Una premessa si impone, altrimenti il senso di queste considerazioni potrebbe venire travisato. Sono sempre stato europeista. Ho sempre creduto nell’Europa unita come mezzo di affermazione – o, forse più correttamente, di sopravvivenza – della cultura, della storia, della civiltà, dei valori comuni dei popoli europei, nonché dei loro interessi economici.

Da un’Europa uscita dilaniata e in gran parte distrutta dal secondo conflitto mondiale, i Padri fondatori ci hanno consegnato un’Europa più coesa, capace di far convivere e cooperare vincitori e vinti, capace di dialogare e competere come un tutt’uno con gli altri grandi blocchi presenti nello scenario geopolitico in qualità di protagonisti: gli U.S.A., il blocco sovietico e poi la Cina.

bandiera ueropea

La bandiera europea
Foto di Markus Spiske su Unsplash

Dissoltasi l’U.R.S.S., molti Paesi che gli infausti accordi di Yalta avevano relegato al di là della Cortina di ferro sono ritornati all’Europa, alla quale avevano sempre, a buon diritto, appartenuto. Forse questo ritorno è stato troppo repentino, fors’anche mal preparato; ma l’Europa non poteva rifiutare di accogliere, subito e senza condizioni, quei popoli che ad essa erano stati sottratti da regimi liberticidi e sanguinari, sottoposti alla tirannia comunista.

Nel corso del tempo, tuttavia, il grande progetto comunitario europeo si è stemperato. Dall’afflato ideale che aveva ispirato Schuman, Monnet, Adenauer e De Gasperi si è progressivamente passati all’instaurazione di un modello di composizione di interessi, prevalentemente economici, tradottosi in una struttura estremamente burocratizzata – e sclerotizzata – incapace di provvedere ai bisogni di un ordine comune, di una politica comune, specie in campo internazionale e in materia di difesa, ricevendo pressoché esclusivamente attenzione ambiti correlati all’industria e alla finanza. Fra questi, segnatamente, la disciplina della concorrenza e il governo della moneta, lasciando peraltro coesistere sacche di diseguaglianze – ad esempio in tema di politiche fiscali – la cui eliminazione, pur necessaria, non si è mai voluto affrontare per non turbare gli egoismi di Stati “canaglia” e per non dispiacere ad alcuni grandissimi gruppi industriali adusi a spostare le loro risorse ove gli oneri tributari sono più lievi e ai “poteri forti” che li accompagnano.

bandiere europee

Foto di Guillaume Périgois su Unsplash

Non, per carità, che non si tratti di materie importanti; ma sono materie che avrebbero dovuto assestarsi dopo un costante e profondo percorso teso ad uniformare gli intenti e le coscienze degli europei, mirato a creare negli uomini e nelle donne degli Stati facenti parte dell’Unione un comune sentire e una comune convinzione di essere europei, prima delle loro rispettive appartenenze ai nuclei nazionali d’origine e al disopra di queste. Insomma – per parafrasare un detto che, se non erro, Massimo D’Azeglio coniò nel nostro Risorgimento – abbiamo fatto l’Europa, ma non abbiamo fatto gli europei. Non solo: con una visione miope e poco riconoscente verso gli artefici della nostra comune civiltà, gli estensori della vigente Costituzione dell’UE hanno anche deliberatamente omesso di ricordare le profonde radici cristiane del Vecchio Continente che, nel mondo occidentale, solo gli U.S.A. ormai non si vergognano di riconoscere (“In God we trust”).

Foto di Mika Baumeister su Unsplash

Il complesso di questi fattori, marcatamente economicistici, se non spiccatamente materialistici, ha fatto degradare il rapporto di solidarietà fra europei, oggi sempre più cittadini dei singoli Stati di appartenenza e quindi, ancora una volta, divisi e portatori di interessi particolari tutelati dalle istituzioni nazionali (governi, magistrature) che altro non sono se non lo specchio delle società che le esprimono. Se l’Olanda pretende di trattare in modi diversi una catastrofe che avviene a Milano da una che avviene ad Amsterdam, o se la Germania rifiuta di riconoscere la sovraordinazione del diritto europeo rispetto al proprio diritto interno, ciò significa che l’Europa non è ancora una nazione. Ciascuno può trarne le conseguenze che crede, ma questo è un dato di fatto.

In questo modo il sogno europeo rischia di naufragare. E se sull’onda dei particolarismi e degli egoismi gretti e di bottega che soprattutto nei tempi attuali, in cui la solidarietà dovrebbe raggiungere la sua massima espressione, anche uno solo dei grandi Paesi europei dovesse cedere sotto il peso dell’indifferenza degli altri – o anche di uno solo degli altri, atteso l’incongruo e nocivo sistema unanimistico che inceppa il funzionamento delle istituzioni europee – naufragherebbe ben tosto l’Europa intera. Non facciamo finta di non rendercene conto.

Cosa fare allora? Una cosa sola: rifondare l’Europa. Mandare in pensione quel modello d’Europa che oggi appare inesorabilmente destinato al fallimento, e sostituirlo – prima che collassi – con un altro più prossimo ai princìpi e agli ideali dei Padri fondatori. Cambiare i trattati e le costituzioni. Ravvivare un fuoco che, muovendo dal basso, infiammi le coscienze individuali e la politica. In una parola: una buona volta, fare gli europei.