russia ad allontanarsi dall’Occidente entrando in relazione sempre più stretta con la Cina.
Da ultimo osserviamo che tra Europa e Russia potrebbe esservi una distanza minore di quanto la tesi delle civiltà contrapposte non spieghi, anche se la collocazione atlantica e i legittimi dubbi dell’Europa sul tasso della democrazia moscovita prevalgono sull’idea di un’Europa «dall’Atlantico agli Urali».
- Il paragone storico
Accostare la Russia di oggi e la sua classe dirigente alla Germania hitleriana o all’Unione Sovietica stalinista può forse servire alla propaganda, ma è ingiusto e non aiuta a comprendere le radici storiche di quanto sta avvenendo.
La Germania era uno Stato totalitario programmaticamente antidemocratico fondato sull’ideologia del sangue e della razza, l’URSS uno Stato totalitario fondato sull’ideologia marxista della lotta di classe. Entrambi si sono macchiati di genocidi di intere popolazioni, con milioni e milioni di vittime.
La Russia odierna è un’autocrazia, ma con elementi di democrazia e di apertura verso l’Occidente del tutto inesistenti nell’Unione Sovietica, inoltre è sicuramente inferiore agli Stati Uniti nel numero di azioni militari e nei danni collaterali provocati da tali iniziative in varie parti del mondo negli ultimi trent’anni.
Eppure, soltanto per fare un esempio, il pregiudizio è così radicato che un autorevole quotidiano italiano, Il Sole 24 Ore, per descrivere nelle sue cronache della guerra in corso l’esercito russo usa erroneamente il termine «Armata Rossa». Ma il ridicolo viene oggi toccato quando si cancellano dalle nostre università e centri di cultura, in nome del politically correct, l’arte, la musica e la letteratura russe.
- Le illusioni dell’Occidente
L’informazione occidentale coincide talvolta più con il tentativo di orientare l’opinione pubblica che con una corretta lettura degli avvenimenti. In innumerevoli ritratti ad esempio i nostri giornali dipingono oggi Putin, perfino nei tratti fisici, a tinte fosche e spesso a formulare il giudizio sono gli stessi opinionisti che prima ne elogiavano le doti di prudenza e moderazione. Una simile analisi rende abbastanza difficile trarre qualche elemento di verità e non aiuta a comprendere né i motivi né i potenziali autentici rischi dell’iniziativa russa.
I media occidentali hanno rilanciato a più riprese l’idea di un colpo di Stato che detronizzasse Putin. Edward Luttwak ha pure dato da intendere che a guidare questo putsch potrebbe essere Sergei Naryshkin, il capo dell’intelligence russa, personaggio improbabile visti i suoi dati biografici. Questo significa non tener conto della realtà del potere a Mosca negli ultimi vent’anni. Una sostituzione di Putin, ove si verificasse, potrebbe inoltre portare all’instaurazione di un regime ancora più autoritario e più sbilanciato verso Pechino di quanto non sia ora.
La Cina (come abbiamo già detto) è un’altra delle comode illusioni del mondo occidentale e una sua mediazione non sarebbe certamente condotta senza contropartite. Blandire Pechino (come l’Occidente fa) e bastonare la Russia toglierebbe di mezzo un potente ostacolo a una futura affermazione planetaria della Cina e questo atteggiamento degli Stati Uniti pagherebbe forse nel breve termine ma a prezzo di un esito finale disastroso.
Le sanzioni infine danneggerebbero in misura rilevante anche l’Occidente, considerando che la Russia, che produce molte materie prime, potrebbe imporre un blocco delle importazioni nei Paesi che hanno partecipato alle sanzioni. Inoltre, prima di avviare l’invasione, la Russia ha stretto accordi economici di cooperazione con la Cina che potrebbero depotenziare le misure occidentali fino a renderle controproducenti per l’Occidente e rafforzare addirittura i sistemi internazionali dei pagamenti russo e cinese.
- La lezione per noi
Il nostro mondo occidentale, quello in cui viviamo, sembra entrato in stallo, altalenante tra la declamazione vuota dei principi della nostra democrazia e libertà, lo strapotere del capitale finanziario, l’equilibrismo nelle scelte internazionali sempre alla ricerca del massimo vantaggio col minimo danno, la giustificazione di avventure militari del tutto insensate e seme di instabilità (Iraq, primavere arabe), da ultimo il procedere per emergenze, funzionali alle élite dominanti per ottenere il consenso e – secondo alcuni analisti – il controllo delle popolazioni.
Bisogna essere ciechi per non vedere che il processo democratico ha subito un arretramento e la disaffezione attraversa strati sempre crescenti delle società democratiche occidentali. Solo per fare l’esempio dell’Italia, possiamo osservare che da oltre un decennio i governi vengono formati su una base più tecnica che elettorale. E allo stesso modo non possiamo non notare che l’agenda politica viene sempre più spesso dettata dall’interventismo della finanza e delle corporazioni economiche, si tratti dell’alimentare o dell’industria farmaceutica o di altro.
La domanda oggi è: che cosa abbiamo ancora da offrire al mondo? Mentre la Russia, con una struttura di potere autocratica e un’economia oligarchica, invade senza remore quella che in modo contraddittorio considera una «terra sorella» per storia e legami etnici, a Ovest, con l’erosione dell’anima occidentale (pensiamo solo alla cancel culture) e la sua sostituzione con falsi valori cavalcati da caste altrettanto spregiudicate, siamo invasi da un totalitarismo funzionale che usa il proprio potere economico per addomesticare la politica e la società. Dobbiamo forse dare ragione a Schopenauer, quando diceva che il nulla domina il mondo?
Infine
La crisi è essenzialmente morale, e supera l’antitesi democrazia-autocrazia. Nella visione nichilista della società odierna, passata dal senso religioso al transumanesimo, la volontà di potenza supera l’arbitrio e si esprime in una sorta di nuovo culto. Questa mutazione può attraversare qualsiasi civiltà nella quale la tecnica faccia intravedere le enormi potenzialità dell’uomo ma non i pericoli per la sua stessa sopravvivenza. Il dominio delle élite tecno-economiche sui processi politici rende il quadro ancora più preoccupante, se non verrà trovato un modo per controllarle.
Un prevalere dei rapporti di forza non è, in questa crisi, la soluzione auspicabile da nessuno. Occorre che ogni parte si renda conto del rischio di devastanti conflitti che l’antagonismo in un mondo multipolare può innescare. Ma una pericolosa incapacità della diplomazia, cioè di parlarsi, minaccia oggi gli Stati coinvolti nel confronto (e non solo) e questo giorno per giorno porta ad un aumento dell’escalation militare, in un crescendo di provocazioni reciproche.
All’Occidente vale la pena ricordare che la superiorità istituzionale e tecnologica dei Romani non ha impedito che Roma crollasse sotto un’orda di Barbari. Certamente i tempi della decadenza dell’impero sono stati più lunghi prima della caduta, ma oggi possono essere drammaticamente velocissimi grazie all’accelerazione dei processi politici ed economici e alla letalità delle armi utilizzate o di potenziale utilizzo. Allo stesso modo la Russia dovrebbe rammentare la forza delle democrazie.
Secondo Huntington «la sopravvivenza dell’Occidente dipende dalla volontà degli Stati Uniti di confermare la propria identità occidentale, e dalla capacità degli occidentali di accettare la propria civiltà come qualcosa di peculiare, ma non di universale, e di unire le proprie forze per rinnovarla e proteggerla dalle sfide provenienti dalle società non occidentali. La possibilità di scongiurare una guerra globale tra opposte civiltà dipende dalla disponibilità dei governanti del mondo ad accettare la natura “a più civiltà” del quadro politico mondiale e a cooperare alla sua preservazione».
A evitare un terribile errore di prospettiva, questo obiettivo non solo potrebbe, ma dovrebbe essere raggiunto.
Immagine di apertura: Cupole del Monastero delle Grotte di Kiev, foto di Ganna Aibetova, Unsplash