Dopo 40 giorni di stasi della diplomazia, un’intera quaresima di lutti e di devastazioni, la Francia e la Germania e pure l’Italia rimettono in fermento la ricerca della pace in Ucraina; e cercano spazi d’autonomia europea rispetto alla linea rigida di Stati Uniti e Gran Bretagna. Il momento di svolta è un 9 Maggio dai molteplici aspetti; i segnali di ripartenza dei tentativi di rivitalizzare il negoziato vengono da una serie di contatti in rapida successione.

Tra lunedì e martedì, il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz incontrano in video-conferenza il presidente cinese Xi Jinping e s’incontrano fisicamente a Berlino, in quella che è ormai tradizionalmente la prima visita all’estero di un presidente francese – Macron è fresco di rielezione -; e il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi va a Washington, dove viene ricevuto nello Studio Ovale dal presidente Usa Joe Biden.

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I fermenti della diplomazia non impediscono alla guerra di continuare a generare dolore e terrore, mentre la Bielorussia alza la tensione e minaccia di aprire un nuovo fronte, schierando forze speciali alle frontiere con l’Ucraina. Una mobilitazione difensiva – dice Minsk –: Kiev avrebbe rafforzato con 20 mila uomini le sue postazioni sul confine. E alla galleria degli orrori del conflitto si aggiunge la notizia di un numero imprecisato di cadaveri di soldati russi abbandonati senza sepoltura “per le strade e nelle case”, quando le truppe di Mosca si sono ritirate dalle regioni di Kiev e Kharkiv; la tv araba Al Jazeera segnala corpi ammassati nel vagone frigorifero di un treno nei pressi di Kiev. Fonti ucraine dicono: «Non li hanno presi con sé, li hanno lasciati nelle discariche… Noi trattiamo i morti dei nemici meglio di come loro trattano i civili».

In un’audizione al Senato, il generale Scott Berrier, responsabile dell’intelligence militare Usa, nota che «la guerra è in stallo e potrebbe restarlo a lungo: ora come ora, non stanno vincendo né i russi né gli ucraini e non vi sono segnali di svolta imminente». Che cosa bisogna fare, gli viene chiesto. «La cosa giusta è ‘Wait and see’», aspettare e vedere – tanto, mica muoiono degli americani ndr -. Ma Francia e Germania e Italia e gran parte dell’Unione europea avvertono l’urgenza della pace e l’angoscia di un conflitto che allunga sul Mondo interno lo spettro di un’emergenza alimentare.

Il 9 Maggio: Putin l’aggressore sulla Piazza Rossa…

Negli anni scorsi, il 9 Maggio in Italia era la giornata della memoria delle vittime del terrorismo, scelta dal Parlamento con un riflesso solipsistico, pensando all’assassinio di Aldo Moro, quando l’attacco allo Stato delle Brigate rosse raggiunse il punto più alto – ho sempre pensato che sarebbe stato meglio scegliere il 16 marzo, il giorno del rapimento di Moro e della strage dei cinque agenti della sua scorta.

O al massimo, per noi europeisti, era la Festa dell’Europa, l’anniversario della dichiarazione con cui Robert Schuman, ministro degli Esteri francese, lanciò nel 1950 il processo d’integrazione europea proponendo a Germania e Paesi del Benelux di mettere in comune le produzioni di carbone e acciaio – modo per tenere sotto controllo, se mai ci fossero, tentazioni di riarmo della Germania -. Schuman scelse il 9 Maggio perché in Europa occidentale la fine della Guerra si celebra l’8 maggio – per noi, in Italia, quella festa è il 25 aprile -.

Prestavamo poca attenzione al 9 Maggio come giornata della vittoria dell’Urss sul nazismo, apice dell’orgoglio nazionale russo: una foto in Esteri della parata militare sulla Piazza Rossa, immancabilmente aperta dai reduci della Seconda Guerra Mondiale, sempre di meno e sempre più mal in arnese, ma circondati dal rispetto e quasi dalla venerazione delle generazioni successive.

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Quest’anno, invece tutta l’attenzione era puntata sul 9 Maggio della Piazza Rossa: dopo l’invasione dell’Ucraina, all’inizio si sperava che potesse essere il giorno della pace; oppure, si temeva che potesse essere il giorno della dichiarazione “di guerra totale” della Russia all’Ucraina. Non è stato nè l’uno né l’altro: il presidente russo Vladimir Putin ha evitato escalation verbali e non ha evocato la minaccia di un conflitto nucleare, ma non ha neppure fatto concessioni negoziali.

Certo, c’è stata la solita parata di missili e carri, di uomini e donne in armi, truci gli uni, smaglianti le altre; e gli attacchi agli Stati Uniti definiti il ‘Grande Satana’, come ai tempi della Guerra Fredda; la cantilena dell’”argine al nazismo”. Ma nel cielo non sono volati gli aerei in formazione a formare la Z dell’invasione, nonostante le prove dei giorni precedenti.

«L’orrore di una guerra globale non deve ripetersi», ha detto Putin. E ha ripetuto le ‘sue’ ragioni dell’aggressione all’Ucraina: «La Russia è sempre stata favorevole a creare un sistema di sicurezza indivisibile, ma la Nato non ha voluto ascoltarci». Mosca avrebbe risposto a «una minaccia diretta vicino ai confini russi», perché «un attacco era stato preparato, anche alla Crimea». «La nostra è stata un’azione preventiva, una decisione necessaria e assolutamente giusta», perché «il pericolo cresceva ogni giorno … Se ci fosse stata una sola possibilità di risolvere la questione ucraina pacificamente, l’avremmo usata».

Nella giornata delle retoriche contrapposte, quella russa sulla Piazza Rossa e quella dell’Ue che celebra a Strasburgo la Festa dell’Europa, Putin non può cantare vittoria sull’Ucraina, perché l’invasione, già ridimensionata e concentrata nell’arco sud-orientale del Paese, da Kharkiv a Odessa passando per il Donbass e Mariupol, incontra una resistenza ostinata e ben superiore alle attese. Ma il presidente non ha “alcun dubbio” sull’esito dell’aggressione: quella che lui chiama ‘operazione militare speciale’ “produrrà risultati”. Quali e quando restano pesanti incognite, mentre il bilancio delle perdite s’aggrava ogni giorno.

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Di qui, l’omaggio alle truppe e l’onore ai caduti: «Compagni ufficiali e sotto-ufficiali, compagni generali e ammiragli, mi congratulo con voi nel 77o anniversario della Grande Vittoria … Anche ora voi combattete per la nostra gente nel Donbass, per la sicurezza della nostra patria». Putin aggiunge: la morte di ogni soldato e ufficiale è una “perdita irreparabile” e il governo russo farà «tutto il necessario per aiutare le loro famiglie».

Nel Giorno della Vittoria, le operazioni militari non sono cessate. Ma non c’è stata, come si temeva, una pioggia di fuoco. Celebrazioni filorusse con partecipazioni sparute si sono svolte a Mariupol e nel Donbass – “carnevalate”, le hanno definite le fonti ucraine -, mentre Kiev ha smorzato i toni d’una ricorrenza di solito celebrata anche in Ucraina.

In un video girato nelle vie della capitale ucraina, il presidente Volodymyr Zelensky parla di Putin, senza mai nominarlo: «Solo un pazzo può sperare di ripetere i 2194 giorni di guerra» della Seconda Guerra Mondiale, «quello che sta ripetendo oggi gli orribili crimini del regime di Hitler, adottando la filosofia dei nazisti e replicando tutto quello che fecero. È condannato. Perché è stato maledetto da milioni di antenati quando ha cominciato ad imitare il loro assassino. E perderà tutto».

Il 9 Maggio: i leader europei a Strasburgo, con Kiev ma non in guerra con Mosca
Al Putin inaspettatamente moderato, o quanto meno più pacato di quanto ci s’attendeva, hanno fatto eco, da Strasburgo, le voci dei leader europei, che hanno chiuso una Conferenza sul futuro dell’Europa butterata e frenata dalla pandemia prima e dalla guerra poi. Macron, presidente di turno del Consiglio dell’Ue, è stato misurato: «Aiutiamo Kiev ma non siamo in guerra con la Russia… Domani, avremo una pace da costruire e dovremo farlo con Ucraina e Russia attorno al tavolo. Ma questo non si farà né con l’esclusione reciproca, e nemmeno con l’umiliazione» di Mosca.

Una moderazione che cozza coi toni di Stati Uniti e Gran Bretagna, che tendono a soffiare sul fuoco e ad allontanare il dialogo, nella prospettiva del conflitto che “durerà mesi, forse anni” – un mantra di Biden e del premier britannico Boris Johnson e del segretario generale dell’Alleanza atlantica Jens Stoltenberg -, per fiaccare la Russia e disinnescarne la minaccia nel futuro.

Olaf Scholz, foto di dirkvorderstrasse – CC BY 2.0.

Il 9 Maggio giocato tra Mosca e Strasburgo porta un Putin meno ruvido del solito e un’Ue che dà segni di distinguo rispetto alla linea degli Usa. Macron incontra il cancelliere tedesco Olaf Scholz, che dice «Non prenderemo decisioni che possano portare la Nato in guerra». E il presidente cinese Xi Jinping, in video-chiamata con Scholz prima e con Macron poi, cerca di insinuare un cuneo tra America ed Europa, esortando gli europei a una maggiore autonomia nelle decisioni sulla loro sicurezza e a «compiere ogni sforzo per evitare l’intensificarsi e l’espansione del conflitto, che porterebbe a una situazione non gestibile». Il punto che accomuna è l’urgenza di fermare la guerra.

Ma ci sono pure segnali in controtendenza rispetto ai sussulti della diplomazia. Di fronte al Senato di Washington, la direttrice dell’intelligence statunitense Avril Haines avverte che la Russia potrebbe tentare di intercettare le armi inviate in Ucraina e mette in guardia su possibili “vendette” di Mosca contro le sanzioni; poi, però, afferma che «Putin userà l’arma nucleare solo se sarà davanti a una minaccia esistenziale». Per la Haines, Putin imporrà la legge marziale in Russia perché vuole una guerra “lunga” – mentre tutto fa pensare che lui avesse in mente una ‘blitzkrieg’ -; e scommette che il sostegno a Kiev di americani ed europei diminuirà nel tempo. La Russia, inoltre, non intenderebbe fermarsi al Donbass, ma vorrebbe portare la guerra in Transnistria.

Mentre il governo britannico è “orgoglioso” di avere “tracciato la strada” della linea dura verso Mosca – parole del premier Boris Johnson ai Comuni -, Biden firma una legge per velocizzare l’invio di armi all’Ucraina, ispirata a una misura del 1941, la cosiddetta legge sul Lend-Lease, usata per rifornire d’armi i britannici contro i nazisti.  Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky lo ringrazia per l’aiuto «nella lotta per la nostra libertà e il nostro futuro»: «Sono convinto che vinceremo di nuovo insieme. E difenderemo la democrazia in Ucraina. E in Europa. Come 77 anni or sono».

I 27 cercano un’intesa sul blocco dell’import del petrolio russo e la Commissione europea valuta se emettere nuovo debito comune per finanziare la ricostruzione dell’Ucraina. Il fondo di solidarietà, su cui vi sono però riserve, avrebbe un valore stimato in 15 miliardi di euro.

Là dove volano le cicogne torneranno a volare le colombe?

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