Non è una risposta al fulmicotone, quella che i leader ‘europeisti’ dei Paesi Ue danno ai risultati, per molti versi allarmanti, delle elezioni europee del 9 giugno. Con le polveri un po’ bagnate, i 27 non finalizzano, nella riunione informale del 17 giugno, l’intesa sul rinnovo dei vertici istituzionali dell’Unione europea. Popolari, socialisti e liberali, tre forze politiche pro-integrazione, definiscono una bozza d’accordo da perfezionare nella riunione formale del Consiglio europeo il 27 e 28 giugno.

E’ importante che l’intesa maturi prima delle elezioni politiche francesi, il 30 giugno e il 7 luglio, convocate dal presidente Emmanuel Macron, che, dopo il voto europeo, ha inopinatamente sciolto l’Assemblea nazionale: infatti, gli assetti di potere francesi che potrebbero scaturire dalle urne complicherebbero una trattativa ancora aperta.

Sui fronti di guerra, in Ucraina e Medio Oriente, di pace ne esce ben poca, dalla staffetta dei Vertici tra il G7 in Puglia, da giovedì a sabato scorsi, e l’incontro nel fine settimana, in Svizzera, sul lago dei Quattro Cantoni. Nelle dichiarazioni dei leader, c’è retorica a bizzeffe e poco altro: la richiesta di fondo resta il rispetto dell’“integrità territoriale” dell’Ucraina invasa.

 

G7, Svizzera, Ue: flop sulla pace
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky dice che in Svizzera “si fa la storia”. Ma le conclusioni della conferenza, cui partecipano oltre 90 Paesi, per lo più occidentali o filo-occidentali, non fa l’unanimità: 80 delegazioni circa lo avallano, una dozzina no; ma quella dozzina, con dentro India, Indonesia, SudAfrica, Brasile, Messico, demograficamente pesano di più di tutte le altre.

Il Vertice della Pace si conclude con l’impegno a farne un altro. Che, magari, se ci saranno la Russia e la Cina, questa volta assenti, sarà una cosa seria. Quando? Per i più ottimisti “prima di novembre”, cioè prima delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Berna è disponibile a ospitarlo, ma bisogna vedere l’evoluzione dei rapporti di forza sul terreno e degli sviluppi politico-diplomatici. Un punto a favore di Kiev è la decisione dei 27, formalizzata il 21 giugno, di aprire il negoziato per l’adesione all’Ue di Ucraina e Moldova.

Quanto all’altra guerra, in Medio Oriente, tra Israele e Hamas, nessuna iniziativa è scaturita dal G7, a parte scontati appelli al cessate-il-fuoco, alla liberazione degli ostaggi, alla moderazione verso i civili, alla distribuzione degli aiuti. Ma il fragore dei combattimenti nella Striscia di Gaza era troppo forte perché i contendenti potessero sentirli.

Dal doppio appuntamento G7 / Vertice della Pace, la compattezza del sostegno dell’Occidente all’Ucraina esce comunque confermata, nonostante l’Europa viva un momento di grandi incertezze, dopo i risultati delle elezioni. Il voto ha dato uno scossone agli equilibri politici tedeschi: i partiti della coalizione al governo ne sono usciti tutti pesantemente sconfitti; i cristiano-sociali hanno vinto; i neo-nazisti dell’AdF sono diventati la seconda forza. In Francia, la destra ha più che doppiato il partito di Macron e, alle urne delle politiche, si profila uno scontro dal sapore Anni 30 fra destre estreme e Fronte popolare. Anche in Gran Bretagna l’appuntamento elettorale è imminente, il 4 luglio.

In queste condizioni, era impossibile attendersi sviluppi significativi su qualsiasi fronte dal G7, che ha infatti prodotto un documento di 36 pagine – la legge dei Vertici è che i documenti più sono lunghi meno sono significativi –; riflessioni stimolanti ma zero decisioni sull’intelligenza artificiale, anche grazie allo straordinario contributo di Papa Francesco; passi indietro rispetto all’anno scorso sui diritti, motivo di frizione fra la presidenza di turno italiana e la Francia; affermazioni ripetitive sull’economia e sui commerci, sulla democrazia e sull’immigrazione. L’Italia ha presentato ai Grandi il suo Piano Mattei per l’Africa, ricevendone un’attenzione di cortesia.

 

Ue: primo round post voto, Meloni e le destre emarginati
Per gli analisti della Cnn e di Politico, Il G7, con leader europei costretti ad equilibrismi per restare in sella, meritavano questo titolo: “Sei anatre zoppe e Giorgia Meloni”. Ma proprio Meloni finisce ai margini del negoziato sui nuovi vertici delle Istituzioni europee perché – dice il premier polacco Donald Tusk senza mezzi termini – “le nomine si possono decidere anche senza Meloni”. Tusk, popolare, ha scalzato dal potere in Polonia i conservatori alleati di FdI nell’aula di Strasburgo.

Il cancelliere tedesco Olaf Scholz dice “No” a una Commissione “con il sostegno delle destre’, Macron vede l’accordo “vicino”, prima del voto in Francia. Per il premier croato Andrej Plenkovic, non ci sono “voci” nel Consiglio europeo “che possano mettere in discussione” un secondo mandato di Ursula von der Leyen. Il presidente uscente del Consiglio europeo Charles Michel, che non è certo un fan di von der Leyen, prospetta un “patto di legislatura” tra Commissione e Parlamento.

E, invece, il premier ungherese Viktor Orban, dopo un lungo consulto bilaterale con Meloni, dice che “la volontà dei cittadini europei viene ignorata”, perché i leader, nel distribuire le poltrone, “non si preoccupano della realtà”: “Continueranno a sostenere l’immigrazione e a inviare ancora più denaro e armi alla guerra tra Russia e Ucraina. Non ci arrenderemo a tutto ciò! Uniremo le forze della destra e ci batteremo contro i burocrati favorevoli all’immigrazione e alla guerra”.

Dopo il primo round, c’è una bozza di intesa per confermare alla presidenza della Commissione UvdL, tedesca, e del Parlamento europeo Roberta Metsola, maltese, entrambe popolari, Alla presidenza del Consiglio europeo si prevede l’ex premier portoghese Antonio Costa, socialista; a capo della diplomazia europea la premier estone Kaja Kallas, liberale o, in alternativa, il premier belga dimissionario Alexander De Croo, se il profilo di Kallas dovesse apparire troppo anti-russo. Uno dei punti di frizione è la richiesta dei popolari di un’alternanza a metà legislatura alla guida del Consiglio europeo, come avviene per il Parlamento europeo.

L’accordo fra i leader non esclude che UvdL debba poi garantirsi una maggioranza in Parlamento, al riparo da franchi tiratori e ostilità personali: nel 2019 una maggioranza sulla carta larghissima si ridusse a nove voti, con l’apporto determinante e non calcolato del M5S italiano.

Quest’anno, la ruota di scorta potrebbe essere proprio rappresentata da FdI, per oliare i cui voti UvdL, secondo fonti di stampa bruxellesi, smentite dalla Commissione, avrebbe insabbiato l’uscita di rapporti critici verso l’Italia sul rispetto dei diritti e dei valori fondamentali. Per contro, sempre rumors da Bruxelles riferiscono di misure per colpire la Francia, se scegliesse un governo di destra; ed è ancora aperta la grana della presidenza di turno del Consiglio dei Ministri dell’Ue, che dovrebbe passare all’Ungheria dal 1° luglio.

La moneta di scambio per Meloni potrebbe essere il minimo sindacale per un Paese importante come l’Italia: un posto da vice-presidente della Commissione, con un portafoglio significativo, l’economia, la concorrenza, la difesa o l’immigrazione: gli ultimi due sono scatole attualmente vuote; l’economia era già italiana con Paolo Gentiloni nella passata legislatura; la concorrenza dà molto potere – scomodo, per gli interessi italiani – e poca visibilità.

 

Ue: elezioni europee, i Grandi svoltano a destra, l’Europa tiene la barra al centro
Manovre e trattative si svolgono nella scia dell’esito delle elezioni europee: dei terremoti nazionali, ma, complessivamente, una relativa stabilità. Nei maggiori Paesi dell’Unione europea, solo in Italia e in Polonia le forze al potere vincono. Invece nel Parlamento europeo si sposta relativamente poco: il gruppo del Partito popolare europeo resta il maggiore dell’Assemblea e aumenta i propri seggi d’una decina. Il gruppo del Partito socialista compensa la disfatta tedesca in Italia, Spagna, Francia e altrove: perde qualche colpo, ma resta secondo. E i liberali, che accusano l’emorragia maggiore, causa il tracollo francese, sono sempre terzi, pur scendendo da oltre cento a circa 80 eurodeputati. In caduta quasi libera i Verdi, quarta forza europeista dell’Assemblea di Strasburgo.

L’affluenza alle urne si attesta intorno al 50% – l’Italia è sotto la media -, su valori simili al 2019 (50,7%). Risultati e partecipazione sono indici univoci: gli europei sono generalmente insoddisfatti dei loro governi e dell’Unione e danno retta alle ricette populiste su economia e immigrazione. Politico scrive che l’Unione “vira a destra” e sta vivendo un suo “momento Trump”: il voto “ridisegna il panorama politico europeo”. Pessimista l’analisi del Washington Post: “La destra è qui per restare”.

La campagna elettorale è stata fortemente polarizzata quasi ovunque, carica di tensioni e violenze: il ferimento del premier slovacco Robert Fico, l’aggressione alla premier danese Mette Frederiksen, le minacce di morte al premier polacco Donald Tusk, un morto e feriti in scontri in Germania. L’esito è un voto da cui praticamente solo in Italia e in Polonia i governi escono consolidati. Altrove, dove sono al governo, sovranisti ed euro-scettici vanno male, dall’Ungheria alla Slovacchia, dall’Olanda alla Svezia.

In questa ridda di risultati spesso contraddittori da Paese a Paese, la crescita dei partiti di destra, critici verso l’Unione o decisamente contrari all’integrazione, non si traduce nella capacità di offrire alternative di maggioranza in Europa. Ma l’assetto dell’Assemblea di Strasburgo non è ancora chiaro del tutto: ci sono un centinaio di euro-deputati senza collocazione certa, fra cui i tedeschi dell’AfD, gli italiani del M5S, gli ungheresi del partito del premier Orban. Quando, e se, troveranno una collocazione i rapporti di forza fra i gruppi potrebbero modificarsi.

 

Ue: elezioni europee, un terremoto in Germania e in Francia
I dati tedeschi e francesi sono impressionanti. In Germania, la Cdu/Csu centrista, raggiunge il 33% e ha oltre il doppio dei voti dell’AfD neo-nazista, seconda davanti all’Spd socialdemocratica ferma sotto il 15%. I Verdi scendono al 12%. Le forze che compongono l’attuale maggioranza – Spd, Verdi e liberali – raccolgono meno di un voto su tre. Nessuno chiede le dimissioni del cancelliere Olaf Scholz, ma il governo è chiaramente indebolito.

Il Francia, il Rassemblement National di Marine Le Pen, guidato alle urne da Jordan Barella, tocca il 31,5% ed è il primo partito: ha più del doppio dei voti di Renaissance di Macron, sotto il 15%. Macron tira subito le conseguenze dal voto: scioglie l’Assemblée e indice elezioni per il 30 giugno, con ballottaggio il 7 luglio. Il presidente scommette sull’ ‘esprit républicain’ che finora ha sempre relegato all’opposizione e marginalizzato l’estrema destra: al ballottaggio, c’è una maggioranza degli elettori che sbarra la strada al Rassemblement National.

Bisogna vedere se il fenomeno si verificherà anche questa volta, perché l’insoddisfazione espressa dagli elettori è molto forte e investe le politiche economico-ambientali e dell’immigrazione, oltre che forse anche l’atteggiamento di Macron nei confronti delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente. E, in ogni caso, la composizione dell’Assemblée rischia di essere frammentata, in una Francia che non ama le coalizioni. Per Politico, la destra trae vantaggio dal fatto che “la Francia odia Parigi”. Per Macron, il Paese “ha bisogno di una maggioranza chiara per agire con serenità e concordia”: non è sicuro che la trovi nel voto indetto in tutta fretta. La sinistra ritrova l’unità in una riedizione del Fronte popolare.

In Spagna, si ripete, in sostanza, il risultato delle politiche: i popolari avanti, i socialisti dietro (ma capaci di alleanze), Vox all’estrema destra in crescita. In Polonia la Coalizione civica (Ko) di Tusk supera i conservatori di Diritto e Giustizia.

Negli altri Paesi, i risultati sono variegati, sempre influenzati dai fattori nazionali: il voto europeo resta, essenzialmente, un mosaico di referendum nazionali sulla popolarità del governo. In Belgio, dove europee e politiche sono abbinate, il premier liberale Alexander De Croo si dimette in lacrime: il suo partito esce sconfitto, nelle Fiandre al Nord vincono gli estremisti di destra separatisti; al Sud, in Vallonia, sono avanti centristi e socialisti. La spaccatura linguistica fra fiamminghi e francofoni s’interseca con il crinale politico: non è una novità assoluta.

 

Ue: elezioni europee, sostanziale stabilità nel Parlamento europeo
Ai terremoti nazionali, si contrappone una sostanziale stabilità a livello europeo: la maggioranza che nel 2019 diede l’investitura alla presidenza della Commissione europea alla popolare tedesca Ursula von der Leyen, è sopra i 400 seggi su 720 – la soglia di maggioranza è 361 -, indipendente da quella che sarà la collocazione del centinaio di euro-deputati al momento non collocati.

Le attribuzioni dei seggi, che salgono da 705 a 720, non sono ancora definitive: al Ppe ne vengono ora attribuiti 184, più degli attuali; ai socialisti 139, meno degli attuali – guadagni e perdite sono minimi -. I liberali, invece, scendono in modo netto, da 102 a 82 seggi; i verdi in modo ancora più netto, da 72 a 52. Il gruppo delle sinistre euro-critiche è piuttosto stabile, poco sotto i 40 seggi.

L’avanzata delle destre non si traduce, in prima battuta, in grossi rafforzamenti dei loro gruppi: salgono da 67 a 73 i conservatori di Ecr, dove Fratelli d’Italia compensa largamente l’arretramento dei polacchi; scendono, addirittura, da 59 a 58 i sovranisti xenofobi di Identità e democrazia, ma solo perché scontano l’espulsione dai loro ranghi dei neo-nazisti di AfD.

Nel Parlamento europeo, la maggioranza composta da popolari, socialisti e liberali è per molti versi l’unica percorribile: se il Ppe guardasse a destra, non si raggiungerebbero i 361 seggi; e lo stesso vale se Ppe e liberali aprissero ai conservatori. I socialisti escludono di collaborare con conservatori e sovranisti. I verdi subordinano l’appoggio alla coalizione europeista a impegni sul Green Deal.

Manfred Weber, Cdu, tedesco, capogruppo dei popolari, prospetta una nuova alleanza pro-europea e rilancia la candidatura di von der Leyen a un secondo mandato (la designazione spetta, però, ai capi di Stato e di governo). Pedro Marques, portoghese, ‘numero due’ dei socialisti, dice che “l’importante è plasmare un programma per la Commissione” che trovi la coalizione d’accordo.

Il Parlamento europeo dell’ultima legislatura ha lasciato un numero consistenti di provvedimenti non approvati: sulle 119 proposte in discussione a Bruxelles, solo 52 sono già state discusse e votate dall’Assemblea di Strasburgo e ‘consegnate’ al Consiglio dei Ministri. Sul fronte economico, la Bce dà il suo viatico alla nuova legislatura abbassando dello 0,25% il costo del denaro. La presidente Christine Lagarde non offre, però, garanzie sui prossimi passi: “Decideremo volta per volta”.