“Non torniamo a una normalità malata”, questo il titolo dell’editoriale di don Luigi Ciotti per un dossier migrazioni, pubblicato alcuni mesi fa come numero del periodico Lavialibera, diretto dallo stesso don Ciotti. Nel dossier sono raccolti in particolare molti dati numerici sulle migrazioni, una realtà fortemente concentrata nel Sud del mondo, e che solo per il 15% raggiunge il Nord, inclusa l’Europa. Il Mar Mediterraneo si caratterizza come uno dei maggiori separatori tra Sud e Nord del mondo, e costantemente luogo di emergenze e tragedie legate alle migrazioni.

Mancano risposte adeguate da parte dell’Unione Europea. Troppo diverse sono le posizioni dei 27 stati membri, e in vari casi sembra che l’affacciarsi o meno sul Mar Mediterraneo sia un elemento influente. I tre regolamenti di Dublino, relativi alle richieste d’asilo in uno dei stati membri, e sottoscritti da vari paesi tra i 27 a partire dagli anni novanta, hanno mostrato di essere uno strumento ampiamente insufficiente. I quattro paesi del gruppo di Visegrad hanno dichiarato l’indisponibilità a una revisione degli accordi di Dublino intesa a una gestione europea più condivisa.

Uno sguardo al confronto tra l’andamento demografico di prospettiva dei continenti africano e europeo, insieme ad altre drammatiche realtà (come l’incremento di siccità e desertificazione in aree del continente africano, in conseguenza del riscaldamento globale), evidenzia la certezza di una crescita nei prossimi decenni della pressione migratoria verso l’Europa.

Molti sono stati i tentativi di superare la logica dei regolamenti di Dublino, fino alla presentazione il 23 settembre 2020 del Nuovo Patto sulla migrazione e sull’asilo da parte della Commissione europea il cui iter, in un contesto di persistente opposizione di alcuni stati, lo ha portato a mantenere sostanzialmente la stessa intelaiatura di quei provvedimenti che voleva superare. Recentissimo il colloquio del 26 maggio scorso tra Draghi e Macron, a margine di un Consiglio europeo, inteso a rafforzare l’intesa italo-francese sulla gestione dei flussi migratori e sui rapporti con la Libia, e in vista di un prossimo Consiglio europeo che abbia la questione migranti all’ordine del giorno.

Nel 1950, nella prospettiva della ricostruzione dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale, lo statista Theodor Heuss, primo Presidente della Repubblica Federale di Germania, e guardando al ruolo della civiltà occidentale, affermò che essa si fonda su tre colli: l’Acropoli di Atene, il Campidoglio di Roma, e il Golgota, e che i tre colli costituiscono un unico riferimento. Come sappiamo, la collaborazione economica avviata nel 1951 tra sei paesi europei ha gradualmente portato nei decenni successivi a quella che è probabilmente la più significativa edificazione della ricostruzione postbellica.

Theodor Heuss e Konrad Adenauer, da Wikimedia Commons
Bundesarchiv, B 145 Bild-F006929-0004 / Rolf Unterberg / CC-BY-SA 3.0

Tra i padri fondatori del progetto europeo sono ricordati Konrad Adenauer, Cancelliere della Germania Federale dell’epoca, il nostro Alcide De Gasperi, e naturalmente molti altri.

Si può osservare che i tre colli fondanti della civiltà occidentale, e dunque del progetto europeo, si affacciano tutti sul Mar Mediterraneo, e che comunque il loro valore per il mondo supera ogni considerazione geografica. Si può anche osservare che, come negli anni della ricostruzione postbellica, anche il mondo di oggi, da ricostruire nella prospettiva del dopo pandemia, ha bisogno di visioni profonde e positive per affrontare le molte attuali grandi sfide.

Il 28 maggio scorso, al Global Solutions Summit 2021 tenuto a Berlino, il Presidente Draghi ha sottolineato come l’attuale emergenza globale sanitaria ci ha insegnato che è impossibile gestire un problema mondiale attraverso la ricerca di soluzioni domestiche.

Mario Draghi, da Creative Commons
World Economic Forum / CC BY-NC-SA 2.0

Draghi ha aggiunto che nell’anno della sua Presidenza del G20, l’Italia è determinata a guidare il necessario cambio di paradigma, da applicare anche ad altre decisive sfide, come i cambiamenti climatici e le disuguaglianze globali, poiché “il mondo ha bisogno dell’intero mondo, non di una collezione di singoli stati”.

L’evoluzione del divario tra Nord e Sud del mondo, le migrazioni, il superamento globale della pandemia sono certo tra le più grandi sfide dei prossimi anni e decenni.

Visioni come quelle autorevolmente espresse da Theodor Heuss e da Mario Draghi, a settant’anni di distanza una dall’altra ma entrambe nella prospettiva di una ricostruzione del mondo, devono avere la forza di prevalere su ogni concezione frammentaria e individualista. Non sembra che vi siano molte alternative.