Immagine di Maria Giovanna Lanfranchi

Il pappagallo che sapeva parlare

Nella foresta pluviale amazzonica il sole filtra attraverso la fitta vegetazione come sottili cilindri di luce che mettono in evidenza il pulviscolo atmosferico: piccolissime, infinite particelle animate da un moto perpetuo che si librano nell’aria senza mai scontrarsi. La foresta è attraversata da un immenso fiume che scorre lentamente, abitato da una grande quantità di rettili e pesci fra cui i voracissimi piranha, capaci di divorare completamente in pochi minuti un grande mammifero avventuratosi imprudentemente in quelle acque. Nella foresta vive una miriade di animali terrestri e tantissimi uccelli. Tra questi ultimi i pappagalli trovano nel fitto della vegetazione il loro habitat ideale per proliferare e nutrirsi. Tra loro viveva una giovane famiglia di pappagalli a cui da poco si erano schiuse le uova ed erano nati tre piccoli pappagallini. Erano stati nutriti dai loro genitori con gli insetti che abbondano in quella meravigliosa foresta. I pappagallini avevano da poco imparato a volare e volteggiavano prudentemente sopra il loro nido. Il più piccolo dei tre, l’ultimo nato, era quello più incerto nel volo e lasciava malvolentieri il morbido nido. La foresta è piena di pericoli per i giovani uccelli: non c’è alcuna possibilità di salvezza se per caso o per imprudenza un piccolo non ancora capace di volare cade dal nido e precipita al suolo. Ma anche restando nel nido i piccoli uccelli non sono al sicuro. I tantissimi serpenti che vivono nella foresta sono ghiotti di uova e di piccoli uccelli neonati di cui fanno un sol boccone strisciando silenziosi e furtivi sugli alberi fino ai rami più piccoli. Da quando l’uomo è penetrato nei posti più reconditi della foresta i pericoli sono notevolmente aumentati. Non solo l’uomo taglia scriteriatamente gli alberi mettendo sempre più a repentaglio il fragile ecosistema della foresta ma cattura gli animali, in particolare quelli che possono essere venduti in tutto il mondo. I pappagalli sono la specie più richiesta dal mercato globale. Uomini privi di scrupoli e spinti solo dal desiderio di acquisire facili ricchezze, incuranti dei danni che provocano, avanzano a colpi di machete nella fitta boscaglia, muniti di grandi reti.

 

È questo che accadde al piccolo pappagallo che non aveva ancora imparato a volare bene. Rimasto intrappolato in una rete, separato dai propri genitori e fratelli, venne rinchiuso insieme ad altri pappagalli a lui sconosciuti in una gabbia dove c’erano una piccola ciotola per l’acqua ed un’altra piena di piccoli semi e vermetti per nutrirsi. Per il nostro piccolo pappagallo incominciò un lunghissimo viaggio che lo portò in un negozio di animali di una citta lontanissima dalla foresta in cui era nato. Venne acquistato da una famiglia come regalo di compleanno di un piccolo bambino. Questa famiglia era composta da un papà, da una mamma, da una bambina e da un bambino che festeggiava quel giorno il suo compleanno. La famiglia viveva all’ultimo piano di un palazzo situato su una collina che rappresentava il punto più alto della città. Appena giunti a casa, il papà ricordò che il pappagallo era il regalo di compleanno del bambino che si chiamava Gio: sarebbe stato lui ad occuparsi del pappagallo, a provvedere a dargli da mangiare tutti i giorni, a dargli l’acqua da bere ed a pulire la gabbia. Passarono le settimane ed i mesi. Il bambino ed il pappagallo passavano molto tempo insieme, si scambiavano in continuazione sguardi di amicizia e solidarietà, crescevano insieme. Il pappagallo in realtà cresceva molto rapidamente e non entrava più nella gabbia. Fu deciso pertanto di metterlo su un trespolo con una sottile catena fissata da una parte su una zampa e dall’altra al trespolo in modo che potesse fare solo piccoli voli intorno e non potesse fuggire.

 

Il piumaggio aveva assunto il colore definitivo. Le piume del petto erano di un giallo ocra che richiamava il colore del becco.

Foto di Couleur da Pixabay

Quelle delle ali avevano simmetricamente tutte le tonalità del blu: dal lapislazzulo al blu metallizzato e via via fino al blu notte. Quelle del dorso invece erano delle varie tonalità del verde mentre nel collo erano nere e richiamavano il colore dei piccoli e vivacissimi occhi. Anche Gio era cresciuto e con grande sorpresa e dolore non aveva imparato a parlare. Riusciva solo ad emettere pochi suoni gutturali senza riuscire a formulare parole complete. Fu visitato dai migliori specialisti e la diagnosi fu concordemente spietata: era affetto da una rara malattia malformativa per cui la laringe non si sviluppava normalmente ed alle sue corde vocali non giungevano i normali impulsi per formulare correttamente le parole. Gio era intelligentissimo, capiva perfettamente quello che gli altri dicevano, stava sviluppando una spiccatissima sensibilità e capacità alternative sorprendenti per cui riusciva perfettamente a farsi capire dagli altri. Al momento però non erano disponibili strumenti elettronici capaci di trasformare i suoi pensieri o i suoi suoni inarticolati in parole comprensibili. Qualunque cosa facesse: studiare, giocare, correre nei parchi il pappagallo era unito dalla sottile catena tra la zampa del pappagallo ed il polso di Gio. Nei pomeriggi di bel tempo salivano insieme sulla terrazza dove il bambino guardava la città. Riconosceva gli edifici dove si svolgevano gli eventi più importanti ed i palazzi dove vivevano tante famiglie come la sua.

 

Gio amava fantasticare ed immaginava la vita di tutte quelle persone: le loro gioie, i loro piccoli e grandi affanni. Il bambino e il pappagallo si scambiavano intensi e prolungati sguardi di intesa e sembrava che l’uccello riuscisse a capire lo stato d’animo e quello che Gio cercava di comunicargli. Improvvisamente e con infinita sorpresa dei suoi famigliari, una sera mentre erano tutti raccolti a tavola per la cena, il pappagallo cominciò a parlare. Quando la madre chiese a Gio se voleva ancora un po’ di pasta il pappagallo, che aveva scambiato con il bambino un rapido sguardo, rispose che si ne voleva ancora un po’ perché quella pasta era buonissima, la sua preferita. Il pappagallo non parlava con la solita voce monotonale un po’ metallica tipica degli animali della sua specie. Non ripeteva soltanto le parole che ascoltava come fanno alcuni pappagalli. No, il pappagallo parlava mentre guardava il bambino proprio con la voce che sarebbe dovuta essere quella di Gio. Il rapporto tra i due divenne sempre più intenso, la loro intesa sempre più stretta. Il pappagallo viveva in simbiosi con Gio, lo seguiva dappertutto. Un giorno mentre passeggiavano in un parco il bambino guardò intensamente il pappagallo, apri gli anelli della catena che li teneva uniti sicuro che non sarebbe fuggito. Il pappagallo volò in alto oltre gli alberi, Gio lo seguiva con lo sguardo con molta apprensione. Ma dopo un rapido volo tornò docilmente a posarsi sulla spalla del suo amico. Si guardarono intensamente e l’uccello strofinò delicatamente il suo becco sul naso del bambino.

 

Passarono mesi ed anni, il pappagallo aveva notevolmente arricchito il suo vocabolario, guardava Gio, articolava intere frasi interpretando perfettamente quello che il bambino voleva dire. I1 pappagallo era diventato la voce di Gio. Lo seguiva anche a scuola e guardando fisso negli occhi il bambino rispondeva alle domande della maestra. Passarono ancora altri anni. Un giorno lo specialista che seguiva Gio da molto tempo disse che era stata messa a punto una nuova tecnica chirurgica sperimentale. Si trattava di sostituire la laringe di Gio, che non aveva mai funzionato, con un organo artificiale. Il medico precisò che si trattava di una tecnica sperimentale, provata solo in pochi casi con risultati alterni e non garantiti. Erano possibili rigetto ed infezioni. Non avrebbero dovuto acconsentire subito, anzi era preferibile che riflettessero a lungo prima eventualmente di dare il consenso. Seguirono giorni di grande angoscia per la famiglia. In casa non si parlava d’altro. La mamma ed il papà ne discutevano tra loro a voce bassa quando Gio e la sorella dormivano nelle loro stanze. Un giorno dopo cena il papa e la mamma, mentre erano tutti ancora a tavola, dissero che loro erano favorevoli a provare l’intervento ma che Gio era ormai sufficientemente grande per esprimere il suo parere. Il bambino, ormai diventato ragazzo, guardò intensamente il suo inseparabile pappagallo e questi senza esitare parlando come ormai era abitudine al posto di Gio disse che era favorevole, che era giusto assumersi i rischi della scelta.

 

Fu deciso l’intervento e Gio ottenne, in via del tutto eccezionale, che il pappagallo lo potesse seguire in ospedale, del resto

Foto di Martin Lopez da Pexels

sarebbe stato prezioso per comunicare con i medici e gli infermieri. Seguirono giorni di grande trepidazione per Gio, per tutta la sua famiglia e per l’inseparabile pappagallo. Fu necessaria una lunga rieducazione e poi finalmente una mattina Gio comincio a parlare. Con grande sorpresa di tutti la sua voce era identica a quella del pappagallo. Finalmente tornarono a casa. Gio faceva progressi sorprendenti, ormai parlava correttamente e senza incertezze. Il pappagallo seguitava a vivere in simbiosi con il suo amico, erano rimasti inseparabili. Ma dal giorno in cui Gio aveva cominciato a parlare il pappagallo era rimasto muto. Gio si rivolgeva a lui continuamente, affettuosamente, gli poneva domande ma il pappagallo rimaneva muto. Era stato capace di interpretare perfettamente i pensieri del bambino divenuto ragazzo, diventare la sua voce, ma non era stato capace di elaborare un pensiero autonomo. Passarono ancora alcuni anni. Una notte d’estate Gio decise di salire con il pappagallo sulla terrazza a vedere le stelle. Gio si addormento sulla sdraia da cui vedeva le stelle con il pappagallo vicino a lui. Dopo qualche ora si svegliò ma il pappagallo non c’era più. Alzò gli occhi al cielo ed in un punto buio era comparsa una costellazione che non aveva mai visto: rappresentava un pappagallo.

Pino Pappalardo

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